Come cambia l'occupazione?
Come cambia l’occupazione?
da tgsky24
Chiedersi come sia cambiata
l’occupazione oggi è una curiosità intellettualmente “pericolosa”: potremmo
scoprire non solo macroscopici ritardi in alcuni processi innovativi oramai
indispensabili, come pure una certa incapacità, da parte dello Stato, a orientare
e stimolare efficacemente i cambiamenti organizzativi e tecnologici. In Italia
– ce lo dice Pier Giorgio Ardeni nel suo ultimo libro[1]
– si lavora di più che in Francia: le ore lavorate sono le stesse, ma lì il
numero degli occupati è maggiore (e parliamo di oltre sei milioni di posti in
più). Ardeni riporta dati che contraddicono alcune diffuse narrazioni: ad
esempio, il part-time sarebbe meno comune in Italia che in altri paesi
Europei (per quanto negli ultimi anni il distacco si vada riducendo) ma, tra turnazioni
orarie improbabili e ricorso agli straordinari, a livello contrattuale la
forza-lavoro italiana verrebbe comunque, decisamente, spremuta – come si evince
peraltro dall’elevato numero di infortuni e morti sul lavoro.
E se infine, da un certo punto di vista, è innegabile
l’aumento degli occupati certificato dall’Istat a fine luglio, è pur vero che questo
dato comprende le occupazioni a tempo parziale[2]
e che riguarda, per il 92% del totale, persone fra i 50 e i 64 anni. Risulta
inoltre incompleto se non si considera anche la crisi delle ore lavorate: quest’ultima
comporta maggiori difficoltà a ottenere un salario intero full-time e,
dal punto di vista generale, un abbassamento dei salari. Il Presidente del
Consiglio, però, continua a festeggiare “il tasso di occupazione più elevato nella
storia italiana”.
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