Istat: ad agosto 33 i mesi di riduzione della produzione industriale. Crisi produttiva strutturale ma il Dpfp svolta verso l’economia di guerra
Economia di guerra oggi. Parte XXIII
Istat: ad agosto 33 i mesi di riduzione della produzione industriale.
Crisi produttiva strutturale ma il Dpfp svolta verso
l’economia di guerra
Il rapporto Istat del 10 ottobre 2025
relativo all’andamento della produzione industriale italiana[1]
fornisce ulteriore conferma della crisi strutturale che attanaglia il nostro
apparato produttivo ormai da 3 anni, come abbiamo più volte evidenziato in
nostre analisi precedenti.
Fornendo i dati inerenti all’agosto
scorso, il rapporto rende noto che l’indice della produzione industriale su
base tendenziale corretto per gli effetti del calendario, dopo l’effimero
rimbalzo di luglio, nel mese in questione diminuisce di ben il -2,7%. La
flessione interessa tutti i comparti industriali salvo i beni strumentali e
quelli intermedi.
Viene così stabilito il poco invidiabile record di 33 mesi di
contrazione tendenziale negli ultimi 36. In sostanza, da settembre 2002 a
agosto scorso la variazione mensile della produzione industriale calcolata rispetto
al corrispondente mese dell’anno precedente si è contratta ad eccezione di
gennaio 2023 (+2,6%) e aprile (+0.1%) e luglio 2025 (+0,9%) confermando i
connotati non transitori della crisi che affligge il nostro apparato produttivo
dall’autunno del 2022 (grafico 1).
Grafico 1: variazione tendenziale
mensile della produzione industriale in Italia da agosto 2022 a agosto 2025.
Fonte Istat.
In merito a
questi dati, il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo ha affermato
che “E’ ormai lampante la sostanziale incapacità del Governo di affrontare con
senso di realtà e pragmatismo la più grande crisi produttiva dal
dopoguerra”. Lo stesso Gesmundo, pone
inoltre legittime domande in merito alle strategie del Governo: “L’esecutivo
come pensa di affrontare la crisi del tessile, che perde in un anno quasi il 2%
della sua capacità produttiva? E quali strumenti pensa di introdurre per
aiutare il settore del legno, della carta e della stampa che nello stesso
periodo ha perso il 2,5% della produzione o quello della fabbricazione dei
prodotti chimici che cala del 2,2%, oppure quello dell’industria alimentare che
registra l’ennesima riduzione dell’1,8%, o quelli della siderurgia e dell’automotive
il cui stato di crisi profonda è ormai acclarato? E quali misure intende
assumere il Governo per reagire all’ennesimo calo che riguarda i beni di
consumo (chiaro segnale della crisi sociale, ndr) che si riducono del -1,2%
rispetto allo scorso anno?”
Sulla stessa
linea anche la Confindustria che da tempo invoca
piani per la ripresa industriale e per l’approvvigionamento energetico, avendo
ben chiaro che la principale causa della perdita di competitività
dell’industria nazionale è legata in primis alle sanzioni alla Russia e, a
seguito del piano RePowerEU, alla rinuncia alle sue forniture energetiche a
basso costo. Ai quali si sono aggiunti, con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca,
un’ulteriore incertezza sui mercati internazionali e la scure dei dazi che
penalizza il nostro export.
Proprio l’11
ottobre in occasione del convegno dei Giovani Imprenditori a Capri, il
presidente dell’organizzazione datoriale, Emanuele Orsini, ha dichiarato che un
esecutivo stabile (come quello attuale, ndr) ha “l’obbligo di una visione
industriale del Paese almeno a 3 anni”.
Orsini ha
quindi affrontato il fronte energetico che ha definito “caldo da anni” e sul
quale ha sollecitato un intervento rapido altrimenti le imprese potrebbero
andarsene invocando “un costo strutturale più basso dell’energia”, per colmare
il gap competitivo con gli altri paesi europei.
Nella home
page del sito di Confindustria troviamo infatti un grafico che riporta il costo
del gas in euro per megawattora in 3 paesi europei, dal quale emerge come in
Italia il valore si attesti a 100 euro e in Germania a 78, le due principali
manifatture continentali che in percentuale maggiore si approvvigionavano del
gas russo e non causalmente entrambe in crisi industriale strutturale, mentre
in Spagna si ferma a soli 28 euro (tabella 1).
