Contributo di delegati sindacali all'autunno contro l'economia di guerra
*delegati\e Cub
Anno dopo anno tocchiamo con mano la debolezza degli scioperi politici con percentuali di adesioni ridotte ai minimi termini, non vogliamo sottrarci al compito di indire scioperi e di contrastare la guerra e i processi di militarizzazione ma porsi qualche domanda è inevitabile.
Ad esempio, se il nostro paese vede maggioritaria la parte dell'opinione pubblica contraria al genocidio del popolo palestinese, non ci sembra di vedere in giro boicottaggi diffusi delle merci israeliane o manifestazioni di piazza straripanti per costringere il Governo a cambiare politica estera .
La prima domanda ci permette di liberare il campo da alcuni equivoci: veniamo da un anno di mobilitazioni diffuse contro la guerra? Sì e no, rispetto all'estate 2024 il tema della guerra è particolarmente gettonato anche per fini elettorali, è divenuto impossibile ignorare il genocidio dei palestinesi, l'acquisto di gas e petrolio dagli Usa a 5 volte il prezzo pagato alla Russia o dovere ridurre le risorse al welfare aumentando le spese militari. E nei prossimi mesi la crisi, e i dazi, colpirà alcuni settori con particolare forza provocando i primi licenziamenti. La guerra ci tocca direttamente , determina scelte di natura economica e sociale.
E' sotto i nostri occhi appare la riconversione da industrie civili, sovente travolte dalla crisi del settore auto, in produttrici di sistemi d'arma, una realtà già diffusa in numerosi paesi europei anche con l'assenso e il sostegno dei sindacati.
Non sta a noi esprimere giudizi trancianti (soprattutto se non servono a correggere gli errori del passato) ma resta innegabile che siamo arrivati a tanti appuntamenti con anni di ritardo, mentre decine di migliaia di civili morivano sotto i bombardamenti israeliani, vittime di un genocidio sostenuto da buona parte dell’Occidente che, impregnato di cultura neo coloniale, nasconde l’evidenza dei fatti e scambia l’antisionismo con l’antisemitismo.
Chiediamoci perché settori politici con una storia passata documentata di antisemitismo, oggi, invece difendano, a livello mondiale, l’operato del Governo di Israele.
La nostra impressione è che sul tema della guerra si giochino innumerevoli equilibri politici e siano anche pretesto per costruire, in nome della pace, dei cartelli elettorali.
Per quanto dolorosa o scomoda sia, urge sempre osservare la realtà per quella che è senza coltivare illusioni, per quanto significative le lotte intraprese in questi mesi sono insufficienti e urge potenziarle e radicarle a partire dai luoghi di lavoro .
Perchè mentre aumentano le spese militari i nostri salari perdono potere di acquisto e la militarizzazione della società restringe gli spazi di libertà e democrazia, il decreto sicurezza viene silenziosamente accompagnato dal rafforzamento dei codici disciplinari funzionale ai processi repressivi contro delegati e lavoratori scomodi, poi ci sono gli obblighi alla riservatezza aziendale che impediscono di diffondere anche notizie di interesse collettivo e infine il codice penale invocato contro chi chiede di fornire notizie del trasporto di armi sui nostri territori.
Il problema non è rappresentato dalle piazze ma soprattutto dalla reiterata volontà di piegare la mobilitazione ai classici interessi di bottega. Ci verrebbe da chiedere all’area di Usb la ragione per la quale separare le piazze a Roma o a Camp Darby per poi ritrovarsi in Val di Susa d’amore e d’accordo con molti dei soggetti politici (ad esempio Stop Rearmy Europe) dai quali si erano divisi. Il problema non è perseguire l’unità ad ogni costo ma neppure praticare scientemente la divisione adducendo motivazioni politiche destinate a cadere nei giorni successivi quando certi steccati non conviene erigerli, sono quindi dirimenti i contenuti e le prospettive ed è su queste che urge misurarci evitando di riproporre dinamiche da social forum che, dopo il g8 di Genova, hanno palesato innumerevoli contraddizioni travisando quello spirito unitario che su alcuni argomenti, come insegna la mobilitazione negli anni Ottanta, dovrebbe essere il nostro faro guida sempre che l'obiettivo condiviso sia quello di costruire dei movimenti di massa contro la guerra e i processi in atto.
