Se l'attualità si mangia la storia
L'attualità si mangia la storia
di Tiziano Tussi
Una tesi di fondo riassunta nel titolo del presente scritto, o almeno così pare di primo acchito. Serve per capire i temi presenti, serve per non avere davanti agli occhi della mente i soliti discorsi sulla storia che "insegna a non ripetere gli errori del passato", sulla "storia che accade una volta e che insegna ecc. ecc." (ma ricordo che Marx scrisse che le "cose nella storia accadono due volte, una come tragedia e la seconda come farsa" ed aveva in mente Hegel).
Ma prima vediamo cosa ci dice Francesco Benigno nel suo La storia al tempo dell'oggi (il Mulino, 2024). L'Autore ci dice come il presentismo abbia cambiato la storia (p. 17). Condivisibile ma un poco limitato. Meglio detto: il presentismo si è, mangiato la storia, tutta. Se solo si osservano gli accadimenti contemporanei non si può non riferirsi ad una antropofagia della storia. Vedremo oltre. Benigno si preoccupa della modernità interpretativa nella quale fare precipitare la nuova sensibilità qualitativa - la sostenibilità dello sviluppo -, che deve esserci per un approccio storico positivo, di fronte alla ricerca quantitativa - la quantità di profitto da ottenere, vera fattualità. Le mette di fronte come se di un reale scontro si trattasse, ma noi sappiamo, usando un po' di malizia, di come il capitalismo si sia impadronito dell'aspetto qualitativo facendo profitto anche con esso.
Infatti, basta una verniciata di verde per sentirsi a posto, con la coscienza dell'utile al suo nuovo posto, al sole, sostenibile per tutti ed a tutti ben chiaro (e non potrebbe che non essere così). Insomma, una maschera che deve rendere profitto anch'essa. Altrimenti che si vada pure avanti nello stesso modo di sempre, inquinante, a carbone. E così è in molte latitudini mondiali, dove si vive una vita meschina ed ammalata. Ma dove non si può, dicono i capitalisti, cambiare in corsa l'andamento economico generale. Insomma, un bel fiore circondato da filo spinato e ciò che è là fuori è la solita vecchia vita di stenti.
A proposito un bel film fantascientifico - l'unica possibilità letteraria ad essere al passo con i tempi, ci fa capire anche troppo di come sarà il futuro (2022 i sopravvissuti, 1973). Lo stesso Benigno dice della contrapposizione tra lento e veloce - slow versus fast - naturalmente il discorso è simile al precedente, nuova mentalità nuova vita sociale. La strada per l'affermazione della positività della democrazia si è arrestata nel 1900 con l'insorgere di situazioni autoritarie che hanno portato a milioni morti.
Certo il contrastato rapporto tra destra e sinistra si è dimostrato incapace di riflettere i nuovi problemi, ricordati sopra, riassumibili in bellezza versus meschinità. Benigno mette anche il '68 come cartina di tornasole di una realtà non più duale. Occorre dire che questo fenomeno è stato in realtà, nel suo grosso, un momento di critica radicale, sovente comunista-marxista della realtà in cui vivevamo. Altri fenomeni possono essere descritti come rottamatori dello scontro politico, non il '68 nella sua versione generale. Dalla critica indifferenziata della realtà duale si legge dell'assenza di un leviatano che non vive più in mezzo a noi come un facitore di struttura pensante.
Quindi siamo nudi di fronte al nuovo che avanza, vive e rivive ogni giorno. Siamo nudi di fronte all'adesso qui ed ora. Siamo nudi di fronte ai cicli storici ed alla pretesa della modernità di portare virtù a livello sociale. Tutto si è liquefatto (Baumann) e tutto, quindi, sfugge ad ogni tentativo di raccogliere la vita in una certa qualsiasi forma storica. L'elemento che pare battezzare tale liquefazione è indicato nella caduta del muro di Berlino, duecento anni dalla Rivoluzione francese. Quindi quella distruzione, non già caduta, avrebbe digerito la rivoluzione proletaria, bolscevica, e quella francese di duecento anni prima.
