Conflitti, sanzioni e riarmo (parte I)
Conflitti, sanzioni e riarmo (parte I)
Tra rallentamento economico, crisi
industriale e perdita di potere d’acquisto dei salari dove, ci stanno portando
l’Ue e la Nato?
Atti dell’omonimo
dibattito della Festa Rossa 2025
La crisi dell’ordine globale
L’attuale fase
geopolitica caratterizzata dalla contrapposizione fra la declinante egemonia
mondiale statunitense iniziata con la fine della Guerra Fredda e le aspirazioni
del Sud globale a guida Brics+ di ridefinizione delle relazioni su base
multilaterale, sta determinando un aumento delle tensioni internazionali e dei
conflitti armati, con conseguente sensibile incremento delle spese militari e
delle politiche di riarmo.
Stiamo attraversando un’inedita fase nella quale dominano l’incertezza e l’instabilità geopolitica, con i conflitti armati che secondo l’Uppsala Conflict Data Program[1] hanno ad oggi superato quota 100, fra quelli combattuti fra soggetti statuali e quelli interni, questi ultimi a loro volta caratterizzati da implicazioni internazionali, come nel caso di quelli in corso in Myanmar, Somalia e Sudan e, nei paesi dell’area del Sahel, Burkina Faso, Mali e Niger solo per citarne alcune.
Guerre civili sovente originate da crisi economiche, disuguaglianze
strutturali e negazione di diritti umani e civili, talvolta a danno di
minoranze etniche e religiose e, quasi sempre, sostenute da attori
internazionali che mirano allo sfruttamento delle risorse agricole e del
sottosuolo. Come nel caso della guerra in corso da anni nell’est della
Repubblica Democratica del Congo, dove opera l’organizzazione paramilitare M23
sostenuta dal Ruanda di Paul Kagame[2],
la quale a sua volte gode dell’appoggio dei paesi occidentali interessati ad
acquistare, tramite intermediazione di Kigali, gli ambiti minerali estratti
illegalmente nella provincia congolese del Nord Kivu[3],
rendendosi implicitamente compartecipi del conflitto.
Un rapido sguardo sul
Medio Oriente
Storicamente buona
parte delle guerre combattute in Medio Oriente affondano le radici nella
politica espansionistica di Israele, che non casualmente non ha mai dichiarato
i propri confini, e nella pulizia etnica implementata, a danno della
popolazione palestinese, a partire dal marzo 1948 a seguito del’approvazione
del Piano Dalet da parte della dirigenza del movimento sionista guidato da Ben
Gurion[4].
E dall’occupazione militare, la colonizzazione e la parziale annessione di
fatto dei Territori Palestinesi (Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est) dopo il
giugno 1967.
Tuttavia, negli ultimi 3 anni con il governo di estrema destra del Primo Ministro Netanyahu abbiamo assistito ad una drammatica accelerazione dell’instabilità regionale e del numero dei conflitti con fronti di guerra aperti da Tel Aviv contro Gaza, Siria, Hezbollah libanese, Houthi yementi e, da ultimo, anche Iran[5]. Questi conflitti hanno portato alla destrutturazione del cosiddetto “Asse della resistenza”[6], anche a seguito della caduta di Bashar el-Assad in Siria da parte dell’organizzazione Jihadista Hayat Tahrir al Sham (HTS), armata e sostenuta dalla Turchia.
Determinando, in tal modo, i presupposti per un riassetto geopolitico dell’area
mediorientale a vantaggio di Israele e Turchia, con accrescimento per entrambi
dello status di potenza regionale e ampliamento delle rispettive aree di
influenza. E, nel caso di Tel Aviv, anche una estensione del controllo militare diretto su porzioni di
territorio siriano e Libanese.
Subisce un ridimensionato geopolitico l’Iran per la perdita e
la sconfitta dei suoi alleati regionali, rispettivamente Assad ed Hezbollah, anche
se ciò non gli ha impedito di uscire militarmente rafforzato dalla “Guerra dei
12 giorni”. Infatti, Tel Aviv, dopo i bombardamenti Usa ai siti nucleari, ha
subito accettato la proposta di Trump di “cessate il fuoco” in quanto rischiava
di impantanarsi in una guerra di attrito non sostenibile oltre il brevissimo
periodo, vista la capacità di resistenza e di risposta missilistica di Teheran[7].
