Solo ora, per ragioni elettorali, la Ue si ricorda del lavoro?

Solo in teoria il Parlamento Europeo parla di condizioni di lavoro «trasparenti e prevedibili» per accordare diritti elementari alla forza lavoro, di questo stanno parlando a Bruxelles come atto finale del mandato. Ma non molto ha fatto l'Ue in materia di lavoro, diritti e welfare, anzi spesso le normative europee sono servite per scardinare le legislazioni nazionali imponendo l'innalzamento dell'età pensionabile ma non dei salari minimi europei al di sotto dei quali non scendere.

I diritti nell'agenda di Bruxelles sono una variante dipendente dagli equilibri economici e finanziari, è tardivo e strumentale a fini elettorali parlare ora, a meno di un mese dal 26 Maggio, di costruire un diritto del lavoro europeo. Tardivo perchè il prossimo esecutivo, esicuramente gli equilibri nel Parlamento europeo cambieranno, potrebbe rimettere mano alla legge senza troppe difficoltà, insomma se l'Ue avesse voluto approvare un corpo di diritti (dall'orario di lavoro, al salario, dalle condizioni di salute e sicurezza fino all'età pensionabile) avrebbe potuto farlo negli anni scorsi, anni dedicati invece alle misure di austerità. Anzi approvare una norma a inizio legislatura significaavere anni di tempo per verificarne l'applicazione, paese per paese vigilando perchè non ci siano deroghe e scappatoie.

Sicuramente l'Ue ha molte gatte da pelare, non ultima la regolamentazione dei lavoretti della gig economy, sullo sfondo del contrasto tra lavoro autonomo e subordinato, si prenda ad esempio le sentenze sui fattorini e scopriamo che ogni paese si è mosso in autonomia e spesso in maniera discordante tanto è vero che i tribunali italiani continuano a pensare ai ciclo fattorini come lavoratori autonomi ai quali applicare i generici diritti degli autonomi come se fossero lavoratori in grando di decidere quando, dove e come garantire la loro prestazione (se non lavori a certe condizioni non percepisci salario e vieni buttato fuori tanto per dircela tutta)

Non sappiamo allora cosa potrà decidere il Parlamento europeo ma qualunque decisione verrà assunta siamo ormai fuori tempo massimo, una manovra tardiva ed elettorale destinata a non incidere e ad essere modificata dal prossimo esecutivo.

E la questione non puo' ridursi ai riders senza guardare alle nuove filiere dello sfruttamento che attraversano i corridoi delle merci e della logistica e anche il lavoro agricolo. Forse piace a qualche legislatore e giurista europeo discettare sulle normative, spinto magari da qualche multinazionale che vorrà evitare cause in alcuni paesi in assenza di una legislazione chiara a livello Ue.

Un altro motivo allora per cui dubitare del tardivo interessamento dell'Ue alle sorti dei lavoratori, certi che non ci siano solo i lavoratori delle piattaforme tra i grandi dimenticati dai diritti europei. Il problema va quindi rovesciato partendo da un quesito dirimente: perchè la normativa europea interviene per lo piu' per cancellare le normative di miglior favore per la forza lavoro? Diritti uguali ed esigibili per tutti possono scaturire da un arretramento in molti paesi dove le conquiste sindacali avevano portato alla riduzione degli orari di lavoro e all'aumento dei salari?

Dopo avere risposto a questa domanda possiamo affrontare i nodi delle direttive europee, i diritti esigibili e tutto il resto ma senza cadere nelle tentazioni elettoraliste di chi oggi vuole indossare la maschera del lavoro dopo anni di draconiana austerità .

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