Tra pandemia, miseria e singolarismo

 Nei due anni pandemici le famiglie destinatarie del reddito di cittadinanza sono visibilmente cresciute (più 700 mila), i dati statistici aiutano a comprendere come una parte significativa della popolazione abbia subito contraccolpi negativi finendo in povertà. Ancora da comprendere la provenienza dei nuovi poveri, tra loro si registrano disoccupati , quanti hanno perso il posto di lavoro in pandemia (spesso occupazioni al nero privi di contributi) o hanno dovuto chiudere piccole attività\partite Iva. Una parte non cosi' esigua del piccolo ceto medio, nel corso degli anni, è stata risucchiata nella parte piu' povera della popolazione, molti gli anziani ma ricordiamoci anche dei giovani che per sfuggire alla miseria sono tornati a vivere in famiglia.

Se prendiamo la cifra di 850 euro al mese per persona, al di sotto della quale si è poveri, oggi circa il 20 per cento degli italiani si troverebbe in questa condizione, i molto poveri (quelli che non arrivano a 700 euro mensili) sono passati dal 7,7% della popolazione al 9,4 o 9,5% che tradotti in cifre sono 5,6 milioni tra uomini e donne.

Come contrastare la povertà? Verrebbe da rispondere con il lavoro se non sapessimo che tra i poveri ritroviamo anche chi percepisce salari da fame, contratti part time a poche ore e contratti nazionali applicati sfavorevoli. Salari da fame odierni determineranno, un domani, pensioni da fame, costringendo lo Stato ad intervenire con misure di sostegno ai nuovi poveri in età avanzata.

Intervenire sul sistema dei calcoli della previdenza sarebbe di vitale importanza per restituire dignità alle pensioni di domani, al contempo verrebbero in mente altre soluzioni come un welfare inclusivo, aumentare le buste paga introducendo un salario minimo di 10 euro all'ora, rivedere le politiche di sostegno al reddito e alle famiglie, tassare meno i salari piu' bassi . Prendiamo ad esempio alcuni temi oggetto di discussione in seno al Governo Draghi: se pensiamo ai redditi che vanno dai 28 ai 55 mila euro, si interviene con una sforbiciata delle tasse per il ceto medio ma non per quello popolare che percepisce redditi attorno ai 25\6 mila euro.

Riduzione delle aliquote fiscali sono veramente la soluzione del problema oppure un intervento elettorale che mette sullo stesso piano, davanti al fisco, redditi diversi tra di loro a determinare molteplici qualità della vita?

La pandemia ha accresciuto le disuguaglianze economiche ma anche diversificato l'aspettativa di vita a seconda dei ceti sociali, se guardiamo al virus in una famiglia abitante nelle case popolari le possibilità di contagi e di morte sono decisamente maggiori rispetto a vive in case decisamente piu' grandi dove il distanziamento è facilitato dalle superfici a disposizione. Il covid riguarda tutti\e indistintamente ma  ci sono ceti sociali maggiormente colpiti non solo in termini di contagi ma di decessi.

Innumerevoli potrebbero essere gli interventi pubblici a contrasto della povertà e a tutela della salute ma servirebbero soluzioni intraprendenti e politicamente coraggiose. Diminuendo la pressione fiscale in generale non avremo i soldi per il welfare, se invece si tagliano le tasse ad alcuni e le aumentiamo ai capitali elevati avremo maggiori benefici in termini di entrate con il riequilibrio delle disuguaglianze sociali. 

Se guardiamo solo al contenimento del debito pubblico dimenticheremo come determinati investimenti, se ben orientati, possano generare reddito e gettito fiscale agevolando la ripresa della domanda (progressività del fisco e aumento della base imponibile per accresce i benefici del welfare)

 Ma se questi provvedimenti sono ostacolati dalla Ue che invece chiede liberalizzazioni e trasparenza, centralità del mercato e della impresa, se il Governo fa propri i diktat di Bruxelles allora le disuguaglianze generate dalla pandemia sono destinate a crescere e con le disuguaglianze anche i dispositivi autoritari, il perdurare dello stato di eccezione.

Se continuiamo a guardare al Green pass in termini individuali non andremo lontani ossia verso una critica costruttiva alle modalità con le quali si è combattuta la pandemia alimentando disuguaglianze, iniquità...

L'approccio di  alcuni Governi è stato inizialmente quello di favorire la salute pubblica  con il lockodown anche se a distanza di poche settimane, o giorni, sono prevalsi gli interessi economici per riaprire i luoghi della produzione scaricando sui singoli gli oneri della sicurezza, sottoscrivendo protocolli con certi sindacati senza mai verificarne la efficacia.

Se ormai è acclarato che anche i vaccinati possano ammalarsi e contagiarsi non si capisce la ragione per la quale rifiutare i tamponi gratuiti nei luoghi di lavoro o non avere personale e risorse per tracciamenti immediati del virus ( tra un tampone positivo e il tracciamento dei contatti possono anche trascorrere 6\7 giorni?).

Il problema non è solo legato alla scelta individuale di vaccinarsi, è indubbio che nell'era del singolarismo e della unicità si finisca con il pensare che ogni servizio pubblico e collettivo debba adeguarsi ai desiderata individuali e cosi' facendo si finisce con il favorire il depotenziamento del welfare, della sanità pubblica e degli interessi generali. Noi non siamo favorevoli alla società dei singoli e del presunto merito, vorremmo invece che lo Stato fosse realmente attento alla salute e alla cura dei cittadini (e non dei sudditi ai quali imporre trattamenti universali) senza scorciatoie dettate dall'equilibrio tra gli interessi forti dell'economia, i sistemi di controllo e sistemi di cura presentati come unica soluzione di ogni male quando invece tali non sono. 

Non saremo certo noi a seguire la moda degli affezionati da tastiera che alla occorrenza si manifestano come politici , economisti e virologi ma quanto riportato da Report dovrebbe indurre a qualche riflessione sull'operato degli Stati nella campagna vaccinale e nella ricerca, non pervenuta, di tutti i sistemi di cura e prevenzione possibile. 

E alla luce del crescente numero dei contagi tra i vaccinati continuare a credere che il Green pass sia una sorta di passaporto per la salute pubblica è espressione della supina accettazione di un sistema di regole che dopo anni di ubriacatura individualista e singolarista oggi vorrebbe imporre regole valide erga omnes per favorire la ripresa dell'accumulazione di pochi e la stagnazione della miseria per crescenti settori sociali.

La questione pandemica non puo' essere affrontata solo da punti di vista angusti cosi' come il Green pass non puo' essere riportato ad un problema di libertà individuale da parte di chi per decenni ha taciuto sulla contrazione delle libertà personali e collettive tra ristrutturazione del diritto di sciopero e pacchetti di sicurezza. Chi invoca la libertà contro le regole eccezionali dovrebbe prendere atto che lo stato di eccezione andrebbe avversato e combattuto fino in fondo come minaccia per la democrazia e le libertà collettive

Nè tanto meno è pensabile che si possa invocare un approccio singolarista alla società o ipotizzare, in funzione anti vaccinale, la distruzione della sanità pubblica asservita al big pharma, sarebbe come tagliare l'albero sul quale si è seduti o come dice un vecchio proverbio toscano (non ce ne vogliano le femministe) tagliarsi i genitali per far dispetto alla moglie.



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