TMM Pontedera, ovvero della lotta di classe dall’alto

In un caldo pomeriggio di agosto a Pontedera, un presidio di lavoratori anima con tende e bandiere la zona industriale di Gello, spopolata per le vacanze estive e già duramente colpita da un decennio di crisi economica, di tagli agli organici e di delocalizzazioni. Si tratta dei lavoratori della TMM, azienda dell’indotto Piaggio che produce marmitte in mono-committenza per la casa madre (Piaggio) dalla quale dipende più del 90% delle commesse.
Pochi giorni prima della programmata chiusura per le vacanze estive l’amministratore delegato ha comunicato ai lavoratori la decisione della CSL, azienda di Torino che controlla la TMM, di non riaprire i cancelli dopo le ferie.
Eppure gli ultimi mesi prima della chiusura estiva avevano segnato un picco produttivo, dopo anni di riduzione degli orari di lavoro e di ricorso agli ammortizzatori sociali. Purtroppo, come alcuni operai avevano intuito, l’intensificazione dei ritmi produttivi era dovuta alla necessità di preparare delle scorte di produzione per permettere alla Piaggio affrontare il periodo di transizione tra la chiusura dell’azienda TMM di Pontedera e il subentrare di un nuovo fornitore, probabilmente dall’estremo oriente.
Tuttavia alle richieste di spiegazioni da parte dei delegati sindacali e dei lavoratori, l’amministratore delegato aveva sempre risposto negando l’intenzione di chiudere e confermando l’interesse della proprietà nel garantire un futuro al ramo aziendale pontederese.

Ed invece, il giorno prima della programmata chiusura estiva, è arrivata la comunicazione che la TMM aveva avviato la procedura di liquidazione e le pratiche per il licenziamento collettivo dell’intera forza lavoro. Infine sempre l’amministratore delegato, prima di essere rimosso e sostituito da un commissario liquidatore, ha assunto vigilantes privati per controllare che la fabbrica rimanesse inviolata e per prevenire una eventuale occupazione.
Agli ottantacinque lavoratori, ai loro delegati sindacali, non è rimasto che organizzare un presidio ai cancelli della fabbrica, forti del tardivo appoggio di istituzioni locali e regionali, evidentemente colte impreparate, considerata la loro storica connivenza con i vertici aziendali di Piaggio.
La peculiarità di questa storia, simile a molte altre in giro per la penisola, è la metodica capacità della dirigenza aziendale di anticipare ogni possibile contromossa sindacale. In questo senso la decisione di chiudere i cancelli della fabbrica e farli presidiare da vigilantes sembra far da contraltare a un’organizzazione sindacale colta assolutamente in contropiede, a differenza dei lavoratori di TMM pronti da subito a presidiare i cancelli per evitare la rimozione dei macchinari. Una dirigenza sindacale che in questi anni è stata sempre silente rispetto alla mancata conferma di tanti stagionali in Piaggio che dopo quasi dieci anni di contratto a tempo determinato sono stati mandati a casa.

Ci troviamo nuovamente di fronte a un caso da manuale di lotta di classe dall’alto, in cui in nome del profitto si gettano famiglie sul lastrico, con l’unica prospettiva di anni di ammortizzatori sociali oppure cessione del ramo d’azienda e riapertura con riduzione del personale facendo ricorso ancora una volta a soldi pubblici. Del resto alcune recenti sentenze di cassazione hanno giustificato licenziamenti non in presenza di crisi aziendale ma solo per salvaguardare i profitti.
Colpisce inoltre la capacità di TMM di fare squadra con la propria committente (Piaggio), evidentemente l’attore principale in questa vicenda, con la sua decisione di assegnare la commessa ad una nuova azienda, probabilmente in estremo oriente (un anno fa gli stessi scenari si sono verificati alla Ristori, altra azienda dell’indotto ora chiusa, con le commesse trasferite in Polonia). Infatti niente è stato lasciato al caso e nessuna informazione è stata fatta trapelare, segno di una capacità padronale di agire in accordo e in piena sintonia con aziende dell’indotto a scapito dei lavoratori.

Tuttavia se esiste un futuro per TMM, esso non può prescindere dagli operai in presidio, che con la loro tenacia sono stati in grado di aprire canali di trattativa istituzionale ma soprattutto hanno saputo suscitare una solidarietà di classe e comunitaria assente in altre situazioni di crisi aziendale.
Dal giorno in cui è stato chiaro che la ditta sarebbe stata serrata, nonostante le promesse e le strette di mano dell’amministratore delegato, hanno immediatamente organizzato il presidio, senza mai abbandonarlo nonostante le temperature agostane. Sono inoltre consci che solo con i loro corpi, con la loro presenza fisica possono essere sicuri che l’azienda non venga depauperata del suo capitale fisso, unica garanzia di una ipotetica riapertura.
Colpisce inoltra la solidarietà della città, di singoli e dei sindacati di base esclusi dalla trattativa pronti con iniziative e presenze al presidio ad aiutare sia fisicamente che con la raccolta fondi per istituire una cassa di resistenza.

I fatti recenti, in provincia di Pisa e non solo, hanno dimostrato che una vertenzialità operaia limitata alle singole situazioni di crisi, capace di agire solo attraverso canali istituzionali, ha ben poche speranze di ottenere risultati che non siano accordi al ribasso. La possibilità di vittoria si giocano invece nella capacità di coinvolgere anche soggettività esterne all’azienda, di diffondere la vertenza sul territorio per contrapporre una moltitudine di corpi, di classe alla fredda logica del profitto dei padroni.
Quanto accade oggi alla TMM è avvenuto un anno fa alla Ristori e presto potrebbe verificarsi nei magazzini della logistica legata alla Piaggio, dove si annunciano esuberi in autunno. Tuttavia, nel frattempo, arriveranno a Piaggio tanti soldi pubblici da Industria 4.0, fondi destinati all’innovazione tecnologica che dovrebbero invece essere vincolati alla salvaguardia dei posti di lavoro.
Ma la politica di deindustrializzazione voluta dal PD, da sempre egemone in Toscana, è ormai chiara, tanto che due esponenti di questo partito siedono nel cda di Piaggio.

Solo facendo rete, solo problematizzando il ruolo delle aziende sui territori è possibile raccogliere la sfida della crisi. In questo senso occorre impegnarsi in un discorso politico che nello specifico caso della TMM coinvolga anche la Piaggio e i soggetto pubblici, siano essi la Regione Toscana o lo stato centrale, entrambi da sempre prodighi di contributi alle aziende senza mai chiedere in cambio una garanzia sul mantenimento di livelli occupazionali e salariali. Infatti se i conti pubblici devono accollarsi i costi delle aziende private, perché non porre nuovamente la questione del controllo operaio delle aziende?
Ora e sempre a fianco degli operai e delle operaie di TMM.

A cura della redazione locale di Lotta-Continua

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