UN OSSERVATORIO SUL FASCISMO
Nel quadro di ristabilire un
corretta dialettica tra il passato e l’oggi
L’importanza di un
osservatorio sul fascismo
di Davide
Conti
con un
contributo di Franco Astengo
Da http://www.osservatoriosulfascismoaroma.org/:
«Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Davide Conti storico e scrittore».
Dal blog “La bottega del Barbieri” mi
permetto di riprendere questo intervento dello storico Davide Conti che appare
quanto mia appropriato in questo momento storico, anche in considerazione di
quanto accaduto a Savona nei giorni scorsi.
Da Roma quindi l’idea dell’osservatorio
può essere trasferita ad altre realtà. Come primo contributo, in calce all’intervento
di Conti, riproduco un sunto degli interventi elaborati su quanto avvenuto
recentemente a Savona chiedendo a tutte le organizzazione democratiche e
antifasciste, in particolare all’ANPI e agli Istituti Storici, di prendere in
considerazione questa possibilità
Questo l’intervento di Davide Conti
Gli strumenti di analisi del
presente rappresentano, da sempre, un fattore centrale dell’azione politica,
della sua capacità d’impiego ed incisività nella realtà nonché della sua reale
possibilità di misurazione con le diverse complessità delle società
contemporanee.
Ecco, dunque, perché la costruzione
di un «Osservatorio sul fascismo a Roma» diviene non solo un’iniziativa utile
al monitoraggio ed alla denuncia di pericolosi e regressivi fenomeni di
manifesto segno razzista, discriminatorio, sessista e omofobo ma soprattutto un
punto di osservazione «privilegiato» che partendo dalla capitale d’Italia
(costante laboratorio dell’estrema destra nel nostro paese) può offrire una
chiave di lettura dei diversi aspetti e caratteri che tendono a comporre il profilo
cosiddetto «identitario e sovranista» delle nuove destre nel quadro della crisi
economico-sociale e politico-culturale.
Una crisi di struttura che
attraversa non solo l’Italia ma l’intero contesto internazionale (dagli Usa al
Brasile; dal «cartello» di Visegrad ai paesi a capitalismo maturo come Francia
e Germania fino al nord-Europa scandinavo, ex patria della socialdemocrazia)
dove ormai l’ingresso nella società politica di formazioni di estrema destra è
divenuto un dato di realtà difficilmente contrastabile, sul piano
dell’addentellato e della rappresentanza sociale, dalla sola debole retorica
dei «fronti europeisti» da contrapporre al «sovranismo».
L’emergere di fenomeni, movimenti e
partiti dell’estrema destra, dunque, si riconnette direttamente alla misura più
generale della crisi che le società contemporanee attraversano e che si
caratterizza per la manifesta incapacità ad assorbire le loro più evidenti
contraddizioni (dalla crescita della povertà fino alla disoccupazione di
milioni di europei; dal costante smantellamento delle legislazioni di diritto
sociale fino alla contrapposizione aperta tra libera circolazione di merci e
capitali da un lato e politiche di «respingimenti» e discriminazioni degli
esseri umani dall’altro) che divengono terreno di crescita e radicamento,
culturale prima ancora che sociale, delle organizzazioni neofasciste. In Italia
queste ultime se numericamente ed elettoralmente mantengono un profilo
nominalisticamente marginale hanno però ottenuto una piena legittimazione delle
loro istanze regressive all’interno della sfera pubblica. Emblematica, in
questo senso, appare la vicenda della formula «prima gli italiani» nel suo
passaggio da slogan relegato agli ambienti neofascisti ad indirizzo generale
della politica di governo dell’economia e dell’ordine pubblico.
In questo quadro l’iniziativa di
dare vita ad un «Osservatorio sul fascismo a Roma» diviene una necessità prima
di tutto metodologica e attivistica, un’opportunità per maneggiare uno
strumento concreto costruito attorno al rilevamento ed all’analisi dei dati;
alla composizione di griglie interpretative dei fenomeni; al contributo plurale
dei soggetti che si pongono in contrasto all’estrema destra; alla formulazione
di proposte d’azione che ripropongano una nuova centralità dell’antifascismo
svincolata dalla retorica celebrativa e invece connessa ai terreni sociali,
politici e culturali che ne fecero la base dell’identità europea nel secondo
dopoguerra.
