LA LOTTA INTERNA ED ESTERNA ALL’ANPI

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Antonio Gramsci oggi                                                                               Maggio 2022

 

LA LOTTA INTERNA ED ESTERNA ALL’ANPI

di Tiziano Tussi

 

■ Ogni 25 aprile accade sempre qualche cosa che riguarda quella data. Di solito sono i soliti tromboni di destra che ci dicono che la ricorrenza è divisiva e che necessita diventi patrimonio “di tutti”. Magari anche dei fascisti di ogni tempo e dei famigliari degli stessi che aspettano con ansia di ricordare la loro disfatta. Pare proprio ridicolo. E ad ogni manifestazione o corteo si agitano tensioni che nulla hanno a che fare con quel 25 aprile del 1945. Ma tant’è. In piazza ci si bisticcia per questa o quella situazione di tensione internazionale, quasi sempre per il Medio Oriente e i contrasti continui in Israele. Perciò la bandiera che non si deve vedere è quella o quell’altra. Quest’anno si è passati proprio il segno e la guerra in Ucraina è piombata addosso all’ANPI, appena conclusosi il suo congresso, regolare congresso, che ha indicato nell’attuale Presidente il suo nuovo leader, che segue il periodo che a capo dell’ANPI vi era una donna, Carla Nespolo. Ora né la Nespolo, morta da poco, né Gianfranco Pagliarulo, sono stati partigiani. Non ne ha colpa nessuno: è l’età. Ed a meno che non si ritiri fuori il senso, che pure era presente, e forse lo è ancora, nell’Associazione di dare fine alla stessa: termini l’ANPI con l’ultimo partigiano vivente. 


Altrimenti la prosecuzione della vita politica della stessa vedrà per forza non partigiani per età alla guida dell’Associazione. Così come già ora accade, anche in sezioni locali, o ANPI regionali. Insomma, il tempo passa, ma il senso profondo, i valori fondanti dell’ANPI, restano pur sempre validi. E solo dichiarando la fine di quei valori, riassumibili, in un termine antifascismo, si potrebbe pensare di sciogliere un Ente che conta circa 120/130 mila tesserati.


 Ora le bandiere della NATO, che alcuni vorrebbero vedere sfilare, cosa c’entrano con la Resistenza? Nulla. Ed anche volendo paragonare i resistenti ucraini all’invasore russo ai partigiani della Seconda guerra mondiale, poco si capisce dell’equiparazione pura e semplice. Anche i resistenti palestinesi resistono all’invasore israeliano, invasore almeno dei loro territori riconosciuti internazionalmente, ma non rispettati. E quale parte vogliamo prendere in Etiopia? Ed ancora nello Yemen? In Libia? In Siria? In Afghanistan? Basta! Non citiamoli tutti. 


Per curiosità, vi è una guerra che sta divampando nel settore nord del Mozambico. Interessa a qualcuno? Alla NATO? All’Unione Europea? Morti neri sono morti più accettabili di morti bianchi? Insomma, il solito pastrocchio. È bastato che il Presidente Pagliarulo, eletto dal Comitato nazionale, con solo due astenuti, dicesse parole di riflessione sulla guerra in corso che subito tutta la grande stampa gli è saltata addosso – putiniano, la parola più ascoltabile. I vari commentatori si sono espressi alla grande contro tale disturbatore della narrazione maggioritaria. La malattia generale che porta alla cecità un popolo intero non deve essere disturbata. 


Ed ognuno che cerca di capirci qualcosa di più preso a sassate, per ora metaforiche, per le sue sconvenientissime parole. E si ricorda la carriera di Pagliarulo, bollandolo come un estremista e come un cossuttiano di ferro. Dimenticandosi che Cossutta tra le sue varie frequentazioni aveva dichiarato di aver votato per il Partito Democratico nel 2008. Quindi dove sta tutto questo scandalo? Insomma, uno schifo, il presente sul passato, il presente sul presente, il presente in quanto tale. Vedremo cosa succederà il 25 aprile nelle piazze italiane, convinto fino ad allora, e forse anche dopo, che la lotta interna ed esterna all’ANPI e nell’ANPI non si placherà tanto presto. 


Occorre che l’Associazione ritrovi e mantenga il suo spirito critico e che esca totalmente dal conformismo che spesso attanaglia ogni organismo, pronto ad acclamare il leader, quando questi si dimostra prono al pensiero comune. 


