Qualche riflessione su nuove politiche europee, deportazioni e Cie

riceviamo e pubblichiamo......

Qualche riflessione su nuove politiche europee,
deportazioni e Cie

9.00 di mattina, come ordinariamente succede a Milano un plotone di polizia e carabinieri attraversa le vie di un quartiere popolare, il Giambellino, per effettuare uno sgombero. L’occupante, un ragazzo senegalese viene portato alla stazione di polizia più vicina con la scusa dell’identificazione e dopo essere stato trasferito in questura centrale viene trattenuto coercitivamente fino alla mattina seguente. Eppure sta terminando le procedure per il permesso di soggiorno insieme ad un avvocato.

I sospetti che non si trattasse di una semplice identificazione vengono confermati, l’avvocato viene infatti chiamato a prendere parte all’udienza per la convalida d’espulsione che con un colpo di mano la questura aveva imbastito durante la mattinata. L’udienza infine non ha luogo; le carte mostrate attestano la posizione regolare in Italia e quindi l’impossibilità legale di praticare l’ espulsione. Eppure in quella stessa giornata altri ragazzi di diverse nazionalità che si trovavano in questura, senza la possibilità di essere assistiti da un avvocato amico nella loro difesa, sono stati espatriati.

Questo episodio ci si è sembrato indicativo ed un punto di partenza per poter (saltando dal caso particolare a considerazioni più generali) condividere alcune riflessioni sulla pratica sempre più diffusa delle espulsioni dirette, che a noi suona meglio, più vero, chiamare deportazioni.

Speriamo queste possano servire come spunti in un dibattito di più ampio respiro.

Europa, questa parola in altre parti del mondo evoca oggi un sogno di vita, di cambiamento, di salvezza. Eppure in Europa, dicono i suoi governanti, non c’è spazio, così il sogno si infrange sulla realtà. Lo testimoniano le alte percentuali di dinieghi delle richieste per il permesso di soggiorno (media 60% ), l’innalzamento di veri e propri muri e l’intensificazione dei controlli sui confini. Non meno importanti i patti bilaterali che i vari governanti europei stanno stringendo con i leader africani, a volte dittatori, alla ricerca di alleati per bloccare il flusso migratorio alla sua sorgente. Trattati privilegiati con Sudan, Mali, Nigeria, Niger, Etiopia, Senegal, Tunisia, Egitto e Marocco. L’Europa propone finanziamenti ed armi a quegli stati che si renderanno disponibili di accettare rimpatri collettivi dai paesi europei e che si faranno carico di fermare le persone in transito attraverso l’istituzione di campi profughi e controlli più severi ai loro confini.

Il quadro geopolitico che si va a delineare richiama le vecchie strategie degli “stati cuscinetto”, stati che, in cambio di privilegi economici e militari, promettono oggi di garantire la protezione dell’Europa da un esterno (barbaro) rispetto ad un interno (civilizzato). Denaro in cambio di repressione, lontano dai nostri occhi però, così che non ci siano impicci umanitari. In altri termini, esternalizzazione dei confini, ovvero la delega di operazioni di controllo e difesa.

E’ significativo anche notare il progressivo irrigidimento dei criteri per l’accettazione della richiesta d’asilo. Oltre ad essere sempre meno le nazionalità riconosciute in diritto di richiedere la protezione internazionale, sono anche aumentati i parametri che vengono valutati, caso per caso, dalle commissioni europee. Infatti, assume un ruolo di primo piano il profilo personale di ciascun individuo che viene visionato durante il percorso d’“accoglienza”. In questo ambito, saranno sicuramente avvantaggiati coloro i quali si sottoporranno senza troppe resistenze a prestazioni di lavoro non retribuito e sopporteranno in silenzio le disumane condizioni dei centri d’accoglienza e il razzismo che li circonda. Se vuoi restare, devi subire. Semplice. Del resto, è noto come negli anni l’immigrazione sia servita a creare sempre nuova forza lavoro facilmente ricattabile, dunque a più basso costo di quella autoctona.

