Samba a destra in Brasile
Brasile: Bolsonaro e la “sindrome di Stoccolma”
di Marco Consolo
Samba a destra in Brasile.
Più
di 147 milioni di brasiliani sono stati chiamati alle urne lo scorso 7
ottobre per eleggere Presidente, Vicepresidente, i componenti di Senato
e Camera, governatori degli Stati. Si trattava delle prime elezioni
dopo il colpo di Stato parlamentare contro la Presidente legittima Dilma
Roussef, golpe cha ha insediato Michel Temer, il cui governo “de
facto”, tra le altre misure, ha congelato la spesa pubblica per i
prossimi 20 anni, privatizzato a man bassa e reintrodotto il lavoro
schiavistico.
Sfiora
l’elezione al primo turno di Jair Bolsonaro (46 % con 49.275.360 di
voti), rappresentante dell’estrema destra golpista brasiliana,
ex-capitano dell’esercito, un nostalgico della dittatura militare
(1964-1985) con una lunga lista di dihiarazioni machiste, xenofobe e
razziste, omofobiche. Bolsonaro era stato vittima di uno strano
attentato durante la campagna.
Ma
nonostante la campagna brutale di manipolazione dell’opinione pubblica
che negli ultimi giorni lo ha appoggiato, Bolsonaro dovrà andare al
ballottaggio del 28 ottobre con Fernando Haddad del Partito dei
Lavoratori (PT) che ha ottenuto il 29,3% (31.341.840 voti) insieme alla
sua candidata a Vice-Presidente, Manuela d’Ávila del Partito Comunista del Brasile (PCdoB).
Più
indietro Ciro Gomes, del PDT (Partito democratico Laburista), con il
12,5% e 13.344.000 voti), mentre il grande sconfitto è stato il
candidato del Partito Socialdemocratico (dell’ex-Presidente Fernando
Henrique Cardoso) che ottiene solo il 4,7 %.
A
seguire il candidato di Michel Temer, del Movimiento Democrático
Brasilero, che ha ottenuto solo il 2% e Marina Silva, della Red
Ecologista, con l’1%, e 1.000.000 di voti, mentre nelle elezioni del
2014 era andata vicina al ballottaggio.
Sono
per ora rimaste frustrate le ambizioni di vittoria al primo turno dei
settori golpisti che hanno destituito la legittima Presidente Dilma
Roussef e messo in carcere Lula da Silva con un processo farsa, per
impedirne la candidatura. Ma è una ben magra consolazione, dato che
Bolsonaro ha sfiorato la vittoria con quasi la metà dei voti, in
un’importante svolta a destra del gigante Brasile, spinta da una
campagna contro il Partito dei Lavoratori (PT), dagli scandali di
corruzione e con il decisivo sostegno delle chiese evangeliche. In altri
termini, la destra evangelica, militare e dei latifondisti è a un passo
dal governo.
Un Parlamento polarizzato
La
Camera dei Deputati riflette il nuovo scenario politico diviso tra
l’avversione al Partido de los Trabajadores (PT), e la paura dell’ultra
destra, rappresentata da Bolsonaro.
Il
PT continua ad essere la forza principale alla Camera, con 56 deputati
su un totale di 513, ma ne ha persi 12 rispetto al 2014.
Dietro
al PT si attesta il Partido Social Liberal (PSL), dove oggi milita
Bolsonaro, deputato Federale da 27 anni con diversi partiti, arrivato al
PSL solo nel 2018. Il PSL passa da 1 a 52 deputati.
Uno
di loro, eletto nello Stato di Sao Paulo, è il figlio Eduardo
Bolsonaro, il deputato federale più votato nella storia del Brasile con
1.843.735 milioni di voti, sul cui profilo facebook si fa fotografare
con un mitra in mano e circondato da fucili d’assalto.
Stessa
musica al Senato, dove il PSL passa da 0 a 4 senatori, uno dei quali è
l’altro figlio, Flávio Bolsonaro, eletto con il 31,36 % a Rio de
Janeiro. Qui il PT passa da 13 a 6 senatori, con la clamorosa bocciatura
della ex Presidente Dilma Rousseff, favorita nei sondaggi a Minas
Gerais, ma che ha ottenuto un insufficiente 15,35 %. Tra le esclusioni
eccellenti nel PT, anche quelle di Eduardo Suplicy, senatore durante 24
anni e di Lindbergh Farias, capogruppo del PT rispettivamente negli
Stati di Sao Paulo e Río de Janeiro.
Retrocede
seccamente anche il Movimiento Democrático Brasileño (MDB), del
Presidente golpista Michel Temer il cui candidato presidenziale ed
ex-ministro delle Finanze, Henrique Meirelles, ottiene un misero 1,20 %.
