La pace non deve essere la fine di una guerra, ma la normalità
Raffaele Crocco:
“La pace non deve essere la fine di una guerra, ma la normalità”
di LAURA TUSSI
Il contrasto alle guerre e alla cultura bellicista che le alimenta deve
districarsi su più piani, da quello politico a quello culturale, dalla presenza
fisica nelle piazze e nelle strade a una nuova semantica di pace. Lo sostiene,
fra gli altri, il giornalista e inviato di guerra Raffaele Crocco, direttore di
Unimondo e Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo.
Quella di Raffaele Crocco è una vita spesa a costruire
e montare reportages e a portare testimonianze dai vari luoghi di conflitto
armato nel mondo per contribuire prima di tutto a un’informazione seria, vera,
equa, giusta. Oltre a essere giornalista Rai e inviato di guerra infatti,
Raffaele è anche direttore di due progetti divulgativi, Unimondo e Atlante delle guerre e dei conflitti del
mondo, che trattano di vari temi che spaziano dalla nonviolenza ai conflitti nel mondo, senza dimenticare
ovviamente l’attuale e stringente situazione in Ucraina.
Come si pongono
Unimondo e Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo rispetto a queste
prospettive apocalittiche, ma che possono con il tempo concretizzarsi e
diventare realtà, soprattutto tramite l’escalation bellica tra le superpotenze
coinvolte nel conflitto ucraino?
Noi che siamo pacifisti e nonviolenti non parteggiamo
per una parte o per un’altra, anche se cerchiamo di comprendere e studiare le
motivazioni geopolitiche di entrambe. Ma ci si rende sempre più conto che la
ragione non sta e non sarà mai con il potere guerrafondaio, con il militarismo
a oltranza, con il reclutamento di miseri uomini per la guerra, con il continuo
invio di armi in questa congiuntura bellicista e oscurantista e
guerrafondaia.
Il movimento pacifista
è un grande sogno nel cuore in ogni spazio e tempo
È proprio da ogni singola persona, dalla gente che
scende nelle piazze contro la guerra che deve partire un’emanazione di pace.
Dobbiamo a tutti i costi costruire la pace. Fare convergenza di popoli, genti,
minoranze con energie fisiche e emotive e creatività a oltranza per ottenere la
pace tramite la nonviolenza attiva che parte da ogni singola persona – per
approfondire questi concetti si legga il saggio Resistenza
e Nonviolenza creativa. I cittadini dal basso in ogni angolo
del pianeta possono fare la pace, parafrasando le parole di Gino Strada. È
necessario una presa di posizione pacifista di tutte le popolazioni senza farsi
intimorire dalle strategie belliciste, militariste, guerresche dei poteri
forti.
Raffaele Crocco, come
argomenti queste affermazioni sui tuoi canali divulgativi?
In realtà la risposta è più semplice di quanto sembri:
la pace è la cosa più intelligente che possiamo proporre. Dobbiamo lavorare su
questo, trasformando il pacifismo in atto politico, cioè nella costruzione
concreta di una società che sappia misurare con esattezza e convenienza i
benefici della pace. Una società che si fondi sul rispetto dei diritti umani e
che in quel rispetto trovi nuove formule per la distribuzione della ricchezza,
l’uso delle risorse naturali e l’applicazione dei diritti individuali e
collettivi.
È una rivoluzione che
va portata avanti anche sul piano culturale?
Se ci pensiamo, consideriamo normalità la guerra e
questo è semplicemente stupido. È come se considerassimo normale vivere
ammalati, con qualche momento eccezionale in cui siamo sani. Ora, questa idea
che a molti appare irrealizzabile è invece una strada percorribile. Noi abbiamo
gli strumenti e le conoscenze per rendere reale questo progetto. Allora,
andiamo per gradi: la cosa magnifica sarebbe iniziare a parlare di Pace in
tempo di Pace. Intendo che dovremmo smetterla di legarla sempre alla fine di una
qualche guerra. Questo ci costringerebbe a usare parole nuove e diverse.
Soprattutto ci porterebbe a leggere la storia in modo differente e a immaginare
l’educazione, la scuola, come luoghi di costruzione della cittadinanza attiva.
La pace è la pedagogia
della lentezza e la filosofia della bellezza?
Una costruzione e una costruzione lenta, inesorabile,
difficile, inflessibile, quotidiana, che coinvolge tutti e ciascuno. Un agire –
la pace è azione, non immobilismo o indifferenza – che trasforma “l’utopia” in
concretezza. Noi sappiamo esattamente cosa fare. Sappiamo che la guerra è
effetto, non causa. Vuol dire che arriva là dove diritti umani, libertà, equa
distribuzione del reddito restano lettera morta.
Una informazione seria
e coerente e vera
In tutto questo il ruolo dell’informazione è
fondamentale. Credo, con tutta la prudenza del caso, che lo sviluppo della rete
abbia portato benefici abbattendo costi, pigrizie e creando buona
informazione. Si sono moltiplicate le testate impegnate nel diffondere cultura
della pace e nel dare notizie precise di ciò che accade nel Pianeta.
L’informazione poi si è moltiplicata nelle occasioni pubbliche di incontro,
stimolando curiosità e interesse.
Consideriamo normalità la guerra e questo è semplicemente stupido. È come
se considerassimo normale vivere ammalati, , con qualche momento eccezionale in
cui siamo sani
Qual è il ruolo del
movimento pacifista in tutto ciò?
Altrettanto importante però è il lavoro “pratico”,
creato da gruppi, associazioni e ONG pronte ad operare sul campo, sia
intervenendo nelle emergenze e nella salvaguardia reale del diritto umanitario,
sia operando nei territori per far crescere la cittadinanza consapevole,
legando i principi del consumo responsabile, della crescita sostenibile, del
rispetto dell’ambiente e dei diritti alla grande partita ella costruzione
quotidiana della Pace. Nei fatti, oggi possiamo probabilmente contare su una rete
operativa e consapevole molto più presente e solida di trent’anni fa. Magari è
meno appariscente.
La militanza politica
per la pace è solo nelle piazze?
La militanza si manifesta molto meno nella
partecipazione alla protesta in piazza, ma è forte e la troviamo nella piccola,
ma diffusa e responsabile azione quotidiana. Abbiamo conoscenza, strumenti e
voglia di cambiare le cose. È essenziale smetterla di pensare sia impossibile.
È fondamentale mettersi alle spalle le grida e gli slogan di chi sguaina la
spada e grida alla guerra come “inevitabile”. La storia non è non sarà dalla
loro parte. Non per bontà. Semplicemente per intelligenza.
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