Il movimento internazionale
antifascista rappresentò storicamente non solo lotta ai regimi autoritari ma
sopratutto la radice d’origine di nuovi e socialmente evoluti equilibri
dell’assetto delle società. Questo processo generale in Italia trovò il suo
approdo nella Costituzione ovvero nella sua misura più avanzata di «teoria dello
Stato» in termini di giustizia sociale, centralità del lavoro, uguaglianza
sostanziale, legittimazione dei processi di emancipazione delle classi
subalterne, azzeramento delle discriminazioni in ogni loro forma.
Ripristinare una corretta relazione
dialettica tra il passato e l’attualità non può non concretizzarsi attraverso
il rilievo dei caratteri reali del presente. Per questa ragione l’Osservatorio
è uno strumento prezioso che possiamo utilizzare. Starà a noi il compito di
farlo nella forma più giusta.
Nota:
Aggiungo al testo di Conti una considerazione conclusiva: è vero che le forze
dichiaratamente neofascista (che pure violano la disposizione transitoria e
finale XII della Costituzione) appaiono esigue numericamente sul piano
elettorale ma proprio lo slogan “Prima gli italiani” che Conti opportunamente
cita rappresenta uno dei punti costitutivi dell’attuale alleanza di governo. Di
modo ché il richiamo antifascista deve rappresentare uno degli elementi
fondativi di un’opposizione che rimane tutta da costruire.
Questo invece il
riassunto delle vicende savonesi accadute nell’attualità ricordando che il
prossimo 27 ottobre si svolgerà a Savona una grande manifestazione
antifascista, antirazzista, per la democrazia costituzionale.
CAMICIE NERE
di Franco Astengo
Savona ha
vissuto giornate di vero e proprio dispregio della memoria di un Città medaglia
d’oro della Resistenza, la cui ricorrenza quarantennale è stata tra l’altro
bellamente ignorata dall’Amministrazione Comunale di destra.
Sabato
scorso è accaduto un fatto grave, al limite dell’indicibile: la Signora Sindaco
e il Signor Prefetto hanno candidamente assistito senza battere ciglio a una
cerimonia svoltasi nel cimitero cittadino di Zinola per lo scoprimento di una
lapide in memoria dei soldati savonesi caduti nel corso della seconda guerra
mondiale: da un lato della lapide sono indicati i corpi combattenti da onorare
nella memoria e tra gli alpini, gli artiglieri, i fanti, hanno trovato
inopinatamente posto le “camicie nere”.
Alla
reazione delle associazioni e delle forze politiche democratiche e antifasciste
la risposta della Signora Sindaco è stata di “non conoscenza dei contenuti
della lapide” e, per il futuro, della necessità di confrontarsi con
l’associazione che ha promosso la lapide (una non meglio identificata
Associazione “Caduti senza croce”).
Potrà
apparire superfluo ma invece è assolutamente necessario chiarire un punto
preliminare: anche perché, da parte dei rappresentanti dell’Associazione in
questione si sostiene la piena integrazione, all’epoca, delle Camicie Nere
nell’esercito regolare. Integrazione da cui deriverebbe di conseguenza la loro
assimilazione ,anche nel ricordo,ai reparti combattenti.
Va ricordato
con grande chiarezza e disegno di verità storica che la Camicia Nera è stata la
divisa del fascismo e che il fascismo rimane la più grande disgrazia capitata
al nostro Paese nella sua storia.
La Camicia
Nera fu adottata quasi subito dal fascismo come suo emblema, del resto il nero
era considerato come il colore della morte e la bandiera degli Arditi lo
accompagnava con il teschio con il pugnale tra i denti.
