CAMICIE NERE
Tirato per i capelli, lette certe dichiarazioni:
CAMICIE NERE di Franco
Astengo
Savona ha vissuto giornate di vero e
proprio dispregio della memoria di un Città medaglia d’oro della Resistenza, la
cui ricorrenza quarantennale è stata tra l’altro bellamente ignorata
dall’Amministrazione Comunale di destra.
Sabato scorso è accaduto un fatto grave,
al limite dell’indicibile: la Signora Sindaco e il Signor Prefetto hanno
candidamente assistito senza battere ciglio a una cerimonia svoltasi nel
cimitero cittadino di Zinola per lo scoprimento di una lapide in memoria dei
soldati savonesi caduti nel corso della seconda guerra mondiale: da un lato
della lapide sono indicati i corpi combattenti da onorare nella memoria e tra
gli alpini, gli artiglieri, i fanti, hanno trovato inopinatamente posto le
“camicie nere”.
Signora
Sindaco e Signor Prefetto rimasti imperterriti al loro posto durante la
cerimonia, nonostante che visti i contenuti della lapide i rappresentanti
dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza se ne fossero
immediatamente allontanati.
Alla reazione delle associazioni e delle
forze politiche democratiche e antifasciste la risposta della Signora Sindaco è
stata di “non conoscenza dei contenuti della lapide” e, per il futuro, della
necessità di confrontarsi con l’associazione che ha promosso la lapide (una non
meglio identificata Associazione “Caduti senza croce”).
Potrà apparire superfluo ma invece è
assolutamente necessario chiarire un punto preliminare: anche perché, da parte
dei rappresentanti dell’Associazione in questione si sostiene la piena
integrazione, all’epoca, delle Camicie Nere nell’esercito regolare. Integrazione
da cui deriverebbe di conseguenza la loro assimilazione ,anche nel ricordo,ai
reparti combattenti.
Va ricordato con grande chiarezza e
disegno di verità storica che la Camicia Nera è stata la divisa del fascismo e
che il fascismo rimane la più grande disgrazia capitata al nostro Paese nella
sua storia.
La Camicia Nera fu adottata quasi subito
dal fascismo come suo emblema, del resto il nero era considerato come il colore
della morte e la bandiera degli Arditi lo accompagnava con il teschio con il
pugnale tra i denti.
La camicia nera fu adottata da Italo Balbo
fin dalla marcia su Ravenna e poi, naturalmente, nella marcia su
Roma.
Gli squadristi che nel biennio 1920 – 1922
avevano insanguinato il Paese uccidendo, devastando, incendiando e
rappresentando la leva attraverso la quale il fascismo aveva raggiunto il
potere. Attraverso lo squadrismo delle Camicie nere, gli agrari e gli
industriali erano riusciti a piegare la resistenza dei contadini e gli
operai.
Gli squadristi in Camicia Nera furono poi
inquadrati nella Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale: un corpo armato
parallelo a quelli dello Stato posto al servizio di una parte politica, così
come il “Gran Consiglio del Fascismo” rappresentò un organo parallelo a quelli
istituzionali previsti dallo Statuto.
Tutto questo avvenne molto prima del varo
delle leggi cosiddette “fascistissime” (1925) attraverso le quali il fascismo
assunse compiutamente le vesti di una dittatura.
In questo modo le Camicie Nere
parteciparono, inquadrate nell’esercito, alle guerre fasciste in Etiopia, in
Spagna per combattere la Repubblica democraticamente eletta, nella Seconda
Guerra Mondiale.
Fin qui tutto ovvio: deve essere però
ribadito ancora una volta che la Seconda Guerra Mondiale non può che essere
considerata, per quello che riguarda l’Italia, come una guerra fascista
combattuta (fino alla fine per quel che riguarda le truppe della RSI, anch’esse
provviste di camicia nera) al fianco del mostro più sanguinario che il mondo
abbia mai espresso: il nazismo.
E’ bene tenere queste distinzioni, non
farci travolgere dal “alla fine tutti eguali”.
L’Italia ha ritrovato, il 25 aprile 1945,
la propria capacità di governarsi e amministrarsi autonomamente e non come
colonia degli Alleati soltanto grazie alla Resistenza che ne ha riscattato
l’onore e la presenza nel mondo.
La Resistenza ha rappresentato l’atto
fondativo del nostro Paese dopo il Risorgimento e dopo che la Casa Regnante
aveva trascinato l’Italia in due insensate e tragiche guerre
mondiali.
Accanto alla Resistenza, naturalmente,
vanno ricordate le sofferenze delle popolazioni civili,i 600.000 militari
italiani abbandonati dalla fellonia dell’8 settembre all’estero e internati in
Germania essendosi rifiutati di aderire alla Repubblica Sociale, i combattenti
dell’esercito schieratisi a fianco degli Alleati nel corso della loro faticosa
risalita delle penisola.
Faticosa risalita della penisola al punto
che, è bene ricordarlo ancora, le grandi città del Nord furono liberate dai
Partigiani in anticipo sull’arrivo delle truppe anglo
–americane.
Questo riassunto , forse inutile ma non è detto che lo
sia stato, per dire che le “Camicie Nere” sono state il simbolo del fascismo e
che questo fatto non può essere dimenticato o deviato nella costruzione di una
memoria storica che deve essere continuamente alimentata per non restare
colpevolmente smarrita.
Si ricorda ancora che Savona è la città di
Sandro Pertini, senza aggiunte o richiami a un nome che da solo spicca nel
firmamento della parte migliore della storia di questa
Nazione.
La città distrutta dai bombardamenti fu
poi ricostruita grazie all’operato di una giunta formata in buona parte da
operai delle sue grandi fabbriche, l’Ilva e la Scarpa e Magnano, rappresentanti
dei grandi partiti di massa della sinistra italiana.
Una città ricostruita dalle macerie della
guerra in un periodo di grande lotta per la difesa delle sue fabbriche, la cui
presenza – nel corso di quei drammatici anni ’40 – ’50 – era stata messa in
discussione a causa della riconversione dell’industria bellica portata avanti
dal governo democristiano che certo non nutriva grande simpatia per la classe
operaia “rossa” della nostra Città.
Quella classe operaia che l’aveva liberata
dalla tirannia del fascismo in Camicia Nera.
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