NATO E UNIONE RUROPEA
NATO E UNIONE EUROPEA di Franco Astengo
Il 4 aprile 2019 ricorre il settantesimo anniversario della firma del
Patto Atlantico avvenuta appunto il 4 aprile 1949.
Un anniversario da ricordare proprio nel momento in cui la creazione
della “Via della Seta”da parte cinese fa emergere un segnale tangibile della
fine del “ciclo atlantico”.
Il “ciclo atlantico” è stato, infatti, inteso come perno del sistema di
relazioni internazionali dalla fine della seconda guerra mondiale in poi.
E’ proprio il punto della fine del “ciclo atlantico” quello in
discussione oggi e non tanto il tema di questo o quell’altro accordo
commerciale.
Allora vale la pena ricordare come nacque quella fase storica e come
l’Unione Europea ne abbia rappresentato una delle costruzioni politiche di
riferimento proprio in diretto riferimento con la NATO.
Si tratta di tornare analizzando quelle che furono le intenzioni più
profonde dei cosiddetti “padri fondatori” della Comunità.
Si tratta di ricostruire il pensiero sulla base del quale, proprio all’indomani
della stipula del Patto Atlantico e in diretta correlazione fu costruita l’Europa
Unita, a partire da CECA, Euratom e poi Trattati di Roma (1957), passando per
il fallimento della CED.
In questo senso si può, infatti,
affermare, che l’Unione Europea fosse considerata, nel pieno della guerra
fredda, quale avamposto di quello che al tempo si auto denominava “mondo
libero” posto sotto il protettorato USA.
Un ciclo quello che è stato qui denominato come “atlantico” caratterizzate
prima dalla divisione in blocchi, poi da un periodo di “superpotenza unica” e
ancora dall'aprirsi della fase contraddistinta dalla cosiddetta globalizzazione
con l’emergere del multipolarismo e del ritorno, infine, alla geopolitica
caratterizzata da forme di nuovo protezionismo economico e di nazionalismo
anche e soprattutto militare.
Al fine di comprendere meglio la fase storica immediatamente seguente
la conclusione del conflitto 1939 – 1945 potrebbe essere utile ricostruire le
vicende riguardanti la stipula del Patto Atlantico ponendo questa ricostruzione
in parallelo con quella riguardante le fasi di avvio della costruzione
dell’Unione Europea.
Si trattò, infatti, a cavallo
degli anni’50 di un processo politico e di relazioni internazionale nel corso
del quale la formazione della NATO successiva alla stipula del Patto, consegnò
un vero e proprio “imprinting” all’Unione Europea quale “braccio politico”
della presenza USA in Europa nel fronteggiamento diretto, sul campo, del blocco
sovietico.
In Italia la stipula del Patto fu fortemente osteggiato dalle sinistre.
Si erano appena svolte le
elezioni del 18 aprile 1948 che avevano segnato un’indiscutibile egemonia della
DC e la formazione di un governo “centrista”con repubblicani, liberali e
socialdemocratici.
Il Partito Comunista e quello Socialista, allora legati da un patto di
unità d’azione e che si erano presentati alle elezioni con liste comuni sotto
l’insegna del Fronte Democratico Popolare, svilupparono una forte azione di
contrasto sia nel Paese, sia in Parlamento dove si mossero usando l’arma
dell’ostruzionismo allungando a dismisura i tempi del dibattito.
Si svolsero grandi manifestazioni: A Terni in uno scontro morì l’operaio
Luigi Trastulli.
Il
18 marzo si arrivò al voto alla Camera con un lungo discorso del presidente De
Gasperi (interrotto più volte da tumulti in aula). L’ordine del giorno
presentato da Fausto Gullo per «bloccare l’esame» fu bocciato con 334 contrari
e 2 astenuti, contro 166 favorevoli. L’ordine del giorno del governo fu invece
approvato con 342 voti contro 179 (10 astenuti).
Nelle annotazioni di Andreotti, in quel
momento sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è riportato che De
Gasperi «rivolge un appello-radio agli italiani, molto vigoroso». Igino
Giordani invece «si scaglia contro il papa», al quale «non perdona» di aver
dato all’Azione Cattolica una «direttiva favorevole» al Patto, «dopo una
decisiva udienza del nostro ambasciatore a Washington Alberto Tarchiani».
Andreotti ricorda anche che «L’“Osservatore Romano” pubblica per intero il
testo del Patto Atlantico». Ed ecco l’annotazione conclusiva di Andreotti:
«Finalmente si è votato, con il previsto successo governativo: 188 contro 112 e
8 astenuti» . La Santa Sede ha mantenuto una posizione di vigoroso e continuo
sostegno al fatto, durante tutta la procedura parlamentare.
