25 Aprile 2020 per una nuova liberazione
riceviamo e pubblichiamo
Il 19 settembre 2019 il Parlamento Europeo,
rinnovato con le elezioni del maggio precedente e condizionato dal massiccio
ingresso di eurodeputati nazionalisti, xenofobi, neonazisti, ha approvato una
risoluzione in 21 punti che equipara il nazismo al comunismo. Fortemente
caldeggiata dai partiti di estrema destra dell’Europa orientale, dove già da
tempo si è scatenata una feroce repressione contro le organizzazioni comuniste
e di classe - messa al bando di partiti operai, scioglimento di sindacati, vere
e proprie cacce all’uomo (come, ad esempio, in Ucraina), il
documento ha avuto il voto favorevole, tra i rappresentanti italiani a Strasburgo,
anche dei parlamentari del Partito Democratico che non hanno avuto ritegno
nello schierarsi a fianco dei leghisti, dei fascisti di Fratelli d’Italia, dei
forza italioti.
Individuando il 23 agosto di ogni anno come la
“Giornata europea di commemorazione delle vittime dei regimi totalitari” -
ponendo sullo stesso piano, per l’appunto, comunismo e nazifascismo - l’Unione
Europea ha compiuto un’opera di revisionismo storico di inaudita gravità, di
manipolazione degli eventi storici che dovrà trovare spazio, come sollecitato
nella risoluzione stessa, nei programmi didattici e nei libri di testo
destinati alle giovani generazioni di studenti europei.
L’obiettivo perseguito da questo eterogeneo -
ma poi, di fatto, fino a che punto eterogeneo? - blocco reazionario è quello
innanzitutto di offuscare la funzione criminale svolta dai vari regimi di
stampo fascista e nazista affermatisi in Europa nel secolo scorso, in quanto
sistemi politici voluti e sostenuti dal capitalismo contro le aspirazioni
rivoluzionarie e di giustizia sociale manifestate dai lavoratori e dalle masse
proletarie. Quindi di cancellare il contributo, che comportò un sacrificio
immane in termini di vite umane, ad opera del movimento comunista e dall’Unione
Sovietica, patria del Socialismo, nella lotta di liberazione dal nazifascismo.
Più in generale, per l’Unione Europea si rende
necessario creare una nuova identità ideologica autoritaria e anticomunista per
poter attuare politiche economiche che le consentano di competere con le altre
potenze imperialiste, cosa che presuppone una politica omogenea e più efficace
di contenimento e sottomissione di tutte le manifestazioni dell’antagonismo
sociale.
D’altronde già con il “Giorno della Memoria”
(che ricorre il 27 gennaio), istituito a livello internazionale 15 anni fa per
ricordare l’Olocausto, si è sempre cercato di omettere che nei campi di
concentramento nazisti vennero sterminati, oltre a sei milioni di
ebrei, slavi, zingari, omosessuali, disabili, malati di mente e
migliaia di oppositori politici antinazisti, innanzitutto comunisti,
(infatti mai si è colta questa occasione per condannare i violenti metodi di
stampo nazista con cui lo Stato sionista di Israele cerca di “risolvere” la
questione palestinese).
Nel nostro paese, comunque, non abbiamo dovuto
attendere la risoluzione del Parlamento Europeo per avviarci sulla via del
revisionismo storico e della falsificazione dei tragici eventi che sconvolsero
l’Europa intera nella prima metà del ‘900. In Italia, già 16 anni fa, è stata
istituita una giornata commemorativa - il 10 febbraio - conosciuta come il
“Giorno del ricordo”, con cui vengono “celebrati” per l’appunto i “martiri”
delle foibe e l’esodo dei profughi giuliano-dalmati, “trucidati” gli uni,
“perseguitati” gli altri dai “barbari” partigiani comunisti iugoslavi.
Eventi che, decontestualizzati dal più generale
quadro storico - cioè le atrocità commesse, in nome dell’italianità e
dell’imperialismo fascista, dal regime mussoliniano e dalle truppe italiane,
sia prima che durante la Seconda Guerra Mondiale, contro le “inferiori” razze
slave - e attraverso cifre artatamente gonfiate di “infoibati” - si trattò in
realtà di qualche centinaio di gerarchi e militi fascisti, di esponenti
dell’apparato statale del regime, di padroni, tutti macchiatisi di orrendi
crimini contro i popoli della occupata Jugoslavia - sono stati utilizzati in
funzione anticomunista e antipartigiana, aprendo le porte in tal modo ad un
revanscismo nazionalista e ad una sorta di riabilitazione del periodo fascista.
