Conflitti, sanzioni, riarmo
di Martina Paiotta
Conflitti, sanzioni, riarmo: tre termini che, all’interno di
un’Istituzione -la UE- creata un tempo per favorire gli scambi commerciali tra
Paesi Membri, non avremmo mai immaginato di sentire. Ma cosa c’è realmente dietro questa scelta infelice e sciagurata
adoperata dall’Unione Europea, ora macchina bellica? Nonostante la UE sia
tra i principali complici degli accadimenti geopolitici degli ultimi tre anni,
si può ancora affermare, con una certa leggerezza, che non è il diretto
responsabile: gli Stati Uniti, consci del rischio imminente di perdere il
proprio dominio egemonico quasi globale, nonché consci di avere l’Unione
Europea come puntello principale, hanno esercitato pressione affinché la stessa
si riorganizzasse in funzione delle nuove prospettive belliche, bypassando ogni
sorta di tentativo diplomatico. Tentare la risoluzione diplomatica della
questione, non avrebbe fatto altro che sfatare pubblicamente il mito dell’
“avversario cattivo sempre pronto ad invaderci”, generando, di conseguenza, un
grande disappunto, nella popolazione europea, per quel che concerne il progetto
massiccio di riarmo europeo, nonché l’invio di armi, armamenti e risorse a
Kiev, che, in via indiretta, finiscono direttamente nelle casse della NATO.
Un
progetto strategico a tutti gli effetti, implementato dagli USA per continuare
indisturbati ad esercitare il proprio dominio globale, legittimando la
questione attraverso un’ingegnosa attività propagandistica, che oscura ogni
forma di dissenso ed ogni tentativo, da parte dei “Paesi Non Allineati”, di
fornire la propria versione dei fatti. E mentre Stati Uniti e Occidente si
ritrovano a dover reggersi su un sistema di propaganda che sia, allo stesso
tempo, efficiente e di lunga durata, l’altra parte del globo sta semplicemente
provando ad esporre le vere ragioni del suo agire, puntualmente offuscate dalla
censura occidentale, qualcosa che credevamo ormai lontana, ma che è oggi più
viva che mai.
Fino
al 2022, l’Unione Europea aveva, con la Federazione Russa, un rapporto
commerciale florido e intenso, la cui Italia, forse proprio grazie all’amicizia
che ci fu con Silvio Berlusconi, occupava una posizione privilegiata negli
scambi commerciali; una situazione più o meno analoga a quella che c’era stata
con la Libia di Gheddafi, di cui lo stesso Berlusconi riuscì a diventarne un
amico addirittura intimo.
In
entrambi i casi, l’amicizia italo-europea con i “competitors” degli USA, ha
destato qualche preoccupazione proprio negli Stati Uniti, che hanno, in qualche
modo, sempre tentato di ostacolarla, riuscendoci, ahimé, entrambe le volte: nel
primo caso, gli Stati Uniti, con non poca contrarietà da parte di alcuni Paesi
europei come la Germania, attaccarono deliberatamente la Libia di Gheddafi non
tanto perché vigeva un Governo autoritario e repressivo, quanto invece perché
Gheddafi sembrava aver raggiunto un potere diplomatico, economico e strategico
considerevole, riuscendo, nel giro di pochi anni, ad aumentare a dismisura il
proprio potere contrattuale. Peraltro era riuscito a trasformare la Libia, un
territorio povero e, fino a qualche decennio prima, governato, in modo
frammentato da popolazioni beduine in costante conflitto tra loro, in un Paese
industriale decisamente all’avanguardia, in cui molti servizi primari venivano
direttamente garantiti dal Governo a titolo gratuito, come l’istruzione e
l’energia elettrica.
Importante
inoltre sottolineare come la Libia di Gheddafi era ormai divenuto il Paese
egemone del Medio Oriente e dell’Africa, tant’è che, poco prima del crollo del
suo regime, stava lavorando al progetto di implementazione di una moneta unica
per il Continente Africano, un chiaro campanello d’allarme per gli Stati Uniti,
che vollero, a tutti i costi, la morte del leader libico.
Nel
corso degli ultimi decenni, allo scopo di offuscare il ruolo della Russia nel
contesto internazionale, nonché di dare percezione, alla comunità
internazionale, che si tratti a tutti gli effetti di un nemico comune, gli
Stati Uniti, con una complicità sempre maggiore da parte dell’Unione Europea,
hanno deliberatamente provocato il conflitto in Ucraina avanzando militarmente
-attraverso l’espansione della NATO- sempre più in prossimità dei territori
russi, russofoni e russofili, nonostante la promessa effettuata nel corso dei
decenni scorsi che tuonava “non un centimetro ad Est”.
