Pubblico impiego: il 50% dei premi produttività al 25% del personale


Il 50% dei fondi della produttività dei dipendenti pubblici (fondi che con le normative degli ultimi tempi sono stati progressivamente ridotti) va al 25% del personale, la restante parte puo', attenzione non deve, essere distribuita tra il 75% del personale e i contratti nazionali potranno modificare le percentuali e i rapporti ma, in sostanza, accadrà l'inverosimile, ossia l'applicazione, con qualche correzione, della Legge Brunetta, quella legge che a detta di molti era dannosa per i lavoratori e del sindacato ma che oggi, Madia, riprende, corregge e applica.

Tutto si gioca attorno alle percentuali ma nella sostanza passa un concetto demenziale, ossia che una minima parte del personale prenda gran parte del salario accessorio, questo è quanto accadrà e il solo ruolo sindacale sarà quello di dire, un domani, di avere portato a casa chissà quale risultato, di avere contenuto il danno.

L'ultima versione del decreto legislativo per applicare la riforma Madia del pubblico impiego sancisce la vittoria di Brunetta e la leva della distribuzione del salario accessorio per costruire una pubblica amministrazione con trattamenti economici sempre piu' diseguali, con uno pseudo merito che non aiuterà ad accrescere i servizi pubblici o a migliorarli ma piuttosto a costruire la cultura subalterna e omologata del dipendente pubblico ai dettami di dirigenti che a loro volta saranno sempre piu' ostaggio delle decisioni politiche.

Possibile che non ci si renda conto che proprio nella riforma Madia si applica una parte determinante della riforma costituzionale bocciata dal Referendum ? E i professoroni del No? Silenti visto che il loro salario da giudici e docenti universitari molto probabilmente non sarà intaccato da questa "riforma".

Una questione di classe che va ovviamente analizzata compiutamente ma tale resta perché una cosa è difendere i salari di chi ha un reddito inferiore a 30\33 mila euro , altro discorso per chi porta a casa 70\100 mila euro.

La piena applicazione delle regole privatistiche del lavoro nel pubblico impiego con un salario di secondo livello sempre piu' corposo e con contratti nazionali che avranno aumenti irrisori, questo è cio' che sta accadendo anche se in verità la tendenza a spostare la contrattazione dal primo al secondo livello, impoverendo il contratto nazionale, è partita 25 anni fa proprio dai settori pubblici.

La questione dirimente allora verte attorno ai prossimi contratti che poi riguardano 3,2 milioni di lavoratori\triciche tra Stato ed enti territoriali.

Esiste già un testo che sta circolando e visto che ne parlano anche alcuni giornali presupponiamo sia a conoscenza delle segreterie dei sindacati che come sempre mantengono l'assoluto riserbo in vista dell'incontro della prossima settimana e della decisione sul decreto Madia di metà Febbraio nel consiglio dei ministri chiamato a licenziare i cosiddetti decreti correttivi su partecipate, normative anti-assenteismo e sulla nomina dei direttori sanitari.


Proviamo quindi a riassumere cosa è accaduto e capire meglio gli scenari futuri

Nell'anno 2009, la Riforma Brunetta introdusse le tre fatidiche «fasce di merito» («almeno tre» per gli enti locali) per distribuire gli incentivi: al 25% dei dipendenti avrebbe avuto il 50% dei premi, un altro 50% avrebbe avuto il 50% dei fondi di produttività restanti e il 25% del personale non avrebbe percepito un euro

Subito dopo furono bloccati i contratti nazionali e la stessa contrattazione con la impossibilità sostanziale per anni di assunzioni.

Nel corso degli anni i fondi della produttività , almeno nella parte fissa, sono stati progressivamente ridotti dall'avvento di alcune normative che periodicamente sono introdotte per ridurre la spesa pubblica.

Il congelamento della contrattazione pubblica ha solo rinviato l'applicazione della Legge Brunetta che entrerà in vigore con i prossimi contratti nazionali, quelli che arriveranno presumibilmente nella tarda primavera del 2017, ben 8 anni dall'ultimo rinnovo.

