La Stazione di Bologna: una strage di Stato nella cornice autoritaria, fascista e atlantista dell’Italia della Guerra Fredda. 45 anni dopo il pericolo reazionario incombe di nuovo

 

La Stazione di Bologna: una strage di Stato nella cornice autoritaria, fascista e atlantista dell’Italia della Guerra Fredda. 45 anni dopo il pericolo reazionario incombe di nuovo 



di Laura Tussi

Il 2 agosto 1980, alle 10.25 del mattino, una bomba esplose nella sala d’aspetto della stazione centrale di Bologna, uccidendo 85 persone e ferendone oltre 200. Fu la strage più sanguinosa dell’Italia repubblicana e il simbolo più atroce della “strategia della tensione”, un progetto criminale che insanguinò l’Italia nel corso degli anni Settanta. Per comprendere fino in fondo l’origine politica di quella strage, è necessario collocarla nel contesto più ampio della Guerra Fredda, delle dinamiche interne allo Stato italiano e delle sue connessioni con poteri occulti, apparati deviati e interessi internazionali.
L’attentato di Bologna non fu un gesto isolato di follia omicida, né l’azione di un gruppo impazzito. Fu invece il prodotto di una strategia che vedeva nel terrore un mezzo per orientare la vita politica del Paese. Questa strategia era alimentata da una matrice ideologica ben precisa: il neofascismo, incubato e protetto dentro settori dello Stato e da reti internazionali legate all’Alleanza Atlantica.
Durante gli anni Settanta, l’Italia era attraversata da forti tensioni sociali e politiche. I movimenti operai, studenteschi, femministi e comunisti mettevano in discussione l’ordine costituito, reclamando una trasformazione radicale della società. Di fronte a questo fermento, settori reazionari delle istituzioni italiane, in collegamento con ambienti della NATO e dei servizi segreti occidentali, ritennero che fosse necessario frenare ogni ipotesi di svolta a sinistra.
L’obiettivo era chiaro: impedire che il Partito Comunista Italiano potesse assumere responsabilità di governo, contenere le spinte popolari e rafforzare l’autoritarismo nel Paese.
È in questo quadro che prende forma la “strategia della tensione”, basata su attentati attribuiti falsamente all’estrema sinistra, ma in realtà opera di gruppi neofascisti infiltrati o protetti dai servizi segreti. La logica era quella della destabilizzazione per stabilizzare: creare il caos per rafforzare l’ordine. La strage di Bologna, in questo schema, rappresenta l’apice di una lunga sequenza di atti terroristici, dal 1969 in poi, volti a terrorizzare la popolazione, alimentare la richiesta di sicurezza, e giustificare uno stato d’emergenza permanente.
Il ruolo degli americkani
Il ruolo della componente atlantica di questa trama non può essere sottovalutato. L’Italia era un paese chiave nello scacchiere NATO: confinante con il Patto di Varsavia, con il partito comunista più forte d’Europa occidentale, e con una società civile profondamente politicizzata. Settori degli apparati statunitensi e dell’Alleanza Atlantica non potevano accettare che l’Italia si orientasse verso una forma anche solo moderata di socialismo o che uscisse dalla sfera di influenza occidentale. Così, all’interno del Patto Atlantico e delle sue strutture parallele (come la rete Stay Behind, nota in Italia come Gladio), si coltivavano alleanze con forze reazionarie, anche estreme, pur di impedire mutamenti considerati pericolosi.
Un attentato fascista
La matrice fascista della strage di Bologna è dunque parte di una più ampia dinamica autoritaria, nella quale il terrore veniva usato come strumento politico. Ma la responsabilità più grave è quella dello Stato: settori delle istituzioni non solo sapevano, ma coprirono, insabbiarono, depistarono. Magistrati isolati, giornalisti coraggiosi e familiari delle vittime si sono battuti per decenni contro muri di gomma, connivenze e silenzi, per ricostruire la verità e smascherare il disegno politico che armò la mano degli esecutori.
Oggi, a distanza di 45 anni, la memoria della strage di Bologna continua a interpellare l’Italia. Non solo come ferita aperta o monito civile, ma come chiave per comprendere i rapporti oscuri tra democrazia e potere, tra Stato e sottobosco eversivo, tra sovranità nazionale e condizionamenti internazionali. La strage del 2 agosto non fu solo un crimine contro la popolazione civile, ma un atto deliberato contro la democrazia. Capire la sua matrice autoritaria, fascista e atlantista non è un esercizio storiografico: è un dovere politico e morale per chiunque creda nella sovranità popolare e nella giustizia.
La situazione politica attuale – con l’ evidente rischio di una deriva reazionaria e suprematista mascherata da fedeltà atlantica e una, ad essa solo apparentemente contrapposto, rivendicazione identitaria nazionalista riassunto nello slogan salvinista di derivazione trumpiana “prima gli italiani” – impone di riaprire una pagine buia della storia italiana, quella delle stragi. Troppe verità ancora nascoste e troppe vittime senza giustizia richiedono un intenso lavoro di ricerca e indagine, come quello che ha svolto il giornalista Daniele Biacchessi nel suo ultimo libro “Stragi d’Italia”, illustrato da Giulio Peranzoni, e da cui è stato tratto l’omonimo film.
Iniziative per non dimenticare
Oggi, 45 anni dopo i fatti, è dunque il momento di ricordare e fare chiarezza. Fra gli strumenti che stringiamo nelle mani vi sono anche la musica e ogni forma d’arte per evitare l’oblio e la banalità del male. E per combattere la pericolosa deriva dei depistaggi ci aiutano il giornalismo d’inchiesta ma anche diverse forme artistiche e linguaggi che possono contribuire a comunicare quanto disvelato.
Tanti applausi e commozione hanno accolto il corteo delle celebrazioni della strage di Bologna del 2 agosto 1980, in cui morirono 85 persone. In prima fila alla commemorazione, dietro ai gonfaloni, hanno partecipato tra gli altri la ministra dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, il presidente della Regione, Michele De Pascale, e la segretaria del Pd, Elly Schlein. In piazza sono scesi migliaia di bolognesi. La strage della stazione di Bologna “ha impresso sull’identità dell’Italia un segno indelebile di disumanità da parte di una spietata strategia eversiva neofascista che mirava a colpire i valori costituzionali, le conquiste sociali e, con essi, la nostra stessa convivenza civile”, ha dichiarato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Va segnalata come iniziativa importante anche la ormai ultraquarantennale Staffetta ciclo-podistica “Per non dimenticare”.
Questa corsa a staffetta, che coinvolge ciclisti e podisti, si snoda attraverso diverse località italiane, partendo dal Brennero e arrivando a Bologna, con tappa a Brescia per commemorare anche i morti di piazza della Loggia, e a San Benedetto Valdisambro per inchinarsi alle vittime dell’Italicus, e varie città e paesi lungo il percorso. L’obiettivo è ricordare le vittime della strage e tutte le vittime del terrorismo, promuovendo la memoria e l’impegno contro ogni forma di violenza.
La staffetta non è solo un evento sportivo, ma un momento di riflessione e commemorazione, con tappe in diverse località e incontri con le comunità locali. L’evento è organizzato da diverse associazioni, tra cui il Circolo Naturalistico Novese e ANPI, con il patrocinio di enti locali e il sostegno di associazioni di familiari delle vittime.

Commenti

Post più popolari