Il quadro geopolitico
globale
Come inizialmente
accennato stiamo attraversando una fase geopolitica caratterizzata da un
incremento delle tensioni internazionali e dei conflitti anche armati, le cui
origini sono da ricondursi alla determinazione statunitense di mantenere il
proprio ruolo egemonico a livello mondiale, nonostante l’ascesa economica,
militare e geopolitica delle potenze emergenti, Cina e Russia in testa.
Un progetto strategico codificato in atti ufficiali, scaturito da dottrine geopolitiche precedentemente elaborate. Nella fattispecie, uno dei più significativi in tal senso risulta il rapporto ufficiale 2018 della Commissione bipartisan incaricata dal Congresso Usa di elaborare la strategia di difesa nazionale. Il documento in questione parte dall’assioma che dalla Seconda Guerra mondiale gli “Stati Uniti hanno guidato la costruzione di un mondo di inusuale prosperità, libertà e sicurezza.
Tale realizzazione, di cui essi hanno enormemente beneficiato, è stata resa possibile dalla ineguagliata potenza militare Usa”. Definita “spina dorsale della influenza globale e sicurezza nazionale Usa“, sarebbe insediata, secondo gli autori, da “competitori globali (Cina e Russia, ndr”) che stanno cercando l’egemonia regionale e i mezzi per proiettare potenza su scala globale”.
E in
merito a ciò la suddetta Commissione ha ipotizzato due ipotesi di conflitto,
prima con Russia e, successivamente, con la Cina, arrivando alla conclusione
che in base agli esisti non favorevoli di tali simulazioni che “la sicurezza e
il benessere degli Stati Uniti sono a rischio più di quanto lo siano stati nei
decenni precedenti”[8].
Da questi presupposti
origina la visione strategica di continuare ad esercitare l’egemonia mondiale
facendo leva sulla superiorità militare, tecnologia e finanziaria e,
opportunamente, prima che venga significativamente erosa, è necessario
affrontare, preferibilmente in modo indiretto, separatamente le due potenze in
questione, evitando, peraltro, che realizzino una alleanza strutturata.
In considerazione di ciò, la suddetta Commissione propone di
aumentare le spese militari di un 3-5% annui soprattutto per incrementare il
dispiegamento di forze militari nella regione dell’Indo-pacifico dove “sono
attivi 4 dei nostri 5 avversari: Cina, Nord Corea, Russia e (non specificati)
gruppi terroristici”. Con l’Iran nel ruolo di quinto avversario, non
casualmente bombardato da Trump durante la “Guerra dei 12 giorni”.
Andrea Vento
13 agosto 2025
Gruppo Insegnanti di
Geografia Autorganizzati
[1] https://ucdp.uu.se/exploratory - Carta interattiva delle guerre e dei conflitti
[2] Parola a..Vento: Cosa accade in Congo? Intervista all’attivista di origine congolese John Mpaliza.
https://giuliochinappi.wordpress.com/2025/02/25/parola-a-vento-cosa-accade-in-congo-intervista-a-john-mpaliza/
[4] “La pulizia etnica della Palestina” di Ilan Pappe. Fazi Editore 2008
[5] https://www.marxismo-oggi.it/saggi-e-contributi/articoli/694-israele-attacca-l-iran-e-la-tensione-in-medio-oriente-sale-alle-stelle
[6] Per Asse della resistenza è una coalizione informale costituita da stati e da partiti con struttura politico-militare, in prevalenza sciiti, alleati o sostenuti dall’Iran ed era composta oltre che dalla Repubblica islamica dalla Siria di Assad sino alla sua deposizione nel dicembre 2024, dalle milizie sciite irachene raccolte nella Forza di Mobilitazione Popolare, dall’Hezbollah libanese (sensibilmente ridimensionato dai pesanti attacchi israeliani del 2024), dagli Huthy dello Yemen e in Palestina da Hamas e dalle Jihad islamica benché queste ultime di confessione sunnita. Scopo dell’Asse della resistenza è quello di riunire e coordinare le forze per opporsi all’influenza straniera in Medio Oriente, in primis statunitense, e promuovere la resistenza contro l’occupazione israeliana della Palestina e degli altri territori dei paesi arabi.
[7] https://www.marx21.it/internazionale/cosa-cela-laccettazione-del-cessate-il-fuoco-da-parte-di-israele-parte-1/
[8] https://ilmanifesto.it/gli-usa-si-preparano-allo-scontro-con-russia-e-cina
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