Dopo questa forzatura mirata all’inclusione nel Patto, una conseguenza inevitabile fu il ridursi del potere negoziale dell’Italia negli affari esteri, quello stesso potere che proprio De Gasperi aveva contribuito a costruire. Ci si ritrovò in una condizione forse quasi peggiore di quella all’indomani della sconfitta, quando almeno le prospettive potevano ampliarsi. Un’altra conseguenza fu l’inasprirsi dei rapporti del governo con l’opposizione politica e con una parte consistente della popolazione.
Dopo questa forzatura mirata all’inclusione nel Patto, una conseguenza inevitabile fu il ridursi del potere negoziale dell’Italia negli affari esteri, quello stesso potere che proprio De Gasperi aveva contribuito a costruire. Ci si ritrovò in una condizione forse quasi peggiore di quella all’indomani della sconfitta, quando almeno le prospettive potevano ampliarsi. Un’altra conseguenza fu l’inasprirsi dei rapporti del governo con l’opposizione politica e con una parte consistente della popolazione.
Con la fine del monopolio atomico (agosto
1949) e la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese si era aperto, negli
USA, un dibattito sui limiti della politica di contenimento e sulla necessità
di correlare gli strumenti politici sui quali essa si era basata con altre
risorse, di efficacia più immediata.
La conseguenza diretta di quella
discussione fu la scelta di militarizzare la presenza americana in Europa,
preparare il riarmo della Germania e trasformare il Patto Atlantico nella NATO
(North Atlantic Treaty Organisation) come struttura organizzativa tale da
rendere possibile la creazione in Europa di un esercito permanente in tempo di
pace.
Alla contrapposizione prevalentemente
politico – economica tendeva a sovrapporsi quella politico – militare.
I problemi della ricostruzione venivano
considerati risolti o lasciati sullo sfondo rispetto alle questioni più urgenti
da fronteggiare rispetto a una minaccia che in quel momento si considerava come
meno remota e più grave.
I sovietici, infatti, avevano scelto nel
1946 la via della competizione atomica e nel 1949 avevano dimostrato di essere
in grado di reggerla adeguatamente.
Per inciso si ricorda che il Patto di
Varsavia fu firmato nel 1955, sei anni dopo la formazione della NATO proprio
alla vigilia del XX congresso del PCUS e dell’avvio del processo di
destalinizzazione.
Negli USA fino al 1949 era prevalsa
l’opinione che l’URSS non rappresentasse una minaccia militare immediata ma
solo un pericolo indiretto: la minaccia sovietica però aveva raggiunto
successivamente, almeno a giudizio degli americani, un’intensità tale da
richiedere una risposta di maggior impegno.
Fu in questo quadro che si realizzò il
rapporto diretto tra NATO e costruzione dell’Unione Europea.
In quel momento si mise in movimento, sul
piano politico – diplomatico, il processo (già avviato comunque in Europa fin
dal 1947) lungo due binari: il binario europeistico e quello della
trasformazione del Patto Atlantico in NATO , operazione completata dal riarmo della
Germania Ovest.
Si tende a vedere nelle intersezioni fra
europeismo e politica di solidarietà atlantica qualcosa di occasionale o,
secondo sfumature diverse, due ordini di iniziative politiche mosse da un
diverso disegno ma rese talora convergenti dalle circostanze.
Tuttavia questa separazione concettuale
appare forzata e i due momenti dell’azione politica sviluppatasi in Europa
dalla metà del 1950 appaiono, a partire dalla dottrina Truman e dal piano
Marshall, due facce della stessa medaglia.
La medaglia da coniare era la costruzione
di un sistema istituzionale europeo funzionale all’integrazione sempre più
stretta dei paesi che si consideravano oggetto della minaccia sovietica e che,
al tempo stesso, giudicavano indispensabile far partecipare a tale integrazione
il più esposto dei paesi europei, appunto la Germania Ovest.
Partirono così le iniziative riguardanti
la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) e della CED (Comunità
Europea di Difesa): questa seconda fallì per l’ostilità della Francia alla
ratifica del trattato in relazione all’ostilità convergente di forze
eterogenee, nel timore proprio del riarmo tedesco.
Questo abbozzo di ricostruzione si ferma
qui dopo aver ricordato l’esistenza di un nesso diretto tra Patto Atlantico,
NATO e Unione Europea: un segno distintivo che, nel progressivo mutamento del
quadro di relazioni internazionali fino alla caduta del Muro di Berlino,
avrebbe comunque caratterizzato l’orizzonte politico della Comunità Europea
come soggetto direttamente collegato alla politica USA in Europa.
Un segno che si è mantenuto nel tempo e
che oggi, forse, trova il momento di una ridefinizione radicale che si sta
realizzando nel nome di mutate condizioni di proprietà tecnologica a livello
globale.
Rimane la possibile valutazione di quello che
può essere considerato un segno tracciato nel tempo: quello della contiguità in
fase di partenza tra NATO e Comunità Europea .
Un segno che non è proprio il caso di
dimenticare quando si tenta la difficile via delle ricostruzioni storiche in
funzione di una possibile attualizzazione sul piano politico.
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