Tabella 1:
costo del gas in euro per mw/h ad aprile 2025. Fonte: confindustria.it
|
Stato |
Costo gas in
€ per mw/h |
|
Italia |
100 |
|
Germania |
78 |
|
Spagna |
28 |
Il nostro governo ci ha invece abituati a non commentare i dati negativi
che arrivano dai rapporti dei vari istituti di ricerca ufficiali, spendendosi
invece collettivamente, con tanto di gran cassa mediatica, per esaltare il
trend crescente dell’occupazione che interessa soprattutto gli
ultracinquantenni, a causa del posticipo dell’età pensionabile, senza entrare
mai nel merito della qualità del lavoro creato che evidentemente risulta in
buona parte a tempo determinato e part time, visto l’incremento dei working
poors nel nostro paese. Questi
ultimi, infatti, considerando tutte le tipologie di contratti che
caratterizzano la categoria dei “lavoratori occupati”, sono aumentati di ben
285.000 nel solo 2024, passando da 6.601.000 a 6.886.000, come emerge da un
rapporto del Centro studi di Unimpresa[2]
Per quanto
riguarda la dinamica dell’economia nazionale, dopo il rimbalzo post covid del
2021 e 2022, la crescita ha continuato a mantenersi anemica ormai dal 2023
(+0,7%), a causa delle sanzioni e della crisi industriale. Infatti, dopo aver
chiuso il 2024 sempre a + 0,7%, Confindustria prevede un +0,5% per quest’anno e
un +0,7% per il prossimo[3].
Nel Documento
Programmatico di Finanza Pubblica aumenta la previsione di spesa militare
Di fronte
all’immobilismo del governo verso la situazione industriale generale e anche
delle singole crisi aziendali, come quella del fondamentale polo siderurgico di
Taranto, le dichiarazioni e le richieste di Orsini risultano del tutto
legittime anche alla luce del nuovo Documento Programmatico di Finanza Pubblica (Dpfp)[4].
L’importante documento di
programmazione finanziaria predisposto dal ministero dell’Economia e delle
Finanze (Mef), guidato da Giancarlo Giorgetti, e deliberato dal Consiglio dei
Ministri il 2 ottobre scorso, non solo non contempla alcun piano industriale
strutturato, ma descrive anche un quadro del tutto irrealistico della
situazione in atto.
Contiene, invece, significative linee
di intervento che stanno sempre più indirizzando il nostro paese verso un
particolare modello di economia di guerra parziale, corrispondete a quello di
uno stato in condizioni di cobelligeranza, appurato il ruolo centrale della
Nato nella guerra in Ucraina.
Gli elementi centrali che emergono in
tale direzione, in osservanza alle politiche di riarmo imposte dalla Nato e del
piano Ue ReArme Europe, risultano l’aumento tendenziale delle spese militari e
“un incremento degli interventi nelle operazioni (militari, ndr) fuori dai
confini nazionali”, si legge nella nota di accompagnamento pubblicata sul sito
del Mef[5].
In relazione al primo punto il Mef
rende noto che l’incremento cumulato della quota di Pil da destinare alla
difesa è programmato nella misura dello 0,15% nel 2026, dello 0,3% nel 2027 e
dello 0,5% nel 2028, specificando peraltro che “tale incremento è subordinato
all’uscita dalla procedura di disavanzo eccessivo”. Condizione abbastanza
plausibile alla luce del fatto, che come riporta la stessa nota, “il rapporto
deficit/pil si attesta, al momento, al 3% mentre il Pil 2025 allo 0,5%” e che
nei prossimi anni la traiettoria del suddetto parametro continui nel suo trend
ribassista.
In termini monetari, secondo il Dpfp l’aumento previsionale delle
spese militari nel prossimo triennio risulterà di +3,5 miliardi di euro nel
2026, + 7 miliardi nel 2027 e +12 miliardi nel 2028, per un ammontare totale di
23 ,5 miliardi di euro.
Nello stesso Documento Programmatico
la stima del rapporto spesa sanitaria/Pil è stabile al 6,4% per gli anni 2025,
2027 e 2028 e in leggero aumento al 6,5% per il 2026, mentre la Legge di
Bilancio 2025 riporta dati relativi al finanziamento effettivo del Fondo
Sanitario Nazionale alquanto discordanti: 6,1% del Pil per 2025 e 2026, 5,9%
per il 2027 e 5,8% per il 2029.
Secondo la Fondazione Gimbe la
discrasia fra i dati previsionali e il reale finanziamento pubblico rischia di
ricadere sui bilanci delle Regioni per 7,5 miliardi di euro nel 2025, 9,2 nel
2026, 10,3 nel 2027 e 13,4 nel il 2028. In merito a ciò il presidente della
stessa Fondazione, dr Cartabellotta, afferma che “Senza un deciso
rifinanziamento a partire dalla Legge di Bilancio 2026 (in fase di elaborazione
da parte del governo, ndr) questo divario tra stima di spesa e risorse allocate
costringerà le Regioni a scelte dolorose per i propri residenti: ridurre i
servizi o aumentare la pressione fiscale”[6].