Un pensiero che abbiamo visto porta a guerre continue, a disastri ambientali e a morte di umani in ogni angolo del pianeta. Sarebbe troppo ricordare che la ricerca del profitto ed i calcoli di potenza, che continuamente cercano di stringere alleanza fra loro, sono all’origine dei nostri guai; che l’addormentamento generale lascia poi i risvegliati in balia di eventi tremendi; che gli sbadiglianti e stiracchianti uomini possono e potranno solo sperare di attraversarli indenni. Un pò poco per la possibilità di fare progetti a lungo periodo e di sperare in un orizzonte di vita piena di umanità. 


Dopo la manifestazione del 25 Aprile a Milano Un pò di mestizia e di soddisfazione dopo la manifestazione ed il corteo del 25 Aprile a Milano. Mestizia perché i motivi di contrasto tra l’ANPI ed un vasto fronte di critici si è stemperato in una marcia indietro del suo presidente Pagliarulo. Tanto valeva che le argomentazioni che ha posposto prima di oggi - commissione internazionale indipendente per i massacri di guerra, analisi delle cause che hanno portato alla guerra – non le avesse fatte. Se ora lui e l’ANPI si accodano alla lezione imperante e banalmente ripetuta da ogni dove: invasore, resistenza, armi. Naturalmente le cose stanno anche così ma occorre cercare di capire la situazione nella sua genesi, nelle sue motivazioni e svolgimento politico da parte di attori internazionali.


 Occorre mantenere un livello alto di critica allo stato delle cose. Soddisfazione per la partecipazione delle persone e per l’ampio spettro di proposte politiche presenti. Non che si fossero novità, se non quelle legate alla guerra in Ucraina, ma almeno, per l’ennesima volta si vede dal vivo una parte di società di sinistra che non ha rappresentanza, al di là degli spezzoni dei sindacati e dei partiti presenti in Parlamento. C’è un’ampia società di sinistra che non trova sbocco nelle istituzioni. Gli uomini delle istituzioni parlano alla pizza da un palco lontanissimo dalla stessa, quasi vi fosse paura di un contatto, della vicinanza. Così come paura evidentemente si ha negli spezzoni pro[1]Occidente che si fanno scortare da un servizio d’ordine privato dei City Angels. Ad ognuno poi la responsabilità di un contraddittorio sociale che manca. Certo che marciare in un corteo, scortati, senza possibilità di potere scambiare la propria parola d’ordine con altre, senza potere interloquire con critiche e attacchi, più o meno dialettici, con chi non la pensa come te, fa sparire anche il senso di essere in piazza. Sarebbe stato lo stesso essere in un acquario. Occorre difendere il peso delle proprie posizioni politiche proposte. Ma queste sono inezie. Il significativo senso della manifestazione si è salvato da ogni altra considerazione. Certo, occorrerebbe che questa celebrazione, come altre simili, avesse poi un seguito qualunque in società. Una presenza così significativa dovrebbe farsi presente almeno qualche volta, senza spettare un anno intero sino al prossimo 25 aprile.

 

 

AD OCCHI CHIUSI

 