Una sordida operazione politica avviata nel
nostro paese dalla destra, amplificata da alcune aree di intellettuali
(storici, giornalisti e scrittori, registi televisivi) sempre pronti a saltare
sul carro del vincitore del momento, avallata da tutte le forze politiche
presenti in Parlamento. Anche da quei partiti che pur amano dichiararsi
“democratici”, “antifascisti” o addirittura di “sinistra”.
Con un siffatto processo politico e “culturale”
di sdoganamento di uno dei più terribili periodi della storia europea e nazionale,
non ci può stupire la crescita della destra in Italia, sia nella sua versione
autoritaria, eppur legale, del leghismo salviniano o del sovranismo di FDL (con
la Meloni così ben accolta nei più importanti circoli reazionari statunitensi),
che nella sua versione più triviale e squadristica, del tipo di Casa Pound o di
Forza Nuova.
L’apertura di covi neri in molti quartieri
popolari anche di città a forte tradizione antifascista; le adunate fasciste
con esibizione di saluti romani e di simboli del lontano Ventennio; le
aggressioni fisiche contro compagni, antifascisti, immigrati; le manifestazioni
celebrative - spesso con il patrocinio di amministrazioni locali contigue alla
feccia fascista - di figure di vecchi gerarchi dell’era mussoliniana, si susseguono
da anni, in spregio alla Carta Costituzionale e il più delle volte impunite da
parte di uno Stato borghese che solo pochi anni fa ha varato un’ennesima legge
(la Legge Fiano, dal nome del deputato PD che l’ha proposta), che sulla carta
dovrebbe contrastare più efficacemente i rigurgiti neofascisti.
Peccato che pure questo strumento legislativo
riveli aspetti ambigui e pericolosi, finalizzato anch’esso ad omologare, nella
sua applicazione, fascismo e comunismo, prospettando potenzialmente la messa
fuorilegge anche di forze che da sempre, e più di altre, hanno veramente
combattuto il nazifascismo.
Il rilancio della destra fascista e razzista si
è nutrito anche delle gravi responsabilità dei partiti di centrosinistra e del
PD in particolare che, in ossequio alla ferrea “dittatura del capitale” e alle
sue disumane leggi di mercato - imposte dai grandi poteri economici e
finanziari, da sempre i “padrini” del fascismo - sono stati artefici di
politiche liberticide e dagli alti costi sociali: nel mondo del lavoro e
sindacale, nel sistema previdenziale; oppure nel campo di fondamentali diritti
collettivi con la sistematica distruzione della scuola e della sanità
pubbliche.
Infatti, non dobbiamo mai dimenticare che il
regime fascista è stato finanziato e supportato da finanzieri, banchieri,
grandi industriali e dalle loro multinazionali contro il “pericolo rosso” e
ancora oggi il capitalismo in crisi non esita a utilizzare il neofascismo,
anche in salsa leghista, per dividere i lavoratori, impedire che acquisiscano una
coscienza di classe e reprimerli.
Tutto questo a fronte di un continuo
incremento, imposto dalla Nato, delle spese militari, assecondando così quella
sempre più tangibile tendenza alla guerra che caratterizza i rapporti tra le
grandi potenze imperialistiche del pianeta. Un vero e proprio massacro sociale,
dunque, le cui disastrose conseguenze stiamo pagando oggi che ci troviamo ad
affrontare la pandemia da coronavirus.
E quando l’emergenza sanitaria e la paura del
contagio saranno superate ed esploderà in tutta la sua gravità l’emergenza
economica e occupazionale, la ripresa delle lotte sociali che ne conseguirà
dovrà fare i conti con la loro criminalizzazione, facilitata anche da quei
Decreti Sicurezza che, pur di salviniana memoria, l’attuale governo “giallo-rosso”
(sic!) si è ben guardato dall’abolire, nonostante costituiscano un ulteriore
tassello nel percorso di involuzione reazionaria dello Stato e della società.
Al contrario, con il pretesto dell’epidemia si
sono rafforzati l’autoritarismo e la militarizzazione della vita sociale,
colpevolizzando le masse popolari per la diffusione del contagio e nascondendo
le gravi responsabilità che vanno individuate nel proseguimento a tutti i costi
della produzione (di profitti) da parte dei capitalisti, nella sottovalutazione,
nei ritardi, nelle mezze misure prese per settimane dal governo Conte.
Dietro lo slogan “siamo in guerra” e con un
linguaggio apertamente bellicista (“medici e infermieri sono le truppe al
fronte…”), si è aumentato a dismisura il controllo poliziesco; l’esercito viene
schierato in funzione di “ordine pubblico”, dilagano denunce, multe
pesantissime e gli arresti; si fa terrorismo psicologico al posto
dell’informazione scientifica; si utilizzano strumenti di controllo sofisticati
come i droni e le app telefoniche per controllare movimenti e relazioni
sociali; si fomentano risposte isteriche e la delazione contro chi viola il
“coprifuoco”; si crea ad arte un clima di allarme sociale che serve per
giustificare mezzi repressivi più spietati.