Non crediamo occorrano particolari competenze per comprendere
che l’aumento delle spese militari, che peraltro non risolleveranno la nostra
industria a causa dell’ampio ricorso all’import di armi, vengano coperte con
tagli, o mancati adeguamenti della spesa in rapporto al Pil, allo stato
sociale, in generale, e alla sanità, in particolare.
Conclusioni
Sulla base dei dati ufficiali, la
situazione economica del nostro paese evidenzia non indifferenti elementi di
criticità in termini di crisi industriale strutturale e crescita anemica
perdurante che il Governo, alla luce del Dpfp e della Legge di Bilancio 2026,
non sembra prendere in adeguata considerazione, tant’è che ne viene fornito un
quadro alquanto distante dalla realtà.
Nel primo documento non risulta,
infatti, alcun accenno alla grave crisi industriale, anzi la questione
produttiva viene affronta con una narrazione edulcorata e del tutto strumentale,
facendo ricorso alla variazione congiunturale, relativa quindi al confronto
rispetto al mese precedente, del tutto inidonea a comprendere il reale stato e
la dinamica di medio periodo del fondamentale settore.
Nell’intero documento di ben 144
pagine alla questione dell’industria viene sorprendentemente riservata
solamente la seguente frase a pagina 29 del paragrafo “Prime indicazioni del
secondo semestre 2025” nell’ambito del capitolo “Il quadro economico”: “Per
quanto riguarda il terzo trimestre, a luglio la produzione industriale è
aumentata dello 0,4% su base mensile (congiunturale, ndr), con la manifattura
che ha registrato una performance migliore, dell’1,4%. Nello stesso mese, il
fatturato in volume del settore è cresciuto dello 0,6%. Tali risultati
consentono di prefigurare un ritorno all’espansione del settore industriale”.
A parte l’utilizzo strumentale di indicatori inidonei a far
comprendere al lettore l’effettiva situazione del settore, è bastato attendere
solo 8 giorni per apprendere dal rapporto Istat sopra citato che al quadro
volutamente falsato si era aggiunta una previsione del tutto fuorviante e
illusoria: ad agosto la variazione congiunturale, rispetto a luglio, è stata
del -2,4%, rimangiandosi abbondantemente l’effimera crescita del mese
precedente, e quella tendenziale, come già detto, di -2,7% , portando a 33 i mesi
di riduzione negli ultimi 3 anni.
Di fronte a tale atteggiamento da
parte del Governo, risultano del tutto comprensibili le preoccupazioni e le
richieste di Confindustria, in quanto è evidente anche ai meno esperti di
questioni economiche che se il Governo continua a mettere la polvere sotto il
tappeto mentre l’industria nazionale è investita dalla più lunga crisi
industriale degli ultimi decenni, è difficile pensare che lo stesso cesecutivo
possa varare un’adeguata politica industriale in grado di progettare gli
strumenti idonei per la ripresa di competitività e il ritorno all’espansione
produttiva.
Occorrerebbe un Governo che avesse le capacità e le
competenze per predisporre un piano industriale efficace che rimuova le cause
di fondo della crisi in corso, a partire dal superare la miope tattica della
competitività basata sulla svalutazione salariale come abbondantemente
praticato negli ultimi anni, e che predisponga una politica energetica efficace
in grado di ridurre i costi di approvvigionamento per imprese e famiglie.
Abbiamo seri dubbi che un esecutivo che ha assecondato tutte
le scellerate politiche sanzionatorie promosse prima dall’amministrazione Biden
e successivamente porate avanti dai vertici comunitari quando Trump si è
saggiamente smarcato, arrivando a comminare ben 18 tranche di misure
restrittive alla Russia con la diciannovesima in fase di approvazione, sia in
grado di tutelare realmente gli interessi nazionali implementando una politica
energetica efficace.
Una triste parabola, che sconta l’intero paese, quella del
sovranismo asservito.
Andrea Vento
13 ottobre 2025
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
[1] https://www.istat.it/comunicato-stampa/produzione-industriale-agosto-2025/
[2] https://www.unimpresa.it/rischio-poverta-e-working-poor/65819
[3] https://www.confindustria.it/pubblicazioni/investimenti-per-muovere-litalia/
[4]https://www.dt.mef.gov.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/doc_prog_fp_2025/DPFP_2025.pdf
[5] https://www.mef.gov.it/inevidenza/DPFP-Giorgetti-responsabilita-e-prudenza-per-tutela-e-crescita-lavoratorieimprese/
[6]
https://www.gimbe.org/pagine/341/it/comunicati-stampa
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