Alla Camera il MDB passa da 65 a 34 deputati e al Senato da 19 a 12
senatori anche se si mantiene como prima forza, nonostante la mancata
elezione di figure chiave come Eunício Oliveira, attuale Presidente del
Senato, sotto inchiesta per l’ Operazione “Lava Jato”, il noto scandalo
di corruzione.
Il
Partito Comunista del Brasile (PCdoB), alleato del PT, ha rieletto al
primo turno il governatore dello Stato di Maranhão, Flavio Dino; ha
eletto la sua Presidente, Luciana Santos, a vice governatore dello Stato
di Pernambuco, insieme al governatore Paulo Câmara (PSB); ha eletto
nove deputate-i federali (è in discussione il decimo); e ventuno
deputate-i nei diversi Stati.
Alla
polarizzazione tra PT e PSL, va aggiunta la grande frammentazione nel
Parlamento con un totale di 30 partiti rappresentati nella Camera e 21
al Senato, il numero massimo registrato nella storia di quest’ultimo.
L’atomizzazione del Congresso metterà a dura prova la capacità negoziale
del prossimo presidente per realizzare diverse riforme, alcune delle
quali hanno bisogno di una maggioranza dei 3/5.
Il
cattivo risultato del Partito Socialdemocratico e del Movimiento
Democrático Brasilero dimostra che il voto della destra si è concentrato
su Bolsonaro, con l’obiettivo di sbarazzarsi del PT al primo turno.
Il
voto ha diviso il Paese-continente: il Nord-Est vota per il Partido de
los Trabajadores e la sinistra, mentre il Sud ed il Sud-Est per la
destra. Nel voto hanno pesato come macigni i territori di Minas Gerais,
Río de Janeiro e Sao Paulo che hanno votato per la destra.
Colpita
da una sorta di sindrome di Stoccolma, più del 50% della popolazione
del Brasile è Afroamericana e molti hanno votato un razzista. Il 51%
sono donne e molte hanno votato un misogino. Del totale della
popolazione, circa il 5 % sono omosessuali e hanno votato un omofobico.
Alcuni perchè dei risultati
Ma
perchè un candidato misogino, xenofobo e pro-dittatura, un ammiratore
di Pinochet che avalla la tortura e gli omicidi di quelli che non la
pensano come lui, può arrivare ad essere il prossimo Presidente del
Paese più grande della regione e tra i più importanti del mondo ?
Alcune delle risposte sono contenute in una interessante intervista a Valter Pomar, lucido dirigente del PT [i], realizzata prima delle elezioni:
“Noi
siamo andati al governo nel 2003 e non abbiamo cercato di fare, non
abbiamo fatto o non siamo riusciti a fare una riforma dello Stato, una
riforma politica, una democratizzazione della comunicazione di massa.
Non abbiamo provato a fare una riforma giudiziaria, una riforma
dell’apparato di sicurezza e militare. Non siamo riusciti a cambiare la
politica di finanziamento privato della cultura, il contenuto
conservatore dei programmi educativi. Potrei continuare con gli esempi,
ma il caso è già chiaro: l’istituzionalità che la classe dominante
brasiliana ha sempre usato per governare è stata lasciata intatta da
noi. E quando questa classe dirigente ha deciso di porre fine al nostro
governo, ha usato l’istituzionalità con grande successo. Con una
aggravante: alcuni di noi si sono arresi a questa istituzionalità, come
se avesse il diritto di fare ciò che ha fatto”.
Fin qui, l’analisi interna di alcuni degli errori commessi dai governi a guida PT.
Ma
dal golpe istituzionale contro Dilma, e dall’avvento del golpista
Temer, hanno giocato anche altri fattori. Proviamo ad esaminarne alcuni.
Il
candidato Fernando Haddad è ben diverso da Lula: il primo è un
distaccato accademico, il secondo una figura carismatica e popolare. Tra
gli errori commessi dal PT, c’è stato quello di rimandare fino a un
mese prima della scadenza elettorale la designazione di Haddad, quando è
stato evidente che Lula non sarebbe stato scarcerato. Troppo poco per
il trapasso di voti da Lula ad Haddad. La sinistra dal canto suo, sconta
una distanza dalla sua base sociale tradizionale, accentuata da episodi
di corruzione e da un rifiuto di massa della politica tradizionale.
Foto: REUTERS/Rodolfo Buhrer
La
sinistra (moderata e radicale) al primo turno si è presentata divisa
con almeno 3 candidati: i primi due (Fernando Haddad e Ciro Gomes
ex-ministri di Lula) e il terzo, Guilherme Boulos, dirigente del
Movimento per il diritto alla casa. Messo in carcere Lula, la sinistra
non ha trovato candidati unitari ed alleanze amplie, meno a pochi giorni
dalle elezioni.
