Giovanni Pesce. Per non dimenticare
Giovanni Pesce. Per non dimenticare
di TIZIANA PESCE
L’occasione per incontrarci ogni volta viene data dalla presentazione di
un’intervista inedita rilasciata nell’aprile del 1983 da mio padre a Luisa Como
e Giuseppe Paleari.
Grazie al progetto “Per non dimenticare” portato avanti dalle città di Nova
Milanese e Bolzano e dall'instancabile impegno dei suoi referenti Fabrizio
Cracolici e Laura Tussi, il filmato è stato restaurato e reso nuovamente
visibile.
In questa intervista mio padre racconta la sua storia, gli anni della lotta
in Spagna e nei Gap a Torino e Milano, il significato della Resistenza e la
necessità di continuare a portare avanti i valori che furono alla base della
sua decisione, come di tanti altri uomini e donne, di non piegarsi alla
dittatura, all’odio e all’ingiustizia.
Infatti anche questa testimonianza si colloca esattamente nel quadro di
quelle fonti orali che svolgono un ruolo fondamentale per ricostruire quel
“filo della memoria” indispensabile per meglio intendere non solo il passato
che ci precede ma anche il presente e lo stesso futuro, cui non possiamo non
guardare con interesse e con fiducia, proiettandovi le nostre ansie, i
nostri desideri e la nostra volontà di giustizia sociale per realizzare un
mondo migliore di quello presente.
Anche in questa chiave, proiettata verso il futuro, questa testimonianza
costituisce un prezioso strumento idoneo a farci conoscere meglio e ricostruire
criticamente eventi, contorni di luoghi, di personaggi ed azioni altrimenti
confinati in un passato che può anche apparire sordo e insondabile.
Credo che a questa testimonianza occorra comunque affiancare la lettura dei
testi e dei documenti storici, e il confronto critico delle diverse esperienze
storiografiche.
Solo in questa prospettiva di ricerca e di riflessione le vite e le
testimonianze dei protagonisti della lotta di liberazione possono giovarci per
cogliere aspetti inediti del vissuto storico.
Subito dopo la Liberazione,in un articolo, mio padre scrisse: “Noi dobbiamo
'vincere la pace'. Per questa pace i partigiani hanno combattuto fino
all'estremo delle loro forze: hanno sofferto il carcere, la tortura, non solo
per contribuire alla vittoria degli alleati”, convinto che il movimento di
Liberazione avesse fatto fare un salto di qualità all’Italia, portando le masse
popolari ad una vera coscienza politica e civile, con una forza incredibile
specie tra i giovani, ragazzi e ragazze, che entrarono nella Resistenza appena
18enni, tutti così profondamente amanti della vita da lottare proprio per poter
vivere liberi, ognuno con i suoi diritti, conquistati grazie ad un grande senso
del dovere.
Le sue parole sono ancora molto attuali perché nuovamente ci troviamo a
vivere un momento storico e politico che ci pone di fronte a nuove fratture,
nuovi soprusi e ingiustizie; stiamo nuovamente vivendo un momento in cui si
cerca di distruggere il senso di comunanza, solidarietà e fratellanza tra gli
uomini.
La guerra in Spagna, le Brigate Internazionali, sono la dimostrazione
perfetta dello spirito di solidarietà e fratellanza che si aggirava per
l’Europa in quegli anni: uomini di ogni nazionalità che erano pronti a
sacrificare la propria vita per garantire la libertà e la dignità di un paese
straniero, perché certi ideali non hanno confini.
Ieri come oggi.
In questa intervista mio padre spiega chiaramente che la coscienza politica
non nasce da sola ma va educata. La sua educazione avvenne nelle pericolose e
buie miniere francesi, durante le azioni in Spagna, nella costrizione del
confino di Ventotene e durante la lotta gappista.
E’ da questa educazione politica che nascono i valori morali e politici che
portarono alla difesa continua delle libertà civili di tutti i popoli e di
tutti gli individui, alla condanna delle guerre e del terrorismo.
