L'INVERSIONE DI TENDENZA
L’INVERSIONE DI TENDENZA di Franco Astengo
Propongo a tutti uno spunto di riflessione, basato su due
affermazioni che mi paiono incontrovertibili:
1) Nella
fase della rivoluzione industriale e della centralità dell’Occidente abbiamo
assistito a un progressivo processo di politicizzazione delle masse, dal quale
sortirono – tra l’altro e non certo come esito meno importante – i partiti
politici moderni superando così lo schema della “democrazia dei notabili” e del
“caminetto”;
2) La
fase successiva quella aperta dalla mondializzazione dell’innovazione
tecnologica dell’esportazione del consumo senza limiti dell’egemonia
dell’individualismo che sta sfociando nel dominio dell’esasperazione della
velocità comunicativa e della conseguente prevalenza dell’apparire nell’esercitare
la “pressione decisionale” coincide con la crescita apparentemente
inarrestabile del processo di spoliticizzazione.
Ha richiamato l’attenzione
su questo punto Giorgio Agamben che dopo aver analizzato il tema dichiara, nel
corso di una sua intervista rilasciata il 28 ottobre a “Robinson” inserto
culturale di Repubblica: “Una società fatta di telecamere e di dispositivi di
sicurezza non può essere democratica”.
La domanda a cui dare risposta è questa: qual è il punto d’attracco
su cui si può far approdare un processo di nuova politicizzazione di massa
invertendo la tendenza in atto alla spoliticizzazione?
Sarà questione di ridefinire
la scala di qualità delle contraddizioni oppure di ricostruire gli strumenti perduti
dell’agire politico?
Esiste una funzione che, in passato, era stata svolta dai
grandi partiti. Una funzione che risulterebbe decisiva proprio a questo
proposito: quella di “alfabetizzazione di massa” portata avanti non soltanto al
riguardo della “identificazione politica” ma, più complessivamente rispetto
alla cultura nel suo insieme, agli aspetti storici, filosofici, letterari,
artistici.
Una funzione pedagogica che dovrebbe servire innanzi tutto a
ricordare in ogni momento la tesi 11: non basta descrivere il mondo (e
amministrarlo così com’è) ma occorre cambiarlo.
E per cambiarlo occorrono “scienza e coscienza” oltre che
visione.
Sotto questo aspetto appare deficitaria, anzi quasi assente,
l’Università che almeno nelle principali facoltà di scienze politiche (limitando il nostro
campo di osservazione all’Italia) pare aver trascurato l’aspetto dei
riferimenti ideali e storici privilegiando l’insegnamento di schemi pre
determinati che costringono e obbligano il rapporto politica e società tutto all’interno della policy in luogo della
politcs .
Così la governance diventa
assolutamente dipendente dalle ragioni dell’economia e della tecnica e non
esprime mai il portato dell’idealità delle ragioni storiche che la “politics”
dovrebbe recare con sé quale bagaglio delle parti determinate. Un bagaglio da
utilizzare per costruire la misura dei rapporti di forza possibilmente al di
fuori dai termini che presenta l’attuale quadro italiano così ben descritto da
Rossanda: le “frottole” del M5S e la “cattiveria” della Lega.
Dovremmo cercare di riprendere uno sviluppo di analisi in
modo da porre al processo di costruzione della decisionalità l’esigenza di
superare il mero pragmatismo nell’affrontare i temi dell’economia e della
tecnica. Disponendo, appunto, di
visione.
Dobbiamo fermare
questa apparentemente inarrestabile rincorsa verso una società composta quasi
per intero da telecamere.
Altrimenti il
risultato di questa rincorsa sarebbe quello che andrebbe bene a chi riuscisse a
rimanere costantemente inquadrato e male per chi restasse oscurato per sempre.
Una divisione quasi manichea tra “dentro” e “fuori”, per una
struttura sociale al riguardo della quale Orwell risulterebbe soltanto
parzialmente profeta.
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