La camicia
nera fu adottata da Italo Balbo fin dalla marcia su Ravenna e poi,
naturalmente, nella marcia su Roma.
Gli
squadristi che nel biennio 1920 – 1922 avevano insanguinato il Paese uccidendo,
devastando, incendiando e rappresentando la leva attraverso la quale il
fascismo aveva raggiunto il potere. Attraverso lo squadrismo delle Camicie
nere, gli agrari e gli industriali erano riusciti a piegare la resistenza dei
contadini e gli operai.
Gli
squadristi in Camicia Nera furono poi inquadrati nella Milizia Volontaria
Sicurezza Nazionale: un corpo armato parallelo a quelli dello Stato posto al
servizio di una parte politica, così come il “Gran Consiglio del Fascismo”
rappresentò un organo parallelo a quelli istituzionali previsti dallo Statuto.
Tutto questo
avvenne molto prima del varo delle leggi cosiddette “fascistissime” (1925)
attraverso le quali il fascismo assunse compiutamente le vesti di una
dittatura.
In questo
modo le Camicie Nere parteciparono, inquadrate nell’esercito, alle guerre
fasciste in Etiopia, in Spagna per combattere la Repubblica democraticamente
eletta, nella Seconda Guerra Mondiale.
Fin qui
tutto ovvio: deve essere però ribadito ancora una volta che la Seconda Guerra
Mondiale non può che essere considerata, per quello che riguarda l’Italia, come
una guerra fascista combattuta (fino alla fine per quel che riguarda le truppe
della RSI, anch’esse provviste di camicia nera) al fianco del mostro più
sanguinario che il mondo abbia mai espresso: il nazismo.
E’ bene
tenere queste distinzioni, non farci travolgere dal “alla fine tutti eguali”.
L’Italia ha
ritrovato, il 25 aprile 1945, la propria capacità di governarsi e amministrarsi
autonomamente e non come colonia degli Alleati soltanto grazie alla Resistenza
che ne ha riscattato l’onore e la presenza nel mondo.
La
Resistenza ha rappresentato l’atto fondativo del nostro Paese dopo il
Risorgimento e dopo che la Casa Regnante aveva trascinato l’Italia in due
insensate e tragiche guerre mondiali.
Accanto alla
Resistenza, naturalmente, vanno ricordate le sofferenze delle popolazioni
civili,i 600.000 militari italiani abbandonati dalla fellonia dell’8 settembre
all’estero e internati in Germania essendosi rifiutati di aderire alla
Repubblica Sociale, i combattenti dell’esercito schieratisi a fianco degli
Alleati nel corso della loro faticosa risalita delle penisola.
Faticosa
risalita della penisola al punto che, è bene ricordarlo ancora, le grandi città
del Nord furono liberate dai Partigiani in anticipo sull’arrivo delle truppe
anglo –americane.
Questo riassunto ,
forse inutile ma non è detto che lo sia stato, per dire che le “Camicie Nere”
sono state il simbolo del fascismo e che questo fatto non può essere
dimenticato o deviato nella costruzione di una memoria storica che deve essere
continuamente alimentata per non restare colpevolmente smarrita.
Si ricorda
ancora che Savona è la città di Sandro Pertini, senza aggiunte o richiami a un
nome che da solo spicca nel firmamento della parte migliore della storia di
questa Nazione.
La città
distrutta dai bombardamenti fu poi ricostruita grazie all’operato di una giunta
formata in buona parte da operai delle sue grandi fabbriche, l’Ilva e la Scarpa
e Magnano, rappresentanti dei grandi partiti di massa della sinistra italiana.
Una città
ricostruita dalle macerie della guerra in un periodo di grande lotta per la
difesa delle sue fabbriche, la cui presenza – nel corso di quei drammatici anni
’40 – ’50 – era stata messa in discussione a causa della riconversione
dell’industria bellica portata avanti dal governo democristiano che certo non
nutriva grande simpatia per la classe operaia “rossa” della nostra Città.
Quella
classe operaia che l’aveva liberata dalla tirannia del fascismo in Camicia
Nera.
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