Berlinguer o dell'indecisionismo...ricordando l'ombrello Nato invocato dal Pci per parlare oggi di Svezia e Finlandia

 Berlinguer o dell'indecisionismo

 

Tiziano Tussi

 

Può essere utile riflettere un poco su ciò che Berlinguer è stato per la storia del PCI e per quello che è avvenuto dopo la sua trasformazione sino all’attuale PD ed ancora alla luce della richiesta di allargamento della NATO a Svezia e Finlandia. La lettura di domenica 125 maggio, nelle pagine finali, mette assieme un dialogo che risponde alle domande di Antonio Cairoti sul “caso” Berlinguer. Già il titolo appare solo di nessuna motivazione e le domande e le risposte di tre “studiosi”, come vengono chiamati ci fanno capire che in fondo non abbiamo capito nulla. Le risposte si aggirano attorno a tematiche che non vengono mai messe su basi certe. 


Del resto, lasciando perdere la potenza del capitalismo, del suo modo di procurare forme di vita agli umani, a chi va bene o benissimo, a chi male o malissimo, senza possibilità di trazioni riequilibrartici, tutto appare difficile da spiegare a capire, ma con salti sui trampoli in fondo lo si può fare. Basta accettare i sussulti della logica della politica che vengono proposti. 


Ora Berlinguer pare, alle letture delle interlocuzioni, un leader incapace di capire che si sarebbe dovuto fare qualcosa di riformistico senza … fare le riforme.


 Per il capitalismo, l’aspetto criminale, nelle sue varie forme - corruzione, delinquenza, burocrazia congenita nella vita dello stato, falsità politiche portate agli eccessi, gioco delle parti, politica staccata dall’economia – è essenziale così come la richiesta di mitezze sociali, mai troppo definite – democrazia, welfare, funzionamento sociale dello Stato. Si parte del compromesso storico e le risposte sono deprimenti. 


Quello che a settori dello scenario politico degli anni ’70 appariva come un errore di impostazione ora ci viene raccontato come la normalità interpretativa che anche allora doveva essere chiara. Da notare che chi aveva posizioni di critica radicale all’epoca veniva tacciato di essere più o meno terrorista. E stiamo parlando dell’Italia, non della tanto vituperata URSS. Il tentativo di Berlinguer si basava su un’impossibilità di fondo. Come uscire dal capitalismo senza farlo davvero? Come fare politica sotto l’ombrello della NATO senza volerne l’esistenza? 


Come stare né di qua né di là, senza sapere dove stare? Ecco, in sintesi, le incongruenze di Berlinguer. Anche la vicinanza con il nord Europa, con la socialdemocrazia nordica, era abbastanza inventata. Pur se qualche accenno vi era stato, la strada dell’eurocomunismo lo portava da altra parte. Un luogo che non sapeva bene neppure lui dov’era. In fondo cercare una via d’uscita tra USA e URSS, in terreno riformista, tutto da inventare, era altrettanto difficile che fare una rivoluzione bolscevica e/o di altro tipo. Viene anche esaltata la sua posizione verso l’ombrello della NATO. E, nel dialogo sul giornale, ci si rammarica pure degli accenni di antiamericanismo, ora, nella sinistra italiana. Insomma, si critica Berlinguer dopo averlo criticato per non aver commesso l’omicidio palese dell’ideologia comunista, anche se nei fatti lo aveva fatto. Consiglio la lettura attenta delle risposte per capire come con questa mentalità di garantiti degli interlocutori, che scaturisce dai ruoli di docente universitario dei tre intervistati, anche se in pensione, per avere un’idea del perché in Italia, ma potremmo estendere la depressione politico-culturale ad altri Paesi, siamo messi in questo cul de sac istituzionale, culturale e politico.

Non se ne esce se non riusciremo a fare cambiare modo di interpretare le cose in senso materialista. Naturalmente si può essere tifosi del capitalismo ma almeno si dovrebbe smettere di incensare le capacità di equilibrio sociale dello stesso. Gli scritti di Marx ed Engels, almeno, ce lo dovrebbero avere insegnato. Ma si possono leggere anche altri lavori, la letteratura in merito è sterminata. Insomma, è possibile documentarsi.


Una coda della stessa melassa la possiamo trovare in un articolo de Il manifesto, pubblicato anche sul sito, di Guido Liguori, che cerca di mettere una pezza alla dichiarazione pro NATO di Berlinguer. Certo, probabilmente il segretario del PCI non aveva voluto asserire di esser un atlantista sfegatato ed il suo discorso era più articolato, ce lo ricorda Liguori, ma forse avrebbe potuto immaginare che da una dichiarazione pur complessa, la stampa borghese avrebbe colto e amplificato quello che le faceva più comodo. Il cuore della dichiarazione – la sicurezza che dava l’ombrello NATO. Tale giochino lo si vede ora all’opera nei commenti della richiesta di Svezia e Finlandia di entrare a pieno titolo nella NATO. 


Percorsi di neutralità ed equidistanza mandati al macero. Tentativi di terzomondismo perseguiti storicamente con precisione, buttati via. La politica internazionale negli anni ’70 non era certo un tappeto di rose e fiori, ma l’opera di Olof Palme, ad esempio, dice di un percorso difficile da mantenere ma fermo su alcuni cardini di equidistanza dai blocchi. Certo lui la pagò cara, e non si augura a nessuno la stessa fine, ma un po’ di linearità razionale nei discorsi geopolitici non sarebbe male, neppure ora. 


Un po’ più di radicalità analitica da parte di studiosi che hanno passato le loro vite a pensare su tematiche di politica sociale e non solo, sarebbe da aspettarsi. Qui abbiamo un mondo da salvare. L’opera è gigantesca, e la discesa verso l’inferno mondiale sempre più scivolosa. Ma noi cosa vogliamo fare?

 

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