Precarietà e contrattazione nazionale: un binomio possibile?

Da tanti anni ci sentiamo raccontare che alcuni modelli regionali sarebbero un esempio da seguire urbi et orbi, ad esempio ogni volta che si parla di cooperative e di impresa sociale il riferimento all'Emilia Romagna diventa scontato.

Nei giorni scorsi abbiamo letto che il 75 % delle aziende controllate nella Regione Emilia Romagna è risultato irregolare, immaginiamo che i dati siano magari piu' alti in numerose Regioni italiane ma di questo, e di molto altro, non abbiamo nulla per cui gioire.

Non esistono piu' modelli a cui guardare se l'obiettivo perseguito resta quello della riduzione del costo del lavoro accrescendo ritmi e tempi all'insegna dello sfruttamento intensivo.

Sempre in questi giorni si esulta davanti alla decisione di affidare alla contrattazione collettiva e aziendale la causale nei contratti a termine  nell'evidente ricerca di superare il decreto dignità tornando alla situazione vecchia nella quale il ricorso ai tempi determinati avveniva in maniera diffusa e indiscriminata. Un emendamento della maggioranza Governativa affida di fatto ai contratti le causali da apporre al tempo determinato e immaginiamo già la giungla di deroghe tali da aggirare ogni limite.

Perchè questa scelta? Per il semplice motivo che le imprese chiedono dal 2018 la soppressione delle causali da apporre ai contratti a tempo e la rimozione di ogni limite legato alla durata e al numero dei rinnovi. E poi gran parte dei contratti nuovi sono proprio a tempo determinato , su questa tipologia contrattuale si basa anche il Pnrr e la fantomatica ripresa del Pil.

Quali saranno le specifiche esigenze previste dai contratti nazionali? Prendiamo ad esempio un settore come il turismo, sarà del tutto scontato un accordo tra le parti sociali per favorire l'ampio e indiscriminato ricorso ai contratti a tempo.
 
Siamo davanti alla vecchia idea che i sindacati  attraverso la contrattazione nazionale ed aziendale esprimano la loro forza, gli ultimi 50 anni dicono invece l'esatto contrario e i rapporti di forza, senza conflitto, sono solo a favore delle associazioni datoriali. Negli anni poi sono stati inseriti, proprio dentro i contratti nazionali, straordinari obbligatori, deroghe e altre diavolerie finalizzate al peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita.
 
Il costante rinvio alla contrattazione aziendale e nazionale non rimette al centro della giusisprudenza la contrattazione sindacale ma la svilisce nel momento in cui si demanda ogni decisione ai rapporti di forza che da anni sono solo a vantaggio delle imprese. E immaginiamoci cosa potrà accadere nelle piccole aziende dove non c'è traccia alcuna di sindacati organizzati.
 
La contrattazione aziendale e nazionale non potrà limitare il ricorso al lavoro temporaneo a vantaggio dei contratti nazionali, passeranno accordi a perdere con la firma e l'avallo sindacale come avviene ormai da anni.
 
Strutturale è il ricorso ai contratti a termine soprattutto in tanti settori come commercio, turismo e servizi, da qui alla istituzionalizzazione della precarietà, con il consenso sindacale, il passo è breve. 
 
Servono invece limiti di legge al ricorso ai contratti precari, lasciare invece la mediazione alle parti sociali significa piegare le istanze dei lavoratori e piu' in generale i diritti sociali alle logiche del mercato.
 
Se poi la decisione arriva anche da chi, come il mov 5 Stelle, aveva sostenuto il decreto dignità per limitare il ricorso al tempo determinato, significa che  la parabola discendente verso la subalternità al mercato e alle imprese è arrivata a conclusione. E tutto cio' con l'assenso dei sindacati rappresentativi

 

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