Sebbene
ora la NATO venga presentata come una “pacifica” organizzazione allo scopo di
mantenere gli equilibri geopolitici globali, il vero scopo con cui essa è nata
lo si può già immaginare: all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati
Uniti, vincitori insieme all’Unione Sovietica, Francia e Gran Bretagna, non
potevano tollerare di avere, oltreoceano, una potenza così ampia, dal punto di
vista territoriale, e così strategicamente organizzata, di cui, peraltro, non
ne condividevano affatto l’ideologia politica. Gli Stati Uniti, da sempre un
Paese iper-capitalista, non potevano mandar giù la presenza dell’Unione
Sovietica di stampo comunista, tanto meno se quest’ultima si trovava nelle
condizioni di esercitare una forma di egemonia su tutto il lato Est del globo
e, in parte, anche in Europa.
Si
può con certezza affermare che Stati Uniti e Unione Sovietica erano stati,
durante la Seconda Guerra Mondiale, semplici “alleati di comodo”, senza aver
nulla da spartire né a livello ideologico né tantomeno politico o economico: in
altre parole, fu un’alleanza finalizzata esclusivamente al rovesciamento dei
regimi nazi-fascisti in Europa, caratterizzati perlopiù da una politica estera
espansionistica e di conquista, che destavano una certa preoccupazione in
Potenze con aspirazioni egemoniche come gli Stati Uniti, un motivo decisamente
lontano da quello ufficiale, secondo cui gli Stati Uniti sarebbero intervenuti
nel conflitto per “spirito caritatevole”, dunque per porre fine a regimi
antidemocratici, oppressori delle minoranze.
A
distanza di quasi un secolo, la politica statunitense continua a seguire la
scia dell’imperialismo: l’intervento militare attivo nei conflitti regionali,
generati, per la maggior parte, proprio dalle infiltrazioni statunitensi, che
fomentano intolleranza tra “vicini di casa” allo scopo di insediarsi
militarmente nei territori contesi -specie in quelli ad Est, dove risulta ancor
più facile confrontare ““il nemico”” e dove ci sono Paesi che ancora resistono
al dominio a marchio USA - dando una parvenza di legittimità attraverso la
narrazione propagandistica.
A
questo punto, è chiaro intuire che in un contesto del genere, gli Stati Uniti
hanno bisogno di un alleato affidabile non solo per rendere ancor più legittimo
-nonché saldo- il loro “interventismo”, ma anche per dare nuovi appoggi alla
martellante narrazione di propaganda, in modo da far sembrare il proprio
“attivismo militare” ancor più lecito. L’Unione Europea sembra, a questo punto,
l’alleato ideale. Tuttavia, gli USA sono consapevoli che una politica del
genere ha la necessità di poggiare anche su risorse concrete, andando oltre il
semplice appoggio politico e diplomatico.
Pertanto,
la strategia migliore era quella di ottenere un consenso “basato sui fatti”, in
cui la partecipazione europea fosse attiva e ben distinta sul piano
internazionale, tanto da mostrare al mondo che l’UE si sarebbe impegnata
attivamente all’interno del conflitto e che gli Stati Uniti non sarebbero stati
quindi gli unici a “biasimare” la Russia: anche da questo punto di vista, il
consenso europeo è stato ampiamente propagandato, utilizzato per rafforzare e
legittimare la posizione politica degli Stati Uniti.