Non è certo semplice fare un punto su una guerra in corso quando quel percorso non si sa né come né quando si fermerà. La cosa più immediata è farne una cronaca. Le televisioni sono piene di cronaca. Questo, da parte dei cronisti, ci sbatte in faccia la devastazione della guerra. Cosa dire e cosa fare alla visione delle immagini girate? Cosa fare non sta nelle persone che guardano i servizi alla televisione, dato che non si può fare nulla. Senso di impotenza. Cosa si può fare guardando un razzo, una bomba che cade su un corpo che muore sullo schermo della televisione? Si può fare semplicemente nulla. Ed allora questa modalità di contemporaneità, ci dicono, serva per prendere coscienza. Ma di che cosa? Del razzo che distrugge un palazzo? Questo è nelle cose. Un razzo che si infrange contro un palazzo lo distrugge. Una bomba che uccide chi colpisce, altrettanto conseguente. Una pallottola che incontra un corpo umano, ne provoca la morte, o lo ferisce. Quindi, verrebbe da dire, è inutile documentare, se non entro il confine della documentazione, dato che alla visione, nulla di realistico si può immaginare di fare. Di cosa dovremmo prendere coscienza? Che la guerra è tragica ed inumana, dato che uccide umani? Dal punto di vista valoriale è palese che la pace rappresenta una possibilità di vita, la guerra non la rappresenta. Detto questo, e con difficoltà, possiamo passare a prendere le misure di questa guerra. Da più parti si pretende di essere di fronte a un qualcosa di unico. Una guerra, questa tra Russia e Ucraina, che dovrebbe fare cambiare il corso delle cose, in tutto il mondo. L’analisi si fa complicata. Ora noi abbiamo un punto di caduta interpretativa occidentale, così come si dice in continuazione. L’Occidente contro l’Oriente. E naturalmente l’Occidente è salvo e buono, mentre l’Oriente è il male. Difficile dire, come una volta, qualche decennio fa, l’Oriente è rosso, indicando in quel colore ed in quelle posizioni politiche un’alternativa ad una vita occidentale che aveva dato, fra altre bellezze, il via a due guerre mondiali, nel corso del Novecento. Guerre terribili, con assassinii di popoli e di persone, di etnie e di speranze. Due guerre occidentali. Ecco che allora erano nate associazioni internazionali che avrebbero dovuto difendere la pace in questa parte del globo. E così, ancora oggi, si reclama che effettivamente in Europa la pace è durata circa 70/80 anni. Anche qui considerazioni che hanno molto a che fare con la politica spicciola, terreno sul quale faccio fatica ad entrare, perché, restando sul terreno valoriale ci si può capire di più e concordare con più facilità. M, en passant, non si può dimenticare che anche la Jugoslavia faceva parte dell’Europa geografica. Se all’opposto si scende sul terreno delle motivazioni all’accadere subito nascono le discordanze. Un minuto ancora. Sarà forse per queto che quando cadde il muro di Berlino si sperò che il mondo si sarebbe ricompattato, dirigendosi verso un avvenire radioso. Ancora un momento. Quell’avvenimento aveva unito le speranze di chi voleva vivere, senza quel muro ed i muri tra i popoli in genere. E registrava che nell’Oriente il male era stato finalmente abbattuto. Un afflato sentimentale ed emozionale che doveva scaldarci tutti. Accadde così? Sicuramente per pochissimo tempo. Perché questa limitatissima temporalità? Ed eccoci qui nell’antro di Polifemo. Nella caverna degli orrori. La nostra vita è sempre stata vissuta tra tragedie immani e continue. L’uomo ha sempre ucciso l’uomo, dalla notte dei tempi. La guerra ci ha sempre accompagnato assieme alle richieste di farla finita con la guerra. La violenza sui corpi dell’altro, degli altri, ci ha sempre coinvolto con grande voglia di mettere in atto pratiche immonde. L’uomo ha sempre dato il peggio di sé assieme al meglio che ha anche prodotto: arte e scoperte per vivere meglio. Nella grotta di Polifemo c’è di tutto. La parte negativa e cruda, dentro; la solarità dello sguardo verso il cielo, fuori, appena fuori. Quindi anche la caduta del muro di Berlino la possiamo definire in altro modo, anche. Un muro non cade da solo. Lo si deve buttare giù. Perciò non caduta ma abbattimento. Certo: qualcuno lo ha alzato e qualcun altro lo ha abbattuto. E qui entriamo nelle cose. Chi e perché è stato costruito e, stessa domanda, per il suo abbattimento? Questa premessa per dire che anche di questa guerra in corso, occorrerebbe cercare di capire le cause. Chi e perché è iniziata? Se ci si pongono queste due domande subito si viene azzittiti con la contemporaneità del fenomeno: ma intanto quel bambino, quel villaggio, le donne violate, ecc. Parrebbe non sia possibile dire altro, che registrare l’orrore in corso. Ma una volta fatto, che succede? L’orrore svanisce? Certo che no. Ed allora a che serve la registrazione dell’inaudito? Del non ammissibile? Quindi, per non cadere in particolarismi inutili, almeno cerchiamo di indagare sul perché questa guerra venga trattata così dai nostri mezzi di informazione e perché sia possibile trattarla così. Oramai è più di un mese che ogni giorno, per tutto il giorno, noi si venga interessati dall’orrore. 

