Boris Groys Post scriptum comunista


Boris Groys

Post scriptum comunista


Postfazione di Tiziano Tussi


Partiamo dalla fine, dalla fine dello scritto di Boris Groys: “Così il comunismo non è di fatto più un’utopia – la sua incarnazione storica è compiuta. Compiuta significa qui conclusa e pronta per una ripetizione.” (p. 93)

Per arrivare a tale risultato – fine/inizio o ri-inizio – Groys ci conduce attraverso il mondo e il linguaggio attivi nella vita dell’URSS, in tutte le sue fasi, in quanto mondo dell’umanità non reificata: “La rivoluzione comunista è il passaggio di una società dal medium del denaro a quello del linguaggio.” (p. 24) Nel testo ci si riferisce abbondantemente allo scritto di Stalin sulla linguistica.1 Un testo che raccoglie risposte a domande di sconosciuti interlocutori, di cui si riportano comunque nomi (puntati) e cognomi. Un testo di una certa rilevanza, uno degli ultimi scritti di Stalin. Ma lasciamo questo testo al suo lavoro, per chi lo vuole frequentare, anche sorprendente, come la critica ad ogni dogmatismo in quanto critica centrale del comunismo.2 La sorpresa a tale affermazione può venire spontanea proprio per la fonte d’origine, Stalin, che la emette. Questo aprirebbe un discorso sulla ricezione e sull’azione di Stalin nel corso della storia e dei decenni del Novecento in cui il georgiano è stato l’uomo forte dell’URSS e non solo.

Ma ritornando all’affermazione finale di Groys, che qui ci interessa, lingua versus denaro, possiamo giungervi camminando con lui per il percorso di questo piccolo e densissimo libro che ci vuole dimostrare come la realizzazione del comunismo sia stata storicamente significativa, finché c’è stata, confliggente in termini esiziali con il capitalismo, che usa il denaro per la sua vita, non la parola; e come si sia poi conclusa a causa della sconfitta del processo di totalizzazione mancato che il comunismo sovietico ha tentato. È scappato qualcosa dalla rete della riconciliazione linguistica. È fuggito il desiderio, interpretato come imprendibile e scivoloso l’erotismo sociale di massa. Questa parte della vita dell’umano non è stata evidentemente contemplata nel tentativo sovietico. Troppa difficoltà a chiudere, a rinchiudere, a com-prendere anche questa parte dalla faccenda umana, delle problematiche legate al sottosuolo del desiderio. “Quanto più avevo coscienza del bene e di tutto questo «bello e sublime», tanto più profondamente mi lasciavo prendere nella mia melma e tanto più ero capace d’impantanarmi del tutto. [] …giungevo al punto che provavo un certo occulto, anormale, vigliacchetto godimento a tornare, alle volte, in un’infame notte di Pietroburgo, nel mio angolo … e rodermi internamente e segretamente … dilaniarmi e succhiarmi al punto che l’amarezza, alla fine, si convertiva in una ignominiosa, maledetta dolcezza e, alla fine, in vero autentico godimento! Sì, in godimento, in godimento! C’insisto.”3 Basta questo richiamo per aprire un mondo immenso.

«Comunque» riprese Bernard «le posso assicurare che ho avuto un vasto campo di osservazione: la prima cosa che mi ha colpito è stata la bruttezza delle vostre ragazze. Naturalmente, vi sono delle eccezioni, ma, generalmente parlando, l’elemento femminile nelle riunioni del vostro Partito, alle conferenze, ai dibattiti aveva tutta l’aria d’una collezione di Cenerentole nevropatiche desiderose di rovesciare una società nella quale nessuno le aveva mai invitate a ballare. [] Nelle vostre dimostrazioni, si sono sempre viste, a contrasto con le Cenerentole intellettuali, marciare delle belle ragazze operaie, che appartenevano allo stesso tipo delle nostre ed erano le prime ad unirsi a noi…”4 Questo dialogo mette in primo piano la fiducia di un nazista, Barnard, che spiattella sul muso di un comunista pentito di esserlo/stato una verità esistenziale, almeno dal punto di vista del nazista. A noi interessa lo scontro di visione della vita, anche del sottosuolo che scaturisce da esso prepotentemente.

Se si prendono le confessioni degli accusati nei processi delle purghe staliniane degli anni Trenta si vede come gli accusati accettavano ogni falsa accusa pur concorrere a fare rimanere integro ed intatto il Partito. Come tradissero anche se stessi pur di tenere in piedi un’unitarietà che comprendesse tutto. Questi tentativi, oltre ad essere filosoficamente e psicologicamente ammirevoli, potevano evidentemente derivare anche dalle pratiche repressive messe in atto dal potere di stato. Ma in modalità dialettica, repressione e sottomissione possono anche essere viste, a livello di sistema totalizzante, come convergenti verso l’unitarietà. È assente, nell’accettazione del falso salvifico (per il Partito), la volontà di rompere quel mondo che in qualche modo ti com-prende, al di là delle sorti tragicamente e radicalmente negative per i condannati, i morti, i reclusi o tenuti sotto osservazione dall’occhio del potere.