Non
l’unico scopo, non l’unico obiettivo: l’Europa, sotto martellante pressione
degli USA, ha investito - e si impegnerà ad investire- miliardi di euro nel
comparto Difesa, una scelta che ha aumentato, in realtà, la dipendenza
strategica gli Stati Uniti, poiché sono stati proprio questi ultimi a designare
la strategia europea: il cospicuo investimento avrebbe forse potuto permettere
all’Europa di iniziare a plasmare una politica militare in autonomia e di
allontanarsi gradualmente dal loro “protettore”, ma invece, com’era facile
immaginare, si è verificata la fattispecie opposta. Gli Stati Uniti hanno
peraltro “giocato doppio”: non solo si sono assicurati, in questo modo, risorse
in entrata nelle proprie casse, dal momento che l’Europa si è impegnata ad acquistare
dai suoi fornitori armi e armamenti “a strisce e stelle”, e una subordinazione
strategica ulteriore, ma, così facendo, sono stati ragionevolmente sicuri di
aver dato “il colpo di grazia” a tutti gli altri settori dell’industria
europea, indebolendo il Continente su più fronti, che si vedrà costretto ad
aumentare la propria dipendenza economica e industriale da Washington. Una
strategia che garantisce all’America del Nord di acquistare “a buon mercato”
ciò che rimane del Made in Europe, perché
si sa, un’impresa in crisi vale meno (e
si badi che la parola “impresa” è ora utilizzata con l’accezione più ampia
possibile). Non a caso, il progetto
corpulento di riarmo ha prosciugato le risorse destinate a molti altri settori
(specie quello sanitario e della pubblica istruzione) “irrilevanti” per
un’Europa che mette al primo posto il sostegno ad organizzazioni guerrafondaie
-come la NATO- che non hanno nulla a che vedere né con gli obiettivi originari
dell’UE, né tantomeno con la volontà dei cittadini europei, sacrificando
prospettive imminenti di pace e benessere per il suo stesso popolo: un contesto
che ha generato un malcontento senza precedenti nei cittadini europei, che
negano sempre più spesso il proprio consenso a Bruxelles, che poggia ormai
soltanto sul sostegno -tutt’altro che disinteressato- di NATO e Stati Uniti.
L’Unione
Europea, che fino a pochi anni fa conservava un rapporto amico -per non dire
eccezionalmente amico- con la Federazione Russa, allo stato attuale si ritrova
a dover materie prime e risorse energetiche dal suo “protettore” ad un prezzo
ora incrementato a dismisura. Gli Stati Uniti hanno quindi raggiunto duplice
obiettivo: sfruttare militarmente l’Europa e distoglierla quasi completamente
da ogni attrattiva commerciale e diplomatica con Mosca, che non ha certamente
bisogno dei nostri “spicci” per trainare l’economia dell’ex Stato sovietico, e
che non si è fatta certo “impressionare” da qualche pacchetto di sanzioni
decretato più per rivalità che per questioni pratiche; Mosca, come si è
dimostrato alla SCO - Organizzazione di Shangai per la Cooperazione -
intrattiene rapporti con una ventina di Paesi (Cina, India, Bielorussia,
Repubblica Popolare Democratica di Corea, Iran, Pakistan, Kazakhstan,
Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e altri 16 Paesi), tra cui figurano alcuni
dei Paesi emergenti più potenti al Mondo, come India, Cina e Repubblica
Popolare Democratica di Corea, che, pur basata su un sistema quasi ermetico e
fortemente autarchico, vanta un vigoroso arsenale nucleare nonché
un’organizzazione militare esemplare.
Le
sanzioni, come s’immaginava, non hanno fatto altro che danneggiare l’economia
europea stessa, che non solo si ritrova sotto il pieno controllo - ora più
meticoloso che mai - del protettore atlantico, ma è anche impossibilitata a
fare qualsiasi passo indietro.
Morale della favola? Avrebbero voluto vedere una Russia
isolata, senza amici né alleati: ironia del destino, questa è la sorte che
invece è toccata all’Unione Europea (e, come forse direbbe qualcuno, “ben ti sta!”), che continua
faticosamente a reggersi soltanto “grazie” all’appoggio del protettore a
strisce e stelle che è tutt’altro che un alleato o un amico, ma un
signore-padrone che possiede gelosamente il proprio feudo - i territori europei
- con il timore paranoico e costante che qualcun’altro possa portarglieli via
da un momento all’altro.
In sintesi, si è dimostrato come la Russia, che gli Stati Uniti continuano a definire “un Paese oramai isolato” possa contare, nonché godere, a differenza dell’Europa, dell’appoggio sincero di innumerevoli Paesi, mentre l’Europa si è ritrovata in una situazione di isolamento geopolitico e irrilevanza diplomatica - nonché di puro servilismo - senza precedenti.
Qualche cenno sull’Autore
Martina Paiotta, fresca di laurea in ambito macroeconomico con lode,
ha deciso di intraprendere un percorso di Alta Formazione presso il Centro Alti Studi per la Difesa, nonché
presso l’Istituto Superiore di Stato
Maggiore Interforze, approfondendo le questioni a carattere politico,
geopolitico, storico e militare.
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