La mattanza delle aziende partecipate

La mattanza delle aziende partecipate all'insegna della nuova stagione privatizzatrice

E' terminato il censimento del Mef e  dai primi dati emerge che le dismissioni saranno ben 1.650 su 4.701.  Praticamente un terzo delle aziende partecipate sarà soppresso e con questi numeri i dipendenti non possono dormire sonni tranquilli. Sono queste le conseguenze del piano di razionalizzazione della Pa previsto dalla Madia e supinamente accettato dai sindacati.
I numeri delle aziende da sopprimere saranno sicuramente maggiori perchè non tutte hanno risposto al censimento della Funzione pubblica e del Mef , specie quelle aziende nei comuni di piccola entità.
Ovviamente al censimento numerico non corrisponde una analisi seria delle competenze, dei progetti di fusione che allo stato attuale dovrebbero essere 118, o della vendita di quote azionarie. Se cosi' non fosse capiremmo in partenza quali aziende verrebbero ritenute strategiche  e quindi da salvaguardare in mano pubblica e quali invece da vendere o liquidare.

Ancora una volta prevale un calcolo ragionieristico dettato dalle politiche di austerità, siamo sicuramente lontani dagli slogans di Renzi che invocava la soppressione delle aziende "da 8mila a 1000" ma dovremmo prima chiederci la ragione per la quale si va verso lo smantellamento di tante aziende pubbliche. E' quindi iniziata una nuova fase delle privatizzazioni all'ombra anche di Industria 4.0.
I parametri che individuano le società da dismettere, contrariamente a quanto asserisce la Madia, hanno ben poco di oggettivo, di sicuro il Governo va dritto per la sua strada ed entro la fine di Settembre 2018 chi non avrà effettuato dismissioni e fusioni (a vantaggio dei soci privati ?) si vedrà in una condizione non invidiabile ossia a liquidare in denaro la partecipazione .

Qui non sono in ballo solo migliaia di posti di lavoro ma anche la loro gestione, il ruolo delle società pubbliche, la scelta degli amministratori (spesso cooptati dal sistema politico) e i compensi (che non dovrebbero esuperare 240 mila euro l'anno ) degli stessi. Se una azienda ha carattere strategico lo dovremmo evincere da una valutazione seria e preventiva per capire quali sono gli intenti di questa razionalizzazione. Al contrario sembrerebbe che si voglia solo far cassa e regalare ai privati alcune aziende localmente rilevanti, come accadde, 30 anni fa, con le grandi aziende pubbliche sotto la guida del non compianto Romano Prodi.
Intanto, nei prossimi giorni, sarà consegnato l'elenco del personale in esubero da cui le aziende pubbliche restanti dovrebbero attingere per le nuove assunzioni che tuttavia dovranno rispettare i patti di stabilità vigenti per la Pubblica amministrazione.
Un pasticciaccio già incontrato con lo smantellamento delle province, voluto dalla incostituzionale Legge Del Rio, e la incognita che non tutti i posti di lavoro saranno riassorbibili soprattutto se le assunzioni sono state fatte senza concorso.
Resta il fatto che questo ennesimo processo di privatizzazione è avvenuto con particolare solerzia governativa e senza trovare alcuna opposizione sindacale, men che mai con  la costituzione di coordinamenti tra lavoratori delle aziende partecipate. Una ulteriore prova di come i processi di ristrutturazione della Pa siano stati possibili per il sostegno silenzioso di Cgil Cisl Uil, quei sindacati che avrebbero dovuto invece vigilare contro la svendita di aziende costruite con i soldi pubblici. Ormai questi sindacati sono parte integrante di quei processi di privatizzazione che, da 30 anni a questa parte, hanno decretato lo smantellamento del welfare e la sconfitta dei lavoratori.
Ne è la dimostrazione lampante la previdenza integrativa che ritroviamo ormai in ogni contratto pubblico.

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