Le tutele sempre piu' ridotte nei cambi di appalto

I cambi di appalto sono la principale insidia per centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici che nel passaggio da una azienda all'altra rischiano di perdere ore, salario, contributi previdenziali se non addirittura lo stesso posto di lavoro. In questi anni ha prevalso infatti la logica liberista che antepone alla tutela della forza lavoro la supremazia del mercato e degli interessi di impresa.

Prevalendo una certa logica, anche il sistema delle clausole sociale diventa spesso illusorio, formalmente presente nelle gare ma con facilità aggirabile in nome della autonomia di impresa.
Non è casuale infatti che proprio il mantenimento della posizione lavorativa del dipendente sia subordinato alla organizzazione di cui si dota la azienda subentrante, la conservazione del posto di lavoro nei cambi di appalto non è quindi una certezza cosi' come la salvaguardia delle stesse ore contrattuali respingendo a priori la minaccia della riduzione oraria.

L’articolo 2112 del Codice civile dice espressamente che «il rapporto di lavoro continua con il cessionario» e il lavoratore mantiene tutti i diritti ma ci sono mille scappatoie per trasformare questo diritto in una sorta di variabile dipendente dalla nuova organizzazione aziendale.  Basti ricordare infatti l’articolo 29, comma 3 del Dlgs 276/2003 che esclude le tutele previste dall'articolo 2112 del Codice civile quando , nei cambi di appalto,  la ditta subentrante abbia una sua  ben definita struttura organizzativa e una certa autonomia e identità di impresa che rappresentano elementi di rottura rispetto al precedente appalto. In questo caso allora l'autonomia organizzativa diventa strumento per aggirare le tutele del Codice civile e dei contratti nazionali.

Il ragionamento diventa assai complicato, per altro lo dimostrano innumerevoli e controverse Sentenze, laddove il lavoro, ergo il passaggio dei lavoratori nel cambio di appalto, diventa uno dei fattori produttivi, ma non il fattore per eccellenza, che caratterizzano l'attività di impresa. Il passaggio dei lavoratori deve essere inteso come trasferimento di una serie di competenze, conoscenze, esperienze senza le quali non puo' essere raggiunto un determinato risultato produttivo, si pensa ad una cessione non di singoli individui ma di un insieme di forze e di strumenti indispensabili per l'esercizio di impresa.
 E non parliamo solo della forza lavoro vera e propria ma di un passaggio di beni di una certa entità , una sorta di trasferimento di ramo di azienda con la conservazione dei posti subordinata al mantenimento della stessa modalità e struttura organizzativa. Di conseguenza, se la ditta subentrante sarà organizzata in maniera diversa dalla precedente, la conservazione dei posti di lavoro nel cambio di appalto è a rischio.

Non si tratta di giochi di parole ma di interpretazioni giuridiche che fanno intendere come il lavoratore non sia solo ostaggio delle modalità organizzatrici dell'appalto (e nel caso degli enti pubblici molto dipenderà anche da come saranno scritti i bandi; nustriamo seri dubbi che l'intento di molti dirigenti sia quello di tutelare la forza lavoro quando invece cercano forsennatamente la riduzione dei costi) ma anche di una giurisprudenza che alla salvaguardia del lavoratore e dei lavoratori antepone gli interessi aziendali , o quando il rispetto delle norme anticorruzione viene visto solo in termini burocratici perchè non si combattono i subappalti.

Insomma i cambi di appalto sono ormai una costante minaccia per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, la controversa giurisprudenza sembra dare maggiore risalto agli interessi di impresa e a rimetterci è solo la forza lavoro sfruttata e ricattata.

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