Perchè aumentano le dimissioni volontarie?

Abbiamo letto dell'aumento delle dimissioni volontarie di lavoratori\trici con un contratto a tempo indeterminato, se questa tendenza, registrata da alcuni autorevoli giornali e blog, è confermata , una domanda sorgerebbe spontanea: perchè in un momento storico di grande difficoltà per l'economia e il lavoro dovremmo rinunciare al posto sicuro? La prima risposta che viene in mente potrebbe essere quella delle dimissioni indotte su pressioni aziendali (ed è quella che convince maggiormente), poi potremmo parlare di abitudini cambiate con la pandemia ma questa ipotesi sociologica non risulta convincente. Nei fatti le dimissioni nel 2021 superano quelle dei 4 anni precedenti, su queste decisioni pesano anche le mutate condizioni di lavoro in alcuni settori come l'ambito socio sanitario, la riduzione delle ore contrattuali (e qui subentrano le dinamiche di appalti e subappalti), la disparità dei dati su base Regionale con forti differenze tra Nord e Sud. Se nelle regioni Settentrionali esiste, almeno in alcuni distretti industriali e per alcuni profili professionali, una richiesta proveniente da fabbriche e aziende, questa richiesta di personale risulta invece quasi assente nelle isole e in altre Regioni del Sud, da qui il crollo delle dimissioni. Poi sarebbe interessante guardare a quanti lavoratori, specie nel Nord Est, passano da contratti a tempo indeterminato a partite iva, il tasso di ricollocazione cresce in certi settori e non in altri, per i giovani l'offerta lavorativa in Italia risulta la piu' debole dei paesi Ue, tutti fattori determinanti a comprendere le reali dinamiche del mondo del lavoro senza cadere in frettolose, e facilmente smentibili, conclusioni. Siamo invece contrari a equiparazioni tra Italia e altri paesi Ue e ancora piu' scettici sull' eventuale confronto con gli Usa. In Italia non abbiamo lavoratori o lavoratrici ben retribuiti ma in burn out per lo stress e le crescenti responsabilità, chi decide di lasciare il lavoro lo fa perchè ha già una alternativa e di questi tempi parliamo di infime minoranze perchè possedere un posto fisso significa oggi difenderlo ad ogni costo. Urge invece guardare agli scenari futuri, l'attenzione verso le dimissioni volontarie potrebbe essere strumentale a diffondere l'idea che molti dei posti di lavoro destinati ad essere cancellati, perchè legati alle vecchie fonti energetiche , potrebbero essere sostituiti da proposte occupazionali nei settori emergenti dell'economia, diffondere l'idea di un mercato lavorativo in costante evoluzione e movimento, l'esatto contrario di quanto vediamo e conosciamo. Poi se guardiamo agli ultimi due anni è comprensibile la penalizzazione di alcuni settori rispetto ad altri, turismo, mondo della cultura e degli spettacoli hanno subito colpi durissimi con la pandemia, sono diminuiti i posti di lavoro e perfino i contratti di collaborazione. Discorso analogo vale per il personale domestico, con il 110 per cento invece la forza lavoro richiesta nel settore edilizio dovrebbe segnare una forte ripresa ma dai primi dati non sembrerebbe tale. L'aumento delle dimissioni volontarie non è quindi spiegabile con grafici e motivazioni univoche, di certo le dimissioni sono arrivate anche dopo il ripristino dei licenziamenti collettivi e a macchia di leopardo mentre la mancata formazione determina la difficoltà di trovare personale con alcune qualifiche professionali Un peso negativo arriva dal numero chiuso delle università, un punto controverso di cui si è dibattuto nei mesi pandemici, tuttavia l'impegno di porre fine al numero chiuso è caduto nel dimenticatoio come del resto la promessa di aumentare i fondi per la sanità pubblica

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