Dopo la distruzione della ragione a causa dello stesso servizio per il Covid-19, ecco ora la distruzione della razionalità per come la guerra in atto viene raccontata. E si scoprono sempre più nuovi orrori. Altri ve ne saranno. E la registrazione degli atti di disumanità continua ad essere sempre più incessante. È la prima guerra che viene così documentata. Fra l’altro in contemporaneità di altre guerre in atto. Non vi è questa pletora di inviati televisivi e giornalisti free lance a coprire altre guerre incorso: Yemen, Siria, Libia, solo per fare pochi esempi. E fermiamoci qui. Anzi queste guerre sono a malapena ricordate dai notiziari

La situazione più paradossale riguarda proprio quello che accade in Libia, di fronte alle nostre coste. Ma si preferisce mandare inviati o acquisire il lavoro di giornalisti indipendenti da remoti paesini dell’Ucraina, che diciamolo anche qui, non è proprio nel cuore dell’Europa, come troppi dicono, almeno dal punto di vista geografico. Se poi si volesse cercare di trovare cause al fenomeno discutendo sulle modalità di comportamento di associazioni internazionali come la NATO, dato che l’ONU vive una sua vita-morte da troppo tempo, se poi si volesse rimettere in piedi un’analisi geopolitica, subito si viene ricacciati all’interno della caverna, dove ogni sorta di orrore viene perpetrata. 


Cosa si vuole cercare di discutere di fronte al bambino che muore; quel bambino ucraino, certamente. Altri bambini, yemeniti o libici non fanno testo. Ed allora ci si sente anche un poco cinici, o tanto cinici, come se si volesse mettere su un piatto della bilancia una morte e sull’altro un’altra simile. Chi dovrebbe avere più attenzione, quando è già stato deciso tutto dalla contemporaneità, e poi, in definitiva, l’attenzione serve a nulla? Detto questo siamo ancora nell’anticamera della caverna e non riusciamo a trovare scampo né vie di fuga in avanti o all’indietro, insomma verso qualche direzione. Proprio come dopo l’ennesima trasmissione sul COVID-19 che è stata superata da quest’altra tragedia. E ci dovremmo rammentare le discussioni inutili sulla malattia infettiva per ricordaci che anche in quelle occasioni eravamo nella condizione di essere tacciati da untori, appena cercavamo di discutere qualcosa, oppure per cercare una possibilità di vita al di là del virus. L’unica possibilità: accodarci a chi negava la malattia stessa. Così come ora per farci ascoltare dobbiamo negare il fatto. 


Questo è molto più difficile, data la montagna di video girati. E se qualcuno cerca di ricordare che anche in altre occasioni i video sono stati ingannevoli – il caso di Timiֻsoara, all’origine dell’abbattimento del regime di Nicolae Ceausescu in Romania nel 1989, ricordate i morti per strada addebitati al Conducator e poi, dopo qualche tempo, spiegati come i cadaveri che dagli obitori della città erano stati trasportati (da chi?) nelle strade –, volendo per lo meno attendere prima di giungere in fretta a conclusioni che potrebbero essere sbagliate, si è subito etichettati in qualche e sprezzante modo. Ed allora avanti con il cuore in mano ed il sentimento caldo verso i morti ucraini, cercando però di non allargare troppo l’orizzonte visivo e motivazionale. Rischieremmo di trovarci di fronte ad uno scenario inaspettato, a quello delle motivazioni da discutere. 


Chissà perché mi viene in mente un vecchio film di Akira Kurosawa, Rashomon, del 1950, dove l’unico fatto effettivo era stata l’uccisione di un uomo durante, un tremendo temporale. Le modalità dell’uccisone però cambiavano sempre, secondo di chi lo raccontava. Giungendo a sviscerare, anche per questa guerra, motivazioni profonde, l’analisi ci farebbe mettere in discussione la pappa del cuore di hegeliana memoria. Non che non ci possa servire per una forma di pietà umana verso il prossimo, che sempre vi dovrebbe essere, ma almeno che lo sia ad occhi aperti e non foderati di inutile bontà verso la comprensione delle drammatiche tematiche di vita che l’uomo mette in campo.


 Con gli occhi aperti saremmo un pò più capaci di capirne di più e un pò più nelle possibilità di intervenire in modo utile. Solo un poco di più. Non molto, ma sarebbe già molto in questa bolgia di retorica disumana che ci accompagna oramai da troppo tempo. La caduta dei simboli ha lasciato al suo posto una simbologia ancora più perniciosa. Le statue abbattute hanno lasciato al loro posto un’unica statua, ben salda sul piedistallo. 

 

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