A questo punto poco si capisce della ricerca del nuovo senso della storia (p. 41). Se ogni modernità è stata digerita a cosa vale cercare ancora, cosa? La storia del passato, seguendo quello che dice Benigno è fondamentalmente evaporata, liquefatta, scaduta. La liquefazione naturalmente ha dei liquidatori ben individuati. Il mondo comunista non si è autodistrutto, al di là dei suoi errori di funzionamento, Così come il muro di Berlino non è caduto ma è stato abbattuto. Per il libro di Benigno pare che l'azione del capitalismo, a livello militare ed economico non si dia. (p. 52 ss) Al posto di un tapis roulant verso il progresso che migliora le condizioni di vita dell'uomo, degli uomini, delle classi oppresse, Benigno mette un buco nero: L'olocausto degli ebrei. E dimenticandosi completamente l'olocausto armeno, avvenuto ben prima, così come nella storia altri olocausti - la IV crociata dei pii cristiani, ad esempio - ci dice che da allora un colore nero marchia il tempo a venire. (54 ss) Ma anche qui si dimentica di aspetti che tengono ogni avvenimento collegato al tempo ed al suo scorrere.
Troppi anni fa nella scuola dove insegnavo, il Liceo Parini di Milano, venne a parlare con gli studenti un giovane rappresentante del CDEC. Ad una mia osservazione sugli aspetti economici della Shoah mi rispose convintissimo che lui non credeva a tali aspetti. Quindi il male assoluto per il male assoluto senza altri contorni. È chiaro che così facendo ci si incammina verso la nullificazione del tempo passato, della storia. Il male è qui ed ora, sempre. E quello del passato è solo un altro caso, nel passato, così come lo potrebbe essere nel futuro senza scannerizzazione, senza evoluzione da spiegare.
Ecco che Benigno sottolinea come la storiografia abbia accompagnato ogni fenomeno storico. Ma se dovesse essere in linea con quanto viene asserendo si accorgerebbe che così facendo anche la storiografia diventa inutile. Storiografia come somma di prove storiche, da interpretare. (p.72) Un nuovo problema si pone. Il mondo virtuale, specialmente ora con l'insorgere prepotente dell'intelligenza artificiale difficilmente ci rende la distinzione tra verità, anche solo visibile, e la falsità, sempre e solo visibile sullo schermo del computer. Altro problema che la considerazione nello strumento, il computer come macchina, pone a chi non vuole vedere tale distinzione ma si prende il pacchetto virtuale.
Il capitolo IV (p. 79 ss) si apre con un confronto tra la verità (storica) e l'interpretazione (storica). Una riproposizione di ciò che Carr scrisse nel suo aureo (si dice così) libretto Sei lezioni sulla storia del 1961 ristampato per decenni almeno fino al 2000 ma che contiene pressoché tutti gli imput da ritenere sulla questione dell'essere della storia. Qui naturalmente si cincischia un po' anche con le fiabe e le invenzioni mentali messe accanto alle fonti, cosa che Carr non farebbe mai. Ma fondamentalmente il discorso di base era già stato sviscerato dal Carr. Cosa significa una fonte? Non è certo una statua impassibile, ma un prodotto dell'uomo. Perciò soggetta anch'essa a investigazione storica. La storiografia investigata dalla storia che per essere tale si basa appunto sulla storiografia. Ma Benigno ci dice anche che occorre che lo storico di professione dica ciò che non si può dire, questo lo può fare. E qui insorgono altri problemi. Seguendo la strada dell'all inclusive, piatto ricco mi ci ficco (dal gioco del poker) ogni considerazione risolta deve essere valida.