Con lo “stato di emergenza” avanza la
sistematica soppressione delle agibilità politico-sindacali dei lavoratori,
come quella di sciopero, di assemblea, di dimostrazione. È palese il tentativo
di limitare la libertà di espressione, di silenziare le voci critiche, così
come è evidente che la classe dominante vuole approfittare della situazione per
limitare anche in futuro le manifestazioni e le espressioni collettive della
protesta politica e sociale.
Contro un‘ennesima riduzione degli spazi di
agibilità - che ci impedisce anche di scendere in piazza il 25 Aprile - contro
il riaffermarsi dei più egoistici interessi capitalisti, occorrerà sviluppare
la massima capacità di organizzazione e di mobilitazione popolare e proletaria.
Si dovranno porre le basi per una nuova LIBERAZIONE: con la classe operaia,
unitasi in questi tragici giorni, da Nord a Sud, sotto lo slogan “Non siamo
carne da macello”, con le lavoratrici e i lavoratori oggi in prima linea nella
lotta per esigere l’adozione e il rispetto di adeguate misure di salute e
sicurezza, contro l’epidemia e la fame di profitti a ogni costo dei
capitalisti, forti di un rinnovato protagonismo come fu quello della classe
operaia con gli scioperi antiregime nelle grandi fabbriche del nostro paese nel
marzo del ’43.
Ecco perché partiti politici e ambienti
culturali asserviti agli interessi di classe della borghesia sottopongono da
tempo l’Antifascismo e la Resistenza ad un vergognoso processo di revisione
storica e perseguono la criminalizzazione di coloro che - i comunisti - si
fecero maggiormente carico della lotta al nazifascismo.
La borghesia teme il riemergere di quella
componente rivoluzionaria e di classe che animò il movimento resistenziale.
Perché la Resistenza non fu solo “lotta di liberazione nazionale” contro
l’invasore tedesco ma fu anche “guerra di classe”, lotta irriducibile tra due
classi irrimediabilmente antagoniste: la borghesia capitalista e il
proletariato. E in questa lotta il Partito Comunista vi svolse, in ogni sua
fase e più di qualsiasi altra forza antifascista, un ruolo determinante.
La Resistenza, ponendosi anche l’obiettivo di
costruire una società socialista in cui fossero aboliti lo sfruttamento e
l'oppressione capitalistica, fece veramente “tremare” di paura la borghesia
italiana e il suo sistema di potere economico e sociale.
Malgrado questi obiettivi siano stati poi
abbandonati dalla dirigenza del Partito Comunista Italiano, già sulla via del
revisionismo, che antepose l'unità nazionale con gli altri partiti politici
italiani partecipanti alla Resistenza (che miravano alla restaurazione in
Italia di uno Stato democratico-borghese) agli interessi di classe e alla
prospettiva della rivoluzione proletaria, optando persino per il reintegro dei
fascisti negli apparati statali, la Resistenza ancora oggi è considerata dalla
borghesia un fantasma da cacciare indietro, mentre per i comunisti e per i
sinceri antifascisti la Resistenza è ancor più VIVA! Ancor più PULSANTE!"
I comunisti hanno il dovere di difendere
l’esperienza resistenziale da quelle distorte “verità” che partiti
trasformatisi in comitati d’affari delle lobbies economiche e finanziarie,
intellettuali prezzolati, mass media ben addomesticati dai loro padroni
capitalisti, vanno propagandando nel nostro paese.
Ai comunisti spetta il dovere di organizzarsi e
di muoversi verso la costruzione di un nuovo, vero Partito Comunista, reparto
d'avanguardia della classe operaia, che divenga punto di riferimento
insostituibile per le masse popolari e proletarie stanche di subire la violenza
e la barbarie del capitalismo, che considera la classe operaia , i lavoratori e
le loro famiglie come 'numeri sacrificabili' sull'altare del profitto e
accumulazione monetaria attraverso il ricatto della scelta tra salute o
disoccupazione (es. Taranto), minacciando la chiusura o riduzione dei posti di
lavoro con la conseguente povertà e miseria sociale.
La Resistenza rimane quindi un formidabile
esempio di sacrificio e di lotta, di speranza di costruire una futura società
diversa dall’attuale; una società nuova che ha un solo nome:
Socialismo!
Ora e sempre resistenza
Coordinamento Comunista Veneto (CCV)
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