In
una situazione estremamente polarizzata, il centro scompare e la destra
tradizionale ha votato in blocco per fare scomparire dallo scenario
politico il PT e la sinistra in generale, che non ha capito che
Bolsonaro rischiava di vincere al primo turno.
Si
è trattato di un voto di protesta contro l’intero sistema politico, un
voto “anti-politica”. La destra ha cavalcato “nuovismo e rottamazione”,
ha presentato “facce nuove”, ed il voto ha mandato a casa molti
candidati della tradizionale politica brasiliana. La voglia di
“cambiamento” è stato il cavallo di battaglia di figure interne allo status quo.
I poteri forti hanno avuto la capacità di imporre “un’alternativa
d’ordine” anti-establishment, paradossalmente emersa dallo stesso
establishment. Un caso già successo recentemente nelle elezioni
colombiane, con Ivan Duque e parzialmente con Macri in Argentina.
La
destra ha impostato la campagna sul tema ordine e sicurezza, in un
Paese dove il crimine organizzato ha un peso enorme in molti settori e
territori. La profondità della crisi istituzionale, politica ed
economica ha generato un forte bisogno di ordine. Con il PT visto come
parte del problema, l ‘”ordine” proveniva da “fuori” dal sistema ed
associato alle Forze Armate, una istituzione che attraversa la crisi con
un’immagine positiva. Per ristabilire l’ordine, Bolsonaro ha proposto
la vendita libera di armi, e la “giustizia fai da te” alla Salvini.
Per
quanto riguarda il linguaggio, ha vinto il candidato che ha messo in
discussione il sistema politico senza timore di sconfinare nel
“politicamente scorretto”, adottando i valori conservatori di “riserva
morale” attribuiti alle chiese evangeliche ed ai militari. In certa
misura, vince chi “la spara più grossa” e il “copione Trump” ha
funzionato anche in Brasile.
Dalla
campagna elettorale la destra ha espunto i temi sociali, dando
centralità, alla “questione morale” (leggi omofobia e misoginia) ed alle
menzogne (fake-news) sparse (spammate) con generosità su tutte le reti
sociali dagli “spin doctors” della comunicazione. E a proposito di
menzogne, dagli Stati Uniti arriva un’interessante analisi della rivista
Foreign Policy [ii],
che titola “Il modello di Bolsonaro non è Berlusconi. E’ Goebbels”. E
nell’occhiello recita “Bolsonaro non è solo un altro populista di
destra. La sua campagna elettorale ha per modello il manuale nazista”.
La
paura della crisi e della destabilizzazione della sfera del “normale” è
stata imposta in modo tale che Bolsonaro è stato votato trasversalmente
da tutti coloro che hanno “qualcosa da perdere”: settori medio alti,
medi, poveri che hanno paura di perdere quel poco che hanno ottenuto
grazie ai governi progressisti. Donne e uomini che hanno paura di
perdere le loro strutture civili e/o religiose a causa dell’ “ideologia
di genere”, la diversità sessuale, l’eguaglianza sociale e la
criminalità. Gli abitanti degli Stati del Centro-Sud produttivo che
temono di perdere il lavoro o il capitale. L’odio ed il disprezzo di
classe (fortemente presente dall’alto verso il basso nella società
brasiliana), la paura della perequazione sociale e l’estensione dei
diritti come potente strumento elettorale: l’ultra-liberalismo
economico non esita ad assumere il conservatorismo sociale come l’altra
faccia complementare della sua proposta.
Il Big Data e Steve Bannon
Come
accade sempre più spesso, i media concentrati e le “reti sociali”
formano le soggettività e le volontà in misura eguale o maggiore
rispetto all’azione politica tradizionale. La strategia di comunicazione
di Bolsonaro, è stata chiara e semplice: ha disertato gli schermi
televisivi (come il Movimento 5 stelle) dove aveva diritto a una
manciata di secondi, per concentrarsi sulle reti sociali e sul contatto
diretto con l’elettorato.
La
campagna è stata apparentemente coordinata da consulenti
internazionali. Si parla insistentemente di Steve Bannon, fondatore di Cambridge Analitica ed assessore della campagna elettorale di Donald Trump, esperto nell’uso del Big Data attraverso
internet. Nella campagna elettorale, la destra ha usato oltre 400.000
robots che incessantemente hanno ripetuto e amplificato messaggi mirati,
diretti a un pubblico selezionato attraverso la geolocalizzazione e
segmentazione degli utenti delle reti sociali. Uno strumento altamente
sofisticato di cui la destra internazionale si è dotata da qualche
tempo.
E’
lo stesso Steve Bannon che nei giorni scorsi a Roma ha dichiarato che
“l’Italia è il centro dell’universo della politica” insieme alla sua
volontà di trasferirsi in Europa per fare da consulente alla destra
europea per vincere le elezioni del prossimo anno.