La Madia vuole solo alleggerire la Brunetta ma il suo impianto non viene sostanzialmente intaccato, infatti non ci sarà piu' l'obbligo di far confluire nei premi di produttività la «quota prevalente» del salario accessorio (dei fondi della produttività di secondo livello a seconda di come si vogliano definire)

Ricordiamo che i fondi servono anche a pagare tante voci contrattuali a finanziare le indennità , il turno, il rischio o il disagio.
Se applicata alla lettera, la Riforma Brunetta creerebbe non pochi problemi tra tutti il pagamento di queste indennità sulle quali si sorreggono i servizi pubblici e che non possono di imperio essere cancellate perché nessun tribunale potrebbe coprire la cancellazione di tali diritti

Allora concentrare piu' della metà dei fondi sulla produttività sancirebbe la impossibilità di pagare con questi soldi le indennità delle educatrici o della Polizia municipale o le turnazioni negli ospedali, quindi su questo punto ci sarà una sostanziale differenza dalla Brunetta e troveranno qualche stratagemma contabile per tenere fuori dai fondi alcune voci o istituti contrattuali.

Ma una volta salvate le indennità come rischio, turno o disagio o alcune voci legate alla tipologia lavorativa, potremmo cantare vittoria? Manco per sogno.

Il decreto Madia alleggerirà poi i contingenti attraverso i quali dividere la produttività. Di sicuro già sappiamo che una parte del personale, non il 25% ma una parte significativa resterà, non vedrà un euro dei produttività, si crea insomma un girone infernale dove potrebbe finire un 10\15% del personale senza merito, non produttivo, senza salario accessorio cosi' lasciando ai sindacati il compito di rivendicare il successo di avere annullato la Brunetta che prevedeva il 25% del personale escluso a priori da ogni salario accessorio.

Una soluzione esisterebbe, quella di introdurre la quattordicesima nel pubblico impiego al posto del salario accessorio, di introdurre dei parametri obiettivi con i quali misurare la cosiddetta produttività

Ma di oggettivo c'è poco o nulla, in futuro pensano a un nuovo sistema di indicatori, alcuni «obiettivi nazionali» fissati, tramite circolar, dalla Funzione pubblica e gli «obiettivi specifici» destinati a ciascuna amministrazione.

La performance sarà lo strumento perverso al quale attenersi per valutare i dipendenti. Chi lavora nella pubblica amministrazione puo' asserire con certezza e prove documentarie che la valutazione non ha incrementato la produttività ma innalzato barriere tra il personale che trascorre sempre piu' tempo non alla costruzione di servizi migliori ma all'adempimento di pratiche burocratiche.

L'obiettivo delle pseudo riforme quindi non è quello di migliorare i servizi pubblici ma di plasmare il dipendente pubblico ai dettami governativi, da qui un sistema di controllo, di denunce anonime sui cosiddetti fannulloni, regolamenti sulla fedeltà del personale, provvedimenti disciplinari che se applicati alla lettera determinerebbero un clima di ferocia repressiva, un laboratorio sociale di controllo della forza lavoro.

Non si tratta di combattere l'assenteismo o il doppio lavoro (con gli stipendi da fame bloccati da anni per qualcuno diventa un necessità per far quadrare i conti familiari) , si sta stravolgendo l'intero impianto su cui si era costruito il welfare e il servizio pubblico , i prossimi contratti nazionali dovranno prevedere tagli ai premi (impropriamente definiti tali visto che si tratta di salario vero e proprio e non di parti aggiuntive. Ricordiamoci come tanti anni fa decisero di rinviare alla contrattazione di secondo livello la distribuzione di parte del salario) nelle amministrazioni ove le assenze del personale saranno superiori alle medie di settore.

L'ente pubblico sarà chiamato non a garantire servizi migliori ma a costruire una macchina di controllo e di repressione dei dipendenti, una burocrazia dispendiosa e del tutto inutile visto che basterebbe poco a individuare i furbetti, del resto gli obiettivi sono ben altri ossia riduzione del salario, aumento della mole di lavoro, eliminazione della dotazione organica come riferimento per esigere sempre piu' prestazioni e mansioni a un numero ristretto di dipendenti, rinuncia del dipendente pubblico a svolgere un ruolo critico verso le modalità con le quali vengono gestiti i servizi, una cieca obbedienza , con la mannaia dei provvedimenti disciplinari e dei licenziamenti, ai dettami delle privatizzazioni striscianti, della cultura pervasa di autoritarismo e spending review.


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