Per noi ci sono alcuni argomenti dirimenti, il primo riguarda la riconversione della ricerca e della produzione da fini civili e militari, il secondo la militarizzazione di scuole, università, ricerca, porti, aeroporti e ferrovia. Per decenni abbiamo abbandonato alcuni temi e oggi, con i venti militaristi che soffiano impetuosamente, in ogni paese Ue alcune aziende dell’indotto meccanico sono già ristrutturate per la produzione militare con l’assenso del sindacato. E quanto è accaduto in questi giorni con la Iveco dovrebbe indurci a considerare la questione riconversione come centrale.
Le mobilitazioni sindacali contro la guerra hanno raccolto pochissimi consensi, per mero realismo guardiamoci i dati delle adesioni agli scioperi e una volta tanto riflettiamo perché la stragrande maggioranza del popolo italiano sarà anche contrario alla guerra ma fa ben poco per contrastarla a parte alcune manifestazioni. Lo stesso ragionamento vale per il boicottaggio dei prodotti israeliani e per la cultura di guerra che ritroviamo invece onnipresente nelle scuole di ogni ordine e grado.
Ci sono fin troppe realtà che eludono la questione della Nato, anche in settori conflittuali si può essere contrari alla guerra, alla costruzione di nuove basi ma di fatto evitare ogni riferimento all’ampliamento delle basi e infrastrutture militari all’ombra della Nato e degli Usa. Il caso Toscano è emblematico: il ruolo nevralgico di Camp Darby investe il porto di Livorno dove attraccano navi per i carichi di armi fino alle ferrovie visto che questa base oggi è direttamente collegata via binario con la rinascita della stazione di Tombolo. Questi lavori di ampliamento sono iniziati da anni e ormai quasi completati, eppure sono stati contrastati da poche realtà quando invece la stragrande maggioranza dei movimenti contro la guerra è attiva sulla nuova base del Tuscania (ancora da costruire) che guarda caso nascerà dopo avere completato le opere di potenziamento di Camp Darby. Tanta miopia per noi rappresenta non solo una contraddizione ma un limite oggettivo come dimostra alla fine il sostegno di tanti cittadini pisani accordato alle opere di compensazione (la base del Tuscania porterà dei soldi per recuperare strade dismesse e monumenti in dissesto). Eludere la presenza delle basi Usa e Nato alla fine porta solo acqua al mulino della militarizzazione.
Per il giorno 4 Novembre l’Osservatorio contro la militarizzazione ha avanzato la proposta di sciopero perché questa data non è solo simbolica ma emblematica della strisciante e perdurante presenza del militarismo nelle scuole, nell’università, con un coacervo di interessi scientifici ed economici a ruotare attorno a guerra, tecnologie duali, alla cultura della prontezza e della resilienza con cui ormai sviluppano quotidiane narrazioni unidirezionali. Urge una mobilitazione diffusa e non solo uno sciopero sporadico contro quella che si preannuncia la Finanziaria di guerra, . Ma sia ben chiaro, almeno per noi, che il problema non è rappresentato dalla fuga in avanti di date e di aree politico sindacali ma da un percorso da costruire in modo limpido e aperto, le realtà contro la militarizzazione di porti, aeroporti e ferrovie sono ancora troppo deboli, subiranno interventi legislativi atti a limitare, se non proprio ad impedire, il diritto di sciopero, hanno già rievocato l’obbligo di segretezza attorno a tutto cio’ che sia identificabile come militare obbligando i lavoratori e le lavoratrici alla riservatezza.
Qui entrano in gioco i codici di fedeltà aziendali contro i quali poco è stato fatto nel recente passato. Eppure, questi codici permetto di capire capire il loro stretto legame con il pacchetto sicurezza contro il quale intere aree si sono mobilitate solo a poche settimane dalla approvazione in Parlamento dello stesso. La cultura dell'obbedienza necessita di modelli sociali e di comportamento ben definiti.
E se la storia qualcosa insegna proviamo a non ripetere gli stessi errori del passato e a cercare sui temi reali una convergenza a partire dalla lettura che diamo della realtà con iniziative atte ad allargare la mobilitazione contro la guerra e a quella logica del nemico interno ed esterno che accompagna i processi di militarizzazione con un effettivo restringimento degli spazi di libertà, di democrazia e di partecipazione mortificando il potere di acquisto dei salari e delle pensioni.
Ed è con questo auspicio che proveremo a dare un contributo e dare vita a una mobilitazione capace di esprimere un punto di vista conflittuale sulla guerra, sui processi economici in atto unificando i due fronti sui quali lavoratori e lavoratrici sono impegnati, il fronte interno della lotta di classe e contro lo strapotere datoriale e la iniziativa contro la guerra e il massacro delle resistenze popolari
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