Sull’orlo di un precipizio, con il vento gelido della guerra che torna a soffiare.
Sull’orlo di un precipizio, con il vento gelido della guerra che torna a
soffiare.
di Laura Tussi
Recuperare umanità assumendo il conflitto come confronto e mai scontro.
In questo mondo sempre più planetario e
così arroccato nei propri particolarismi, non solo come difesa della specie e
come recupero della civiltà, ma come riscoperta della comune matrice umana,
occorre recuperare umanità rifiutando la logica dello scontro e gestendo il
conflitto come occasione di confronto e dialogo. Il positivo della differenza
si valuta anche attraverso il riconoscimento del suo lato oscuro. Abbiamo
invece sotto gli occhi lo scenario degli orrori che vicini o lontani si
consumano e si aizzano ogni giorno respingendo l’umanità a livelli di
repressione e di imbarbarimento di cui le parti sociali deboli, in primis donne
e bambini, subiscono lo scempio più atroce
Ottant’anni. Un arco di tempo che ha rappresentato
un’era di relativa stabilità in Europa, un periodo in cui l’eco assordante dei
conflitti mondiali sembrava progressivamente affievolirsi. La promessa di un
futuro prospero e pacifico, costruito sulle ceneri di due guerre fratricide, ha
nutrito generazioni. Eppure, oggi, quella promessa vacilla pericolosamente. Ci
troviamo sull’orlo di un precipizio, con il vento gelido della guerra che torna
a soffiare, portando con sé non solo la minaccia di nuovi conflitti, ma anche
la sua ombra lunga sull’economia e sulla cultura.
Il conflitto in Ucraina ha agito come un detonatore,
frantumando la fragile illusione di una pace perpetua nel continente. Ma non è
un evento isolato. Tensioni geopolitiche latenti, rivalità tra potenze globali,
crisi energetiche e migratorie, tutto concorre a creare un clima di incertezza
e instabilità che ricorda, con inquietante precisione, i preludi dei grandi
conflitti del passato. Le spese militari aumentano vertiginosamente in molte
nazioni, segnando un preoccupante ritorno a una logica di riarmo che sottrae
risorse preziose ad altri settori vitali.
Questa rinnovata corsa agli armamenti non è solo una
questione di bilanci statali. Essa innesca un’economia di guerra strisciante.
Industrie belliche prosperano, la ricerca e lo sviluppo vengono sempre più
orientati verso tecnologie militari, e le catene di approvvigionamento globali
vengono messe a dura prova dalla necessità di sostenere sforzi bellici, diretti
o indiretti. L’inflazione galoppante, acuita dalle sanzioni e dalle
interruzioni commerciali, colpisce duramente i cittadini, costretti a fare i conti
con un costo della vita in costante aumento, mentre le risorse vengono
dirottate verso la macchina bellica.
Parallelamente a questa trasformazione economica,
assistiamo a una preoccupante cultura della guerra che viene amplificata,
spesso in maniera subdola, dai media. La narrazione si polarizza, il “noi”
contro il “loro” diviene un leitmotiv costante. Il linguaggio si fa più
aggressivo, le sfumature scompaiono e la complessità degli scenari geopolitici
viene semplificata in dicotomie manichee. L’eroizzazione del soldato, la
demonizzazione del nemico, la diffusione di fake news e propaganda diventano
strumenti potenti per plasmare l’opinione pubblica e giustificare, se non
addirittura invocare, l’intervento militare.
I social media, con la loro capacità di diffusione
virale e la creazione di bolle informative, giocano un ruolo ambiguo in questo
processo. Se da un lato possono offrire spaccati di realtà e testimonianze
dirette dai luoghi del conflitto, dall’altro diventano spesso terreno fertile
per la disinformazione e l’incitamento all’odio, contribuendo a radicalizzare
le posizioni e a rendere sempre più difficile un dialogo costruttivo.
La perdita di memoria storica, la distanza temporale
dai traumi dei conflitti passati, rischiano di farci dimenticare il prezzo
incommensurabile della guerra: vite umane spezzate, intere generazioni
traumatizzate, distruzione, povertà e un futuro compromesso. La retorica
bellicista, seppur presentata come necessaria o inevitabile, non fa che
oscurare la tragica realtà dei campi di battaglia e le sofferenze delle
popolazioni civili.
Ripiegare su logiche di potenza, alimentare la
divisione e abbracciare una cultura della guerra significa rinnegare quel
faticoso percorso e condannare le generazioni future a un’esistenza segnata
dalla paura e dalla violenza. È imperativo ritrovare la strada del dialogo,
della diplomazia e della cooperazione, prima che l’ombra della guerra oscuri
definitivamente il nostro futuro. La pace non è un dato acquisito, ma una
conquista fragile che richiede impegno costante e una ferma volontà di
anteporre l’umanità alla logica distruttiva del conflitto.
Tutta la realtà è conflittuale in quanto formata ed
articolata in miriadi di diversità, in cui la differenza fondamentale della
coppia umana originaria è il parametro, la metafora, la cifra di ogni
differenza. Che le donne abbiano posto al centro della loro riflessione la
conflittualità esistenziale dimostra che vogliono considerarsi pienamente
inserite nella realtà di ogni ambito (sociopolitico, familiare, ecclesiale,
mondiale, planetario) ed allargare la loro progettualità a reinventare criteri
diversi di relazione e di giudizio della realtà stessa, a cambiare i processi
deteriorati mediante i quali si codificano le istituzioni ed i poteri. Il
problema nasce quando si vuole “sanare”, “appianare” il conflitto, perché
generalmente esso è inquadrato ed affrontato in termini gerarchici, di
inferiorità e di superiorità, di divisione, di esclusione, di dualismo (i due
poli della diversità) di aggressività; cose che nella pattualità della vita si
traducono in dominio e sopraffazione, razzismo, prevaricazione, guerra,
sfruttamento ed abuso dell’altro, del diverso, ma anche omologazione e
insabbiamento delle differenze: violenze, sperpero, massacri.
Soprattutto dell’utopia assumiamo e rilanciamo la
spinta vitale, lo slancio costruttivo e gratuito, la carica creativa, la
responsabilità della speranza, la serietà del lavoratore insieme senza
arrenderci, il coraggio e la bellezza di non svendere la nostra identità di
donne, il nostro proprio sapere la vita, la morte, il dolore, la fatica, il
sorriso ed il pianto come volontà di non lasciare le cose come stanno a partire
dalla presa di coscienza del nostro valore e della capacità di trasformare le
piccole grandi cose di ogni giorno.
Laura Tussi
Nela foto: Un carro armato americano a Chiasso (La
storia infinita/Archivio federale svizzero AFS)
Sitografia per approfondire:
Canale Mastodon
Canale Spotify “Poche note possono bastare”.
Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, I Partigiani della
pace, EMI Editrice Missionaria Italiana.
Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e
Nonviolenza creativa, Mimesis Edizioni.
Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro,
Mimesis Edizioni.
Con scritti e partecipazione di Vittorio Agnoletto,
Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Giorgio Cremaschi, Maurizio Acerbo, Paolo Ferrero
e altri
su FARO DI ROMA
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