I neo-pentecostali
A
differenza dei partiti, altri “corpi intermedi” non hanno perso la
capillarità sociale: le chiese evangeliche neo-pentecostali sono
popolari e con un consenso di massa. La loro crescita esponenziale è
iniziata parallelamente all’offensiva reazionaria da parte del papato di
Wojtyla e alla sua stroncatura della “teologia della liberazione” con
la rimozione di diversi religiosi impegnati sul versante sociale.
Oltre
a una fitta struttura di templi religiosi, i neo-pentecostali contano
su una vasta rete di mezzi di comunicazione di massa e su sofisticate
produzioni di telenovelas: una per tutti la serie “storica” televisiva
Moisè, venduta a diversi paesi latino-americani con un forte impatto
nell’immaginario popolare.
Il tempo stringe
Mancano
meno di 3 settimane al ballottaggio e non sarà facile correggere gli
errori commessi. La sinistra dovrà consolidare il voto nel Nord-Est,
base sociale di Lula, ampliare le alleanze non solo sulla base alla
contrapposizione democrazia-fascismo, ma esprimendo un progetto di
società che sappia parlare a tutte e tutti, un progetto di “Stato nuovo”
per il XXI° secolo. L’unico che finora è stato in grado di farlo è
stato Lula, ma in condizioni economiche favorevoli grazie all’alto
prezzo delle materie prime ed al ruolo delle imprese pubbliche, a
partire da quella del petrolio (Petrobras) che nel passato è stata la
chiave di volta della costruzione della Repubblica del Brasile.
Bolsonaro
ha avuto il coraggio di dire che non sa nulla di economia e che
affiderà questa area a un ministro neo-liberale, Paulo Guedes, strenuo
difensore del rapporto con Wall Street, che applicherà la dottrina dei
“Chicago boys” alla “cilena”. E il giorno dopo le elezioni, la Borsa di
Sao Paulo ha aperto con un rialzo del titolo Ibovespa del 4,57%, un dato
che evidenzia che ai “mercati” brasiliani piace l’ex-capitano delle
FF.AA.
Fernando
Haddad ha visitato in prigione l’ex Presidente Lula da Silva,
condannato a 12 anni per corruzione e riciclaggio nella causa Lava Jato.
Dopo l’incontro, Haddad ha inisitito sulla necessità di “unire tutte le
forze democratiche” per sconfiggere Bolsonaro, a partire dal laburista
Ciro Gomes, dal dirigente sociale dei senza tetto, Guilherme Boulos e da
alcuni governatori regionali del PSB (Partito Socialista Brasiliano).
C’è da segnalare l’enorme mobilitazione in Brasile ed internazionale delle donne, che all’insegna del “Ele não” (Lui no) hanno realizzato una enorme mobilitazione contro Bolsonaro.
Le
principali centrali sindacali sosterranno Haddad, dato che Bolsonaro
rappresenta la continuazione degli effetti negativi della “riforma” del
lavoro e della persecuzione nei confronti del movimento sindacale. Al
primo turno, CUT e CTB hanno già appoggiato Haddad, mentre i leader di
Força Sindical, UGT, CSB e Nova Central erano per lo più con Ciro Gomes
(PDT).
Sul
versante internazionale, esulta la destra continentale che si rafforza.
Un governo di estrema destra (violentemente anti-Venezuela, Cuba,
Bolivia e anti-tutto ciò che odori lontanamente a “socialismo”) potrebbe
dare il colpo di grazia all’integrazione regionale non subordinata ai
voleri di Whashington, così come all’’alleanza multi-polare dei Paesi
BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), contrappeso
all’unilateralismo statunitense.
La
vittoria di Bolsonaro è un pericolo che non va sottovalutato ed esige
l’unità delle forze democratiche ed una mobilitazione popolare su
obiettivi chiari per impedire l’avanzata del fascismo e riprendere ed
approfondire il cammino iniziato nel 2002 con la prima vittoria di Lula.
I
17 punti di differenza tra Bolsonaro e Haddad sono molti e significano
18 milioni di voti. Sembra difficile che Bolsonaro riesca a crescere con
l’intensità del primo turno e in questi giorni cerca di comprare
l’appoggio di deputati eletti nella miriade di piccoli partiti di
“centro”. Dal canto suo Haddad deve trovare consensi tra i 50 milioni
che non lo hanno votato, che hanno votato in bianco o nullo o che si
sono astenuti.
Un compito difficile, tutto in salita, ma non del tutto impossibile.
[i] http://www.rebelion.org/noticia.php?id=247252, rivista “La Correo” Nº 79 de octubre de 2018
[ii] https://foreignpolicy.com/2018/10/05/bolsonaros-model-its-goebbels-fascism-nazism-brazil-latin-america-populism-argentina-venezuela/
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