Cinema e Resistenza: un nuovo sguardo, un nuovo linguaggio
Cinema e Resistenza: un nuovo sguardo, un nuovo
linguaggio
di Laura Tussi
La Resistenza porta nella Storia il popolo, lo rende
protagonista, lo eleva a costruttore di piccoli eventi che come i tasselli di
un grande mosaico contribuiscono alla costruzione del quadro storico d'insieme.
Finalmente, con la lotta di Liberazione, la Storia non
si fa più, come durante il regime, nei ministeri, ma sulle piazze, nelle
strade, nelle campagne, dove la gente vive e soffre giorno dopo giorno.
Alla vita ufficiale del paese, condotta secondo rigidi dettami imposti dall'alto,
si sostituisce un modo di vivere spontaneo in cui vita e morte, riso e tragedia
si fondono in un tutt'uno inestricabile.
La lingua stessa muta; non più quella pomposa,
"romana" e dannunziana dei discorsi mussoliniani, ma quella
frammentata e istintiva dei dialetti.
Il Neorealismo scopre tutto questo e lo fa suo. Scopre la
dimensione quotidiana del vivere e lo spazio pubblico in cui si svolgono drammi
che tutti possono riconoscere, scopre che non esiste più uno sguardo
privilegiato che impone una lettura precostituita e coercitiva della realtà,
scopre l'esistenza di personaggi che si muovono con naturalezza in questo
spazio scenico, tanto da giungere a far corpo con le cose che li circondano. E
mentre la definizione spaziale assume una valenza morale, sociale e ideologica,
la scelta di concentrarsi su un personaggio e una storia qualsiasi si risolve
in un atto d'amore che permette la conoscenza di un mondo. Il personaggio si fa
allora veicolo di apprendimento, riversatore nella grana dell'immagine di tutto
un insieme di impressioni e di scoperte cui il regista si premura di dar
forma. A questo proposito e' forse utile riportare una dichiarazione di Rossellini relativamente al suo modo di procedere
nella creazione dello spazio scenico "D’abitudine, - scriveva il regista
romano- nel cinema tradizionale si "taglia" una scena in questo modo:
piano totale, si precisa l'ambiente, si scopre un individuo, ci si avvicina ad
esso, piano medio, piano americano, primo piano, e si comincia a raccontare la
sua storia. Io procedo nella maniera esattamente opposta: un uomo si sposta e
grazie al suo spostamento si scopre l'ambiente in cui si trova. Comincio sempre
con un primo piano, poi il movimento di macchina che accompagna l'attore copre
l’ambiente". Un’estetica
del “pedinamento del vicino di casa” introduce così lo svelamento di un
universo di gesti e di storie minute.
Tutti, durante la guerra, avevano, infatti,
sperimentato il mercato nero, le sevizie dei tedeschi, la fame, le privazioni e
tutti potevano dunque riconoscersi in quelle storie che erano ancora cronaca,
ma che nessuno, proprio perché ancora cronaca, si premurava di narrare.
Ciò che era sotto gli occhi di tutti trova invece col Neorealismo una
dignità prima improponibile. Cosi, quando la Storia è ancora
cronaca il Neorealismo ha il coraggio di prendere la cronaca e di elevarla a
Storia.