Quindi si cade nell'indifferentismo assoluto. E ciò non serve per uno sguardo storico che voglia costruire partendo dal passato. Ma il presentismo, cui Benigno si richiama all'inizio non necessita del passato per costruire. E come se ciò che viene messo su venga, subito dopo, dal presente che si è fatto tempo persistente, buttato giù. In questo costruire e ricostruire e sfracellare non serve uno sguardo temporale del passato storico. Il passato non esiste più. Basta la pubblicità. Ecco che il futuro non esisterà mai, dato che il presente diventa immeritamente passato e perciò non offre basi per il futuro. Esiste un continuo presente. "Noi viviamo in contemporanea tre tempi: il presente del passato, che è la storia; il presente del presente, che è la visione; il presente del futuro, che è l'attesa." Sant'Agostino
Quindi il presente impera in ogni modo, o insomma le tesi che propone Benigno si stemperano in un indifferentismo poco solido che avrebbe preso il posto della storia con la S maiuscola e si ripete sempre il dibattito a coda di serpente sulla liceità del sapere storico. Saper cosa e perché? Come prova per questo misunderstanding l'Autore riporta alcuni esempi presi da una mostra tedesca, dove vengono esposte fotografie falsificate, anche loro evidentemente segnali storici, ma falsi. Ricordo anche un famoso libro francese uscito nel 1986 (traduzione italiana 1993) Le commissariat aux archives in cui viene riprodotta tutta una serie di fotografie provenienti da molte situazioni a livello mondiale, fotografie contraffatte. Chi guardava quelle foto vedeva ciò che vi era espresso e se non fosse stato vivo al momento dello scatto non avrebbe saputo se fossero vere o false.
Così come nel capitolo VI si mette l'accento sulla trasformazione dell'attenzione degli storici ai coni d'ombra di rivoluzioni dimenticate da tempo. Esempio quella di Haiti. Ma anche qui il tratteggio della stessa appare veramente troppo veloce e non ci si cura così di mettere in rilievo quel che già successe all'inizio con Toussaint Louverture (per via di una mancanza di denti in bocca) ed il suo sodale, poi complice del suo arresto, Jean-Jacques Dessalines. Stessa sorte toccata ad un altro rivoluzionario contemporaneo Thomas Sankara del Burkina Faso assassinato da un suo compagno d'armi, Blaise Compaoré. Insomma, storie poco indagate. Il senso che appare in superficie del libro è la sua indeterminatezza. Vedremo sempre più questa cifra, così come la vediamo nel capitolo VII che termina invitando a considerare più profondamente l'intreccio tra ideologia ragione ed emozione. L'Autore ci dice che non riflettere su questa triade ci porta a capire nulla di ciò che accade. Insomma, l'emozione come bussola per orizzontarci nella vita. Ma quale vita, certo quella del presente, dato che considera l'IO come prodotto della nostra epoca, dell'odierno: andiamo verso la fine.
Ne esce un senso della storia dinamico, interrelato, con al centro la figura dello storico che deve continuamente porsi la domanda su sé stesso: chi è lui e perché studia proprio quel pezzo di passato lì. Una curiosità a pagina 160/161mette Zygmunt Bauman tra i difensori della storia strutturata. Non pare proprio sia così, almeno stando al suo libro intervista del 2021, A tutto campo, (Laterza) e nello specifico proprio nel capitolo Potere e identità (p. 62 ss). Insomma, una specie di storia di sé del suo se, messa a confronto, al lavoro, con il campo storico nel quale decide di lavorare/vivere. Cosa poi voglia dire e cosa significhi di innovativo ognuno può risolverselo da solo. Non mi pare comunque una grande idea e nulla di particolarmente rivoluzionario. Anche se in ogni modo per Benigno la rivoluzione non ha più molto senso dato che ci rimanda ad un obbligo che viene tentato da alcuni - gruppi sociali, spezzoni di classe, una classe, oppure violenti che si mettono assieme. Dato che il senso etico della stessa si perde nel momento in cui la si fa. Ed ancora di più non si capisce nel momento in cui la si studia. Una storia in movimento senza una direzione precisa e senza un esito, seppur minimo, da considerare. Una sorta di pantano paludoso, una torbiera.
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