Questo è il punto di partenza da cui mosse mio padre e come lui tanti altri
uomini e donne per garantire la pace.
Da qui dobbiamo ripartire noi oggi, dall’educazione morale e politica delle
nuove generazioni, perché la lotta per la libertà non si è esaurita con il 25
aprile 1945, è una lotta senza fine perché costantemente minacciata, oggi come
allora, da coloro che, attraverso il terrorismo, la paura, le bombe, l'energia
nucleare, cercano di instaurare un controllo restrittivo sui nostri diritti e
libertà.
Mio padre durante la guerra di Liberazione aveva a sua disposizioni
pistole, esplosivo, bombe, ma non erano solo queste le armi che adoperò nella
lotta: come lui stesso dice, furono fondamentali l’intelligenza, il coraggio,
il senso di responsabilità.
Armi che sono a nostra disposizione oggi e che noi dobbiamo insegnare,
tramandare alle nuove generazioni, a maggior ragione ora che si cerca di
instaurare un clima di terrore in una situazione politica già molto
destabilizzata e complicata, portando all’esasperazione l’individualismo e
soffocando il senso di solidarietà verso profughi bisognosi, meschinamente
accorpati al nuovo terrorismo.
Come diceva mio padre “Allora era la lotta contro il nazismo e il fascismo,
per liberare il nostro paese, oggi è la lotta contro coloro che vorrebbero
impedire di portare a compimento gli ideali per cui noi abbiamo lottato e
abbiamo combattuto”.
Il coraggio di mio padre nacque dalla visione diretta delle sofferenze
degli uomini, dall’aver provato sulla propria pelle i soprusi dei potenti sui
deboli.
Noi dobbiamo fare nostro e tramandare questo coraggio, come
instancabilmente fanno Laura Tussi e Fabrizio Cracolici tramite un impegno
indefesso, attraverso la conoscenza della storia, quella con la “S” maiuscola e
quella di ogni singolo uomo o donna che ha lottato per la nostra libertà:
dobbiamo imparare il coraggio dal loro esempio, comprendere come decisero di
mettere a rischio le proprie vite per garantire la libertà del paese non solo
in quegli anni di guerra ma nel futuro.
Raccontare alle nuove generazioni chi furono e cosa fecero uomini come mio
padre, come Dante Di Nanni, i fratelli Rosselli, i sette fratelli Cervi, Nenni,
Pertini, Togliatti, Amendola, solo per citarne alcuni, significa non solo
consegnare a nuove menti e nuovi cuori il ricordo di quei giorni e di quei
pensieri ma dare loro anche dei modelli a cui ispirarsi, da cui prendere
esempio, in cui trovare fiducia, motivazioni e coraggio.
Non tradire i valori della Resistenza significa avere sempre ben presente i
valori e gli ideali che ne furono fondamenta. Valori e ideali che devono sempre
restare vivi, arricchirsi di voci e pensieri, estendersi in quei luoghi, in
quelle situazioni in cui ancora imperversa la miseria, l’ignoranza,
l’ingiustizia, dove la dignità viene calpestata e il forte schiaccia il debole,
dove si vive nell’oscurità e il sole dell’avvenire deve ancora sorgere.
Permettetemi di concludere questo mio discorso condividendo con voi anche
l’emozione che ho provato guardando la copertina del libro con il volto di mio
padre, il suo sguardo e soprattutto i suoi occhi, ricchi di umanità, di
semplicità, e di grande generosità, come è stata la sua vita, e con un pensiero
a mia madre, la sua staffetta Sandra, che lui ricorda nell’intervista.
Insieme hanno contribuito a ridare dignità al nostro Paese e, senza voler
essere retorica ma con sincerità e amore filiale, non smetterò mai di dire e di
sentirmi orgogliosa di loro.
[1] Cfr. Cracolici F., Tussi L., Un Racconto di vita Partigiana. Il ventennio fascista e la vicenda
del Partigiano Emilio Bacio Capuzzo, Mimesis, Sesto San
Giovanni-Udine 2012
Commenti
Posta un commento