Esso ricompone i frammenti di una realtà ridotta in macerie e cosi facendo
restituisce dignità a persone e avvenimenti che questa dignità non sapevano più
di avere. Ogni scheggia di realtà che è portata davanti alla macchina da presa
ritrova la sua capacita di produzione simbolica e metaforica e riacquistando
immediata rappresentatività della realtà complessiva si ricontestualizza in un
quadro d'insieme a tutti comprensibile. In questo senso il Neorealismo è arte
nazional-popolare in quanto assume a protagonista della sua narrazione il
popolo, con tutte le sue varie componenti individuali, mettendone in risalto i
drammi, le sofferenze, le gioie. Sullo sfondo di una storia sociale complessa e
fatta di grandi avvenimenti che poi i libri di storia si faranno carico di
descrivere, il Neorealismo trasforma i singoli in individui attraverso un
inusuale processo di autocoscienza rappresentativa. Volendo a questo punto
riassumere i dati peculiari che identificano l'esperienza neorealista possiamo
individuare i seguenti elementi:
a) scelta di tematiche "basse" e popolari facilmente
comprensibili a tutti;
b) immediatezza, naturalezza e spontaneità nella messa in scena e nella
recitazione;
c) riappropriazione dell'esperienza del "vedere" rispetto a tutto
ciò che il fascismo aveva cercato di nascondere;
d) tentativo di rendere il più possibile diretta la comunicazione tra opera
e spettatore;
e) riaffermazione del potere della realtà rispetto alla forza
rappresentativa dell'immagine;
1) mancanza di un messaggio facile e già preconfezionato;
g) inclusione nella scena cinematografica di soggetti, personaggi, ambienti
che fino a quel momento ne erano stati invece esclusi.
Data la non omogeneità, culturale, ideologica e politica, dei registi che
si sono appropriati dello sguardo neorealista, risulta chiaro che tutte le
componenti fin qui delineate presentano in ciascun autore caratteristiche
originali. La provenienza dei vari autori e a ben vedere la più disparata:
Rossellini aveva girato film di propaganda nel periodo anteriore al 1943 (La nave bianca (1941); Un pilota ritorna (1942); De Sica, con al suo
fianco l'inseparabile Zavattini, aveva alle spalle una notevole esperienza
attoriale e alcune regie; De Santis era un critico militante della rivista
"Cinema" poi passato alla regia; Visconti, infine, possedeva una
vasta conoscenza letteraria, teatrale e delle arti figurative. E questo solo
per attenerci ai nomi più noti. Tuttavia, nonostante le peculiarità proprie di
ognuno, è possibile individuare, almeno in una prima fase dell'esperienza
neorealista, una certa unitarietà di fondo sia a livello linguistico, sia a
livello tematico.
Distinguiamo, in effetti, una prima fase che va dal
1945 al 1948, migliore e come già detto più unitaria, in cui si assiste a una
più intensa collaborazione tra artisti, registi e politici, da una seconda fase
che va dal 1949 al 1956 in cui il quadro si irrigidisce e i
rapporti di collaborazione e di osmosi tendono a tramutarsi in direzione dei
poli culturali sui registi.
A questo mutamento non è estraneo il cambiamento
dell'assetto politico che vede l'affermarsi come partito di governo la
Democrazia Cristiana col conseguente definitivo ingresso dell'Italia
nell'orbita del blocco occidentale.
A partire dal 1948, che è un po' l'anno cardine con quella pellicola
fondamentale che è La terra trema di
Visconti, a quasi più nessuno sarà concesso di realizzare liberamente e con
coerenza i soggetti desiderati. Privo di un alveo ideologico definito in cui
scorrere, il Neorealismo da questa data finisce per risentire in maniera
oppressiva delle accuse che gli vengono mosse tanto da destra, quanto da
sinistra. Parte della sinistra, che si riconosce nell'estetica del
realismo socialista, rinfaccia al Neorealismo di limitarsi alla denuncia senza
avere il coraggio di passare alla fase critica, mentre parte del mondo
cattolico gli rimprovera l'ardire di gettare uno sguardo disincantato e
indiscreto sulle piaghe della nazione.
Ai denigratori, che pescano un po' qua e un po' là nei due schieramenti, si
oppongono le forze più progressiste e liberali che riconoscono al Neorealismo
il merito di aver introdotto nella narrativa cinematografica una vena
autenticamente popolare in grado di dar voce agli interessi dell'opinione
pubblica e ai problemi di giustizia sociale. Sotto il prevalere delle varie
spinte critiche, se non addirittura dirigistiche, e a seguito anche dei mutati
equilibri politici e culturali, questa grande stagione di anarchia e di emancipazione
espressiva che va sotto il nome di Neorealismo imbocca lentamente, ma
inesorabilmente, la strada dell'omologazione ai canoni culturali del nuovo
sistema che si è venuto a creare e si instrada lungo nuovi e divergenti
sentieri di ricerca.
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