INDIVIDUO, COSMOPOLITISMO, UTOPIA
INDIVIDUO, COSMOPOLITISMO, UTOPIA di Franco Astengo
“Viviamo in un tempo
senza epoca. C’è il nostro tempo, manca però l’epoca: quella contingenza capace
di sollevarsi e rimanere per il futuro, fare futuro”.
Così scrive Mario Tronti nel suo libro – intervista con
Andrea Bianchi “ Il popolo perduto – per una critica della sinistra “ uscito in
questi giorni per “Nutrimenti”.
Più avanti aggiunge: “
Oggi tornano a far capolino qua e là, tra gli illuminati, ideologie
cosmopolite. L’affascinante utopia del governo mondiale non è praticabile, come
tutte le utopie. Ma come tutte le utopie serve a porre il problema della
progettazione dell’avvenire. In questo senso Kant intendeva l’idea di una
storia universale dal punto di vista cosmopolitico”.
A quel punto nel testo si affronta il tema della “globalizzazione”
intesa come “forma – mondo”.
“Un tempo senza epoca”: ci sarebbe da replicare subito.
Stiamo vivendo, infatti, un’epoca ben definita, almeno per
quello che riguarda noi in questo “scoglio di mondo” che si chiama Europa: ed è
l’epoca dell’individuo, interno e contrapposto nella sua solitudine alla massa
moltitudinaria dalla quale non scaturirà mai il senso dell’utopia ma piuttosto
l’azione di una “rivolta senza direzione”.
Non basterà il Kant della “legge morale” a riportare l’individuo
nell’alveo di un’idea di liberazione collettiva: mancano presupposti e
soggetti.
Il cosmopolitismo così enunciato, anche nel testo di Tronti,
appare quasi come una fantastica Via Lattea all’interno della cui striscia di
luce i soggetti si muovono senza perseguire, almeno in apparenza, alcun fine.
Esisteva una forma – mondo ed era quella che definivano gli
Stati: oggi un’entità vera di Stato – Nazione nel senso di riferimento d’identità,
confini, luogo di scontro e di confronto finalizzato a conseguire il potere
politico la si trova soltanto nei grandi Imperi – continente, il resto è
periferia che ruota, marginalità da sfruttare o addirittura da comprare in una
logica inedita di aggiornamento del colonialismo.
Ci troviamo ormai di fronte ad un giudizio generalizzato di
stampo olistico che, cancellando ogni contrapposizione di classe e ogni
conflitto interno alla società arriva a farci pensare alla progettazione del “governo
mondiale” come unica frontiera possibile.
Da questo punto di vista assistiamo invece oggi a una sorta
di abdicazione: da parte delle teorie politiche critiche della società, mentre
si moltiplicano teorie (e movimenti sociali) che riducono il problema a una
pura e semplice mistificazione.
Non basta riversare l’individuo in una “posizione collettiva
di scopo”, da realizzarsi soltanto attraverso un’esortazione morale che inviti
a guardare in alto “verso il cielo stellato” lasciando intatta la solitudine.
Neppure può essere considerato sufficiente il confronto
individualismo/collettivo da eseguirsi secondo i canoni classici della
concezione degli obiettivi politici della nostra tradizione, rivoluzionaria e
riformista: socializzazione dei mezzi di produzione e della distribuzione,
considerato come il mezzo attraverso il quale si realizza il passaggio dalla
proprietà privata a un tipo di proprietà collettiva e di conseguenza si annulla
l’individualismo istituzionale, poiché rappresenterebbe, di fatto, il passaggio
dal particolare all’universale.
E’ necessario, invece, uno strumento di mediazione e di
sintesi che altro non può essere che la “politica” nelle sue forme più alte.
Lo scopo della mediazione e della sintesi esercitate con
l’azione politica può, infatti, restituire spirito critico e consentire
all’individuo di scorgere, ben al di là della moltitudine, la visione generale
dei grandi problemi della storia e quella particolare delle specifiche
settorialità nelle quali è suddivisa la vita quotidiana, nei suoi scopi di
produzione e di soddisfazione dei bisogni.
Per tornare però a questo punto è indispensabile ricostruire
un’idea della forma - mondo: con tutte le incognite e le contraddizioni che
reca con sé assegnarsi questo compito.
Lo fecero i filosofi tra il Secolo dei Lumi e della
rivoluzione borghese e quelli delle grandi rivoluzioni industriali, degli “Stati
– Nazione”, delle guerre civili europee poi allargatesi agli Oceani.
L’invito che, da questo punto di vista, può essere raccolto
partendo dal testo di Tronti è forse quello del ritorno alla “libertà del
pensare” e forse, rispetto a questo invito che pure nel libro viene formulato,
c’è qualcosa di più da cercare oltre al contrasto verso l’individualismo
dominante, la personalizzazione, l’epidemia dell’antipolitica, la politica come
evento mediatico e il peso della finanza globale.
La “libertà del pensare” potrebbe forse associarsi all’antico
grido di Claudio Napoleoni “cercate ancora” e questa ricerca del libero pensiero
servire a ritrovarci sulla sponda mai antica dell’utopia recuperando così la
politica.
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