Sul territorio italiano, però, parrebbero essere presenti molte più persone rispetto a quelle che possono rientrare in queste logiche di ingerenza. I patti con i leader africani che prevedono accordi sulla liceità di trasferire coercitivamente uomini dall’Europa ai loro paesi di origine senza poi assumersi la responsabilità del loro destino sono, infatti, entrati all’ordine del giorno sull’agenda del Ministero degli Esteri.

Deportazione vuole indicare uno spostamento coatto di persone. Ogni giorno pullman di compagnie complici di queste politiche (per esempio Rampinini e Riviera Trasporti, ma ce ne sono molte altre) partono dalle città di frontiera, come Como e Ventimiglia, o dai grandi centri urbani di passaggio, come Milano o Genova, diretti verso Hotspot o CIE del sud-Italia al fine di ricollocare quella che viene registrata come un’eccedenza umana. Non è trascurabile anche la presenza di voli dagli aeroporti italiani (di compagnie tra cui ricordiamo Mistral Air e Bulgarian Air) ai paesi d’origine come strumento per rendere più efficaci le deportazioni. Tutto questo è possibile grazie ai trattati bilaterali sopracitati con i quali i paesi europei si garantiscono la legittimità di compiere gesti inumani.

Questo è un chiaro progetto di gestione e controllo del flusso migratorio, votato a chiudere spazi di vita libera e conservare quelli di business. I bisogni e i desideri di queste persone non contano nulla.
Di qualche settimana fa la proposta di riaprire i CIE in ogni regione d’Italia per garantire un più efficiente funzionamento del sistema di deportazioni. Saranno più piccoli, dotati di una capienza probabilmente di massimo 100 persone, atti a garantire una permanenza non superiore ai tre mesi. Questa ristrutturazione si deve al timore di nuovi disordini interni. Non casualmente saranno vicino agli aeroporti, dunque isolati.

Quando vennero istituiti nel 1998 i CPT (poi chiamati CIE, ora CPR) erano 13 ora ne sono rimasti 4 (Torino, Roma, Brindisi, Caltanissetta). La breve storia di questi istituti ha visto passare molte persone e succedersi una serie di rivolte. La disumanità delle condizioni e la determinazione di chi vi veniva rinchiuso a ribellarsi hanno in pochi anni portato alla chiusura della maggior parte di questi. Ricordiamo con gioia l’incendio di Milano che aveva parzialmente distrutto le strutture del CIE di Corelli poi chiuse nel 2014.

Ricapitolando sommariamente: dopo un difficoltoso, a volte tragico, viaggio, i migranti arrivati in Italia passano attraverso uno degli Hotspot del sud-Italia per una prima identificazione. Da lì comincia il cammino verso l’Europa ma le frontiere gradualmente si chiudono e i più finiscono nei circuiti dell’accoglienza. La maggioranza, coloro i quali si vedono negare da una commissione il permesso di soggiorno, si trovano sul territorio illegalizzati. Senza i giusti documenti, una semplice identificazione può significare il trasferimento in un CIE in attesa dell’espulsione. Cosa succede dopo, nessuno lo racconta, a nessuno interessa, non interessa ai giornali, tantomeno a chi effettua e comanda le deportazioni. Sballottati e gestiti come merci, secondo logiche di puro business.

I nazisti non facevano qualcosa di diverso. Campi, sfruttamento, deportazioni.
Migliaia di persone si recano sugli usci del vecchio continente, e i governi europei o sbattono loro le porte in faccia, o le aprono a condizione che queste si lascino sfruttare come bestie. Molti di coloro i quali riescono a entrare senza chiedere il permesso, saranno rinchiusi in centri detentivi e poi espulsi per l’unica ragione di voler esistere in questo dato luogo. Spesso vengono rimpatriati in paesi dove la loro vita è a rischio.

Non possiamo rimanere a guardare. .......
Assemblea No Borders

Commenti