Non tutti gli accusati hanno preso la posizione che prese Giordano Bruno alla fine del lungo processo intentatogli dalla Chiesa di Roma. Dopo circa otto anni di dibattimento Bruno chiude la questione con queste parole ai suoi giudici: Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza – la morte per rogo, ndr – che io nell’ascoltarla.

Ma le questioni umane non sono in nessun modo passibili di perfezione, ed anche Groys, in numerosi passaggi lo rammenta. Vorrei prendere ad esempio un’altra scia di corrente che ha a che fare con quanto Groys propone – la quadratura del cerchio totalizzante, a livello sociale, tramite la parola – con riferimento al fenomeno dei condannati nei processi staliniani per parole non conciliabili con la totalità del potere, ma che rimasero comunque sempre comunisti, ipotizzando, con la loro vita e le loro opere un comunismo diverso. Anche se la diversità si allontana decisamente sia dall’unitarietà staliniana sia dal sottofondo desiderante, dimenticato da quello. E’ il caso, emblematico per tutti, di Emilio Guarnaschelli.5 Egli, come altri che comminarono sulla sua stessa strada di soffocato dal potere sovietico, rimase in ogni caso comunista e non si peritò di denigrare o negare la bontà delle idee di classe che lo sostenevano. Passò da campi di reclusione, Gulag, a campi di reclusione, seguito dalla sua compagna che cercava di sostenerlo da lontano e morì in quella tragedia del fallimento della costruzione di uno stato comunista perfetto. La perfezione si abbeverava anche di vite come la sua6 senza per questo giungere alla compiutezza della totalità del cielo comunista.

Ma ben utili possono essere queste parole della compagna di Guarnaschelli, nell’introduzione al libro, raccolta di lettere, di Emilio. “Il «robot-staliniano» Paolo Robotti7, cognato di Togliatti, dirigeva la sezione italiana del club degli immigrati politici di Mosca, da cui dipendeva la sorte degli italiani del club e quindi anche quella di Emilio. [] Paolo Robotti organizzò in questo club le sedute di autocritica preconizzate da Stalin e ogni italiano dovette fare il suo mea-culpa, cioè, in poche parole, dovette ricercare davanti a una commissione, già diffidente in anticipo, il sia pur minimo ricordo della più piccola colpa commessa in passato. E non era il caso di asserire di non avere niente di cui rimproverarsi. Conveniva inventarle piuttosto che non dire nulla. [] Bisognava nutrire di carne umana quel mostro che era diventata la rivoluzione sotto Stalin.8

La ricomposizione totalizzante, di cui parla Groys, lasciava perciò fuori troppo della vita dell’uomo. Sia tutto quanto poteva essere definito come campo del desiderio, dell’erotico, della pulsione erotica di vita, sia la possibilità di un altro comunismo. Questi residui, queste mancanze, o meglio assenze, sono quelle che in definitiva hanno fatto fallire il mondo comunista. Dall’Occidente arrivavano segnali di erotismo vitale: balli, danze, musica, abiti, carta stampata, anche pornografia, ma insomma un mondo desiderante che era escluso ai sensi interpretativi permessi all’uomo sovietico (naturalmente, è il caso di dirlo dati i tempi bigotti in cui stiamo vivendo, con uomo intendo anche donna). Mancava anche la possibilità di espressione del pensiero critico, un prodotto tipico del pensiero filosofico e pratico occidentale, partendo dalla lezione kantiana.

La totalità perseguita appariva perciò troppo vicina e scambievole con l’ingessamento.

Sono nei ricordi di chi ha già, ora, una certa età i viaggi nei Paesi del comunismo orientale europeo con valigie piene di calze di nylon per avere così rapporti sessuali facili con le donne dell’Est. Una possibilità di baldoria nei pochi posti possibili, frequentati da occidentali che potevano fare sognare alle donne dell’Est una vita più piacevole. Come le calze anche i jeans usati, venduti negli androni dei palazzi popolari moscoviti a russi vogliosi di occidentalità. Tutte questioni mai troppo trattate in analisi su quel mondo e sul suo fallimento finale, parti lasciate al di fuori della totalità tentata dal comunismo reale, che quindi hanno agito contro la ricomposizione linguistica cui fa riferimento Groys.

