I Partigiani della Pace: testimoni e costruttori di un futuro possibile
I Partigiani della
Pace: testimoni e costruttori di un futuro possibile
di Laura Tussi, in collaborazione con Fabrizio Cracolici
In un mondo sempre più
permeato da guerre, militarizzazione e interessi economici legati agli
armamenti, resiste un bisogno profondo di pace e di impegno civico. Questa
testimonianza racconta l’esperienza diretta di chi, da anni, lavora per far
rinascere un movimento di partigiani della pace, attivo su scala locale e
internazionale, con l’obiettivo di educare le nuove generazioni e promuovere
una cultura di nonviolenza.
Ci chiediamo spesso,
noi pacifisti, se oggi sarebbe ancora possibile far rinascere un grande
movimento internazionale come quello dei “Partigiani della Pace”, una realtà
ideale che abbiamo raccontato nel nostro libro per Emi. Un movimento capace di
unire intellettuali, artisti, studiosi, lavoratori e semplici cittadini attorno
a un ideale comune: difendere la vita e la dignità dei popoli contro la follia
della guerra. Oppure, più modestamente, dobbiamo domandarci se esistano ancora
personalità disposte a schierarsi fino in fondo.
Da molti anni scrivo
per testate come FarodiRoma, AgoraVox e Transform, l’organo della Sinistra
Europea. In questi ambienti, nonostante tutto, resiste un nucleo vivo di donne
e uomini che portano avanti l’idea della pace come valore sommo, come orizzonte
ultimo dell’impegno civile. Continuano a essere, a loro modo, partigiani.
Certo, i Partigiani della Pace della metà del Novecento erano un’altra cosa:
erano numerosissimi, figure di altissimo livello culturale, diffusi in tutto il
mondo. Riuscirono a raccogliere milioni di firme contro l’orrore di Hiroshima e
Nagasaki, per non dimenticare, e contro la logica velenosa della guerra fredda.
Ma qualcosa di simile, un movimento europeo più ampio di intellettuali e
cittadini schierati contro la guerra, potrebbe davvero rinascere. O forse sta
già rinascendo: penso ai giovani di Fridays for Future, di Extinction
Rebellion, di Ultima Generazione. Movimenti che, nella difesa del pianeta,
pongono già le basi di una cultura di pace.
Rimane però una domanda
essenziale: che cosa può fare il singolo, il cittadino comune, per proteggere
la pace?
Da Londra arriva un
esempio luminoso: la *Rete Internazionale Ebraica Antisionista*, che ha il
coraggio di denunciare le politiche di apartheid e di sterminio del popolo
palestinese. Seguiamo con attenzione, con Fabrizio Cracolici, anche l’impegno
di Ennio Cabiddu, tra gli organizzatori della *Global Sumud Flotilla*, e
abbiamo raccolto testimonianze importanti come quella di Maria Elena Delia,
referente italiana della Flotilla e del Global Movement to Gaza, nel ricordo di
Vittorio Arrigoni e del suo “restiamo umani”.
Nella mia esperienza,
la pace nasce soprattutto da relazioni vive, da legami che trasformano i
percorsi personali. Penso alla collaborazione con FarodiRoma e con la cattedra
di Sociologia del Turismo della Facoltà di Lettere della Sapienza di Roma,
attraverso articoli e inchieste, ma anche lezioni e convegni nelle università.
Attraverso FarodiRoma Roma e le sue edizioni in 4 lingue le nostre riflessioni
arrivano fino ai popoli dell’America Latina, troppo spesso sottomessi alle
logiche di dominio degli Stati Uniti. Io e Fabrizio siamo anche testimonial e
parte di ICAN, Premio Nobel per la Pace per il disarmo nucleare universale. È
questo il punto centrale: il cambiamento può nascere dalla consapevolezza che
le nostre azioni quotidiane – davvero quotidiane – possono trasformare il
mondo. Anche semplicemente boicottando le multinazionali che investono in guerra
e armi, scegliendo cosa mettere nel carrello del supermercato.
Il ruolo delle donne. I
movimenti femminili per la pace
Le donne sono, per
natura e per storia, portatrici di pace: danno la vita, non la morte. Gaza oggi
è un genocidio dal volto femminile: le principali vittime sono donne che
generano la vita e la difendono con il loro corpo, la loro resilienza, la loro
dignità. Sono loro, già oggi, un grande movimento internazionale per la
nonviolenza. E nella mia vita c’è un esempio personale che porto nel cuore: mia
madre, Angela Belluschi. Pur affetta da Alzheimer, continua a lottare contro il
male disegnando e creando immagini ispirate alla pace. Pubblico i suoi disegni
accanto ai miei articoli e ai miei libri: un gesto reciproco di cura, un modo
per sostenerci a vicenda. Esiste poi una realtà storica fondamentale: la
**WILPF**, la Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà, fondata
nel 1915, che da oltre un secolo si batte soprattutto per il disarmo nucleare.
Ma mentre partecipiamo
a questo tessuto di impegno e speranza, ci raggiungono dati inquietanti. Un
recente sondaggio Sky rivelava che il 45% dei giovani tra i 18 e i 31 anni
sarebbe disposto a scendere in guerra a fianco dell’Ucraina. Come interpretare
questa informazione, che sembra in contrasto con l’immagine dei giovani apatici
o disinformati?
Secondo Fabrizio, la
risposta è chiara: siamo di fronte a giovani cresciuti in un sistema mediatico
costruito a tavolino dal potere mercificatorio delle multinazionali. Potenti
industrie culturali investono enormi risorse per manipolare le menti e
garantire profitti, diffondendo modelli basati sulla violenza, sul conflitto,
sulla competizione. Ecco perché è essenziale comunicare con le nuove
generazioni, per impedire che cadano nelle mani dei mercanti di morte. È un
lavoro lento, paziente, quotidiano.
Con Fabrizio – compagno
di vita e di lotta – operiamo su vari livelli per raggiungerli: usiamo le
stesse strategie comunicative che usa il potere, ma con un obiettivo
radicalmente opposto. Per loro la guerra è un business; per noi la pace è il
bene supremo. Ai giovani viene raccontato che fare la guerra è “bello”, come si
faceva con i Balilla durante il fascismo; noi raccontiamo che fare la pace è
meraviglioso. Lo facciamo attraverso modelli credibili di impegno, figure
storiche e contemporanee che hanno dedicato la vita all’umanità.
Per questo siamo
presenti dove loro vivono: nei social. Su TikTok, con il profilo
**@fabrizio.cracolici**, seguitissimo, mostriamo i protagonisti della storia
che hanno lottato per la pace e i diritti umani. E poi c’è la musica: su
Spotify, dove tanti giovani ascoltano trap e cercano uno spazio per esprimere
il proprio disagio esistenziale, abbiamo creato l’etichetta “Poche note possono
bastare – Stay Human”. Con l’aiuto dell’intelligenza artificiale abbiamo
realizzato tre album, tutti intitolati Stay Human: canzoni che cercano di
toccare quella sensibilità profonda che spesso i ragazzi non sanno nominare, ma
che può guidarli verso l’impegno e la responsabilità globale.
Oggi più che mai serve
un nuovo movimento di Partigiani della Pace. Non per nostalgia, ma per
necessità. E ognuno di noi, con le proprie scelte e le proprie azioni
quotidiane, può contribuire a farlo rinascere. La pace non è un’utopia: è un
impegno concreto, possibile, che possiamo costruire insieme, passo dopo passo.
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