Flottiglie di libertà: dal sacrificio di Arrigoni a Greta Thunberg, una sfida che continua
Flottiglie di libertà: dal sacrificio di Arrigoni a Greta Thunberg, una sfida che continua
di Laura Tussi
La notte tra il 7 e l’8 ottobre è previsto l’ingresso nella zona rossa della nave Conscience, appartenente alla Freedom Flotilla Coalition, insieme ad altre otto imbarcazioni della missione Thousand Madleens to Gaza, partite dai porti di Otranto e Catania. La loro rotta è chiara: rompere il blocco navale imposto da Israele alla Striscia di Gaza e aprire finalmente un corridoio umanitario permanente per la popolazione palestinese, stremata da mesi di assedio e bombardamenti.
Il governo israeliano ha già minacciato di bombardare la nave ammiraglia, dopo l’attacco subito dalla stessa il 2 maggio 2025 al largo di Malta, in acque internazionali. L’episodio, denunciato dalle organizzazioni promotrici e da vari osservatori internazionali, è stato un nuovo capitolo nella lunga storia di violenza che accompagna le flottille di pace.
Gli organizzatori della missione hanno lanciato un appello alla mobilitazione generale per il giorno 8 ottobre: «Chiamiamo alla solidarietà attiva, con presidi, cortei e scioperi, per difendere i nostri concittadini e tutti gli attivisti internazionali a bordo della Conscience, che trasporta medici, infermieri e medicinali». Il messaggio è chiaro e diretto: «La nostra nave deve accedere a Gaza. Stiamo esercitando il diritto internazionale per tutelare il popolo palestinese sotto attacco e per far cadere un assedio illegittimo e disumano».
Una storia di resistenza e sangue: le Flotille contro il blocco di Gaza
Da quasi vent’anni, la Freedom Flotilla Coalition organizza missioni navali per portare aiuti a Gaza e denunciare l’embargo israeliano. La più tragica resta quella del 31 maggio 2010, quando i commando israeliani assaltarono la nave turca Mavi Marmara, uccidendo nove attivisti e ferendone decine; un decimo morì anni dopo per le ferite riportate. Quell’eccidio scosse l’opinione pubblica mondiale e rese le “flottille per Gaza” un simbolo universale di resistenza civile.
Negli anni successivi, nonostante arresti, sequestri e violenze, le spedizioni continuarono, con la stessa determinazione di chi sa che attraversare quel mare significa affrontare la possibilità di non tornare. Gli attivisti si sono spesso trovati davanti navi da guerra, armi puntate, e anche – come accaduto nei giorni scorsi – insulti, sputi e aggressioni nei porti di partenza.
La Global Sumud Flotilla e Greta Thunberg: il coraggio che contagia
Solo pochi mesi fa, la Global Sumud Flotilla era salpata dal Mediterraneo con un carico di aiuti e di speranza. A bordo c’era anche l’attivista svedese Greta Thunberg, arrestata e poi rilasciata dopo essere stata – secondo il suo racconto – «picchiata e umiliata» durante la detenzione in Israele. La sua presenza ha dato nuova risonanza internazionale alla causa palestinese e ha riportato l’attenzione sui rischi affrontati da chi sceglie la via della solidarietà diretta.
Le immagini della nave Marinette, ultima della flottiglia a resistere prima di essere intercettata dalla marina israeliana, hanno fatto il giro del mondo. E il rientro in Italia degli attivisti della Global Sumud è stato accolto da migliaia di persone nelle piazze, in un’ondata di consapevolezza e indignazione collettiva che ha scosso il Paese.
“Restiamo umani”: l’eredità di Vittorio Arrigoni
In ogni nuova traversata, il nome di Vittorio Arrigoni (nella foto con la bandiera) torna a essere pronunciato come una preghiera laica. L’attivista italiano, ucciso a Gaza nel 2011, aveva scelto di vivere tra i palestinesi, raccontando al mondo l’assedio e la dignità di un popolo sotto occupazione. Il suo motto, “Restiamo umani”, è diventato la bandiera di tutte le flottille successive.
Oggi, mentre la Conscience e le navi della missione Thousand Madleens si preparano a entrare nella zona rossa, il suo esempio torna vivo: lo stesso mare che accolse la sua speranza continua a essere attraversato da chi, in suo nome, crede che la solidarietà non possa fermarsi davanti alle armi.
Blocchiamo tutto
Di fronte alle minacce di bombardamenti, i promotori della nuova missione rilanciano l’appello: «Blocchiamo tutto». È un grido che non chiede soltanto la protezione di chi è in mare, ma anche una presa di coscienza collettiva.
La storia delle flottille – dalla Mavi Marmara alla Global Sumud, fino alla Conscience – è la storia di chi, in ogni epoca, ha scelto di opporsi al silenzio e di navigare controvento, sfidando muri, confini e paure. E oggi, come allora, quel mare che separa Gaza dal mondo continua a essere solcato da chi non accetta che l’umanità si fermi sulla linea di un blocco.

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