“Era la presa d’atto che anche il socialismo, come il capitalismo, viveva le sue contraddizioni, che «non possono essere risolte indefinitamente attraverso una pianificazione rigida»: quando le contraddizioni diventano acute, richiede inevitabilmente mezzi coercitivi e pesanti dittature. Il socialismo non è dunque «solo collettivismo produttivo, socialismo è emancipazione del lavoro e autogoverno dei lavoratori. Senza emancipazione e autogoverno le forze produttive vengono frenate e si svuota il contenuto fondamentale del socialismo».9

Questa mancanza ha minato la pretesa di totalità della società unitaria sovietica lasciando al di fuori di sé il killer che l’avrebbe uccisa. Ma certo poi vi sono motivi anche strutturali e sovrastrutturali, in ultima analisi economici, ben più pesanti. Ma a quello si poteva rimediare. È l’assenza della capacità di controllo della libido sociale che ha impedito alla lunga, al sovietismo, di continuare a vivere. Ricordo che all’inizio del percorso rivoluzionario, vi erano stati a Mosca anche manifestazioni di nudisti; anche una figura come Emma Goldman, anarchica, aveva seguito con fiducia i primi passi della rivoluzione stessa; Rosa Luxemburg cercava, criticando Lenin, di mettere un po’ di vita comune, leggera, frizzante, emotiva10, nella corrente rivoluzionaria. Non esiste solo un aspetto, insegna appunto la dialettica, ma anche il suo contrario, la negazione: l’altra faccia della medaglia. E queste parti debbono essere inquadrate in un percorso di innovazione, nessuna di esse escluse. Ed invece l’escluso, il desiderio, ha agito poi in profondità lasciando isolato e perdente il campo comunista dal quale era stato allontanato. ”Ma la fedeltà alla rivoluzione è la fedeltà all’infedeltà” ci dice Groys. Quest’affermazione mette l’infedeltà in gioco con il suo contrario e apre perciò le porte al tradimento ed al piacere del tradire: “Il tradimento si trova sempre sulla nostra strada, e non solo per annientarci: se il tradimento destabilizza, è perché qualcosa si ricrei. [] Nella logica del tradimento si esprime il daimon creatore dell’uomo, la su ansia di libertà e di individuazione.”11 Ritorniamo perciò all’inizio di quanto qui scritto, sulla compiutezza ma anche possibilità di ripetizione, di nuovo inizio, da cui siamo partiti.

Occorre però ricomporre, come prova a fare Groys, la possibilità di riuscita del comunismo. Il post scriptum tende a questo. La ricomposizione deve diventare sostanza senza però sognare di ritornare ad un mondo nel quale la sua possibilità ad essere, il suo tentativo di riuscita, che alla lunga non vinse, non deve essere visto come un contesto di perfezione perso solo per cause di perfidia capitalistica che hanno vinto sulla verginità e purezza del comunismo, da rimettere in piedi con quelle cornici e con quei contenuti di allora, ricucendo una verginità persa per sempre e, naturalmente, mai veramente esistita.

1 Giuseppe Stalin, Il marxismo e la linguistica, Feltrinelli, Milano, 1968.

2 Giuseppe Stalin, cit., p. 103.

3 Fjodor Dostojevskij, Memorie del sottosuolo, Einaudi, Torino, 1942, p. 7 e 8.

4 Arthur Koestler, Arrivo e partenza, Mondadori, Milano, 1966, pp. 192,193 e 194.

5 Emilio Guarnaschelli, Una piccola pietra. L’esilio, la deportazione e la morte di un operaio comunista italiano in URSS 1933-1939, Garzanti, Milano, 1982. Il libro, curato da Nella Masutti, la giovanissima compagna di Emilio, con lui in URSS per quel tempo, si avvale anche della prefazione di Alfonso Leonetti, splendida figura di militante comunista.

6 E di altri, ad esempio Dante Corneli, Il redivivo tiburtino, La pietra, Milano, 1977.

7 Alcuni suoi testi: Nell’unione Sovietica si vive così, prefazione di Ambrogio Donini, Edizioni di cultura sociale, Roma, 1950; Il gigante ha 50 anni, prefazione di Ambrogio Donini, Napoleone editore, Roma, 1973; Scelto dalla vita, prefazione di Emanuele Macaluso, introduzione di Arrigo Petacco, Napoleone editore, Roma, 1980.

8 Emilio Guarnaschelli, cit., p. 11 e 12 (dall’introduzione di Nella Masutti).

9 Giovanni Scirocco, Tra realtà e utopia: il socialismo di Vittorio Foa, in Rivista Storica del Socialismo, Biblion edizioni, Milano, anno V, numero 1 – 2020, p. 41. Questo fascicolo raccoglie gli interventi al convegno dedicato a Vittorio Foa il 22 ottobre 2018. I virgolettati si riferiscono ad affermazioni dello stesso Vittorio Foa.

10 Faccio qui riferimento alle pochissime pagine di una lettera di Rosa nel piccolo testo Un po’ di compassione, Adelphi, Milano, 2007.

11 Aldo Carotenuto, Amare tradire, Bompiani, Milano, 1991, p. 218.

Commenti