Facciamo il punto sulle pensioni
Il governo si era impegnato a non incrementare l'età pensionabile alla scadenza del 1° gennaio 2027, dubitiamo possa rispettare questo impegno alla luce dell'aumento delle spese militari e per il reiterarsi dei tagli al cuneo fiscale che non fanno crescere l'economia ma bensì salvano solo le aziende e lo Stato dal corrispondere aumenti alla forza lavoro indispensabili a salvaguardare il potere di acquisto.
Mesi fa l'Inps ha fatto marcia indietro dopo l'aumento dei requisiti previdenziali nei programmi gestionali, fatto sta che gli scenari stanno cambiando e l'aumento delle spese militari rende necessario ad esempio un disimpegno sul fronte previdenziale del Governo che pur si era presentato come nemico della Fornero e dell'innalzamento dell'età pensionabile.
In prospettiva futura avremo tanti assegni pensionistici bassi e lo Stato, tra meno di 20 anni, sarà costretto a intervenire per restituire potere di acquisto e dignità ad importi irrisori prodotti dal sistema contributivo, dai mancati incrementi dei contributi aziendali.
“L’incremento di tre mesi nei requisiti porterebbe l’accesso alla pensione anticipata a 43 anni e 1 mese di contributi, un anno in meno per le donne, una condizione che assegna all'Italia il triste primato della nazione, con Danimarca e Grecia, nella quale si esce più tardi dal mondo del lavoro
La Cgil insiste , a ragione, sull'età pensionabile, ma non focalizza l'attenzione sulla diminuzione dell'assegno previdenziale nel prossimo futuro, del resto quel sistema di calcolo contributivo è stato voluto dai sindacati rappresentativi che hanno innumerevoli interessi nella previdenza integrativa.
La contraddizione principale sta proprio in questi termini ossia nel dimenticare i danni recati da decenni di riforme previdenziali, invocare allora un nuovo intervento potrebbe portare solo acqua al mulino dei datori, della previdenza integrativa e non certo benefici alla forza lavoro. Poi, chi beneficia di ammortizzatori sociali, potrebbe trovarsi in una condizione analoga a quella degli esodati di qualche anno fa, nel caso di aumento dei requisiti per la pensione ma avremmo tutto il tempo per intervenire e risolvere il problema
La questione va posta nei termini reali ossia di classe: un Governo vicino alle istanze popolari dovrebbe iniziare dal rendere dignitose le retribuzioni, accrescere i salari e l'assegno previdenziale, prevedere un sistema di tassazione progressivo, accordare aiuti alle imprese in cambio di investimenti reali in tecnologia, sviluppo ed innovazione.
Ma se all'interno degli Esecutivi forti sono gli interessi e le rappresentanze di gruppi di potere datoriali è scontato che ogni ruolo guida dello Stato verrà progressivamente depotenziato
Ci sono poi pensioni tagliate dalla rivalutazione ma il quadro desolante è dato dal basso importo degli assegni di chi viene da anni di lavoro precario, part time incolpevole e non potrà riscattare i periodi senza copertura previdenziale e assicurativa.
E anche chi avrà dei regolari contributi versati non accederà ad un assegno dignitoso, per questo accrescere i contributi pensionistici e il loro peso effettivo dovrebbe essere una delle priorità.
Innalzare la previdenza pubblica non significa puntare su quella integrativa in un paese come il nostro dove dominano salari bassi, lavoro povero, contratti rinnovati con erosione del potere di acquisto (grazie a cgil cisl uil), in questo contesto mortificante invocare l'ennesimo tavolo previdenziale è veramente discutibile perchè pensioni, salari e welfare marciano di pari passo
Anche un eventuale arresto dell'aumento dell'età pensionabile nel 2027 avrebbe un costo non meglio definito con risorse ancora da trovare, e anche qualora ottenessimo questo risultato saremmo disponibili a sacrificare un pezzo di welfare favorendo magari processi di privatizzazione (ad esempio della sanità)?
Datori e Governo vanno inchiodati alle loro responsabilità ma per raggiungere questo obiettivo serve una visione complessiva, di classe, che manca al sindacato da decenni
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