Ermete Ferraro e l’ecopacifismo del Movimento Internazionale della Riconciliazione
Ermete Ferraro e l’ecopacifismo del Movimento Internazionale della
Riconciliazione
di
Laura Tussi
Intervista
di Laura Tussi a Ermete Ferraro attualmente referente M.I.R. (Movimento
Internazionale della Riconciliazione) della Sede di Napoli e, dal 2023,
Presidente nazionale.
Ermete
Ferraro è insegnante e educatore, autore di libri, saggi ed articoli, oltre a
collaborare con le redazioni del Centro Gandhi edizioni di Pisa, di Pressenza
Italia e della rivista di V.A.S. Nuova Verde Ambiente, dove cura una rubrica
sull’ecopacifismo. E' curatore di vari siti web associativi, di due blog e di alcune
pagine sui social.
A Napoli e in tutta Italia il
Movimento Internazionale della Riconciliazione porta avanti dal 1952 le istanze
del pacifismo e della nonviolenza. Ripercorriamo la sua storia e la sua
attività, oggi più che mai cruciale, insieme al presidente Ermete Ferraro.
“Praticare la nonviolenza attiva come stile di vita,
come mezzo di riconciliazione nella verità e mezzo di trasformazione personale,
sociale, economica e politica”. È questo lo scopo delle donne e degli uomini
che fanno parte del Movimento
Internazionale della Riconciliazione, sezione italiana
della rete globale International
Fellowship of Reconciliation. Per parlare delle
attività del Movimento Internazionale della Riconciliazione, ma anche della
situazione geopolitica attuale, con un focus sui temi dei diritti, della
nonviolenza e del pacifismo, abbiamo fatto una chiacchierata con Ermete
Ferrero, coordinatore della sede di Napoli nonché, dal 2023, Presidente
nazionale del MIR.
Oltre a questo Ermete Ferraro è insegnante ed
educatore, autore di libri, saggi e articoli, collaboratore delle redazioni del
Centro Gandhi Edizioni di Pisa, di Pressenza Italia e della rivista di V.A.S.
Nuova Verde Ambiente, dove cura una rubrica sull’ecopacifismo. Inoltre è
curatore di vari siti web associativi, di due blog e di alcune pagine sui
social.
Qual
è la caratteristica che più ti rappresenta - tenendo conto delle tante e
svariate questioni di cui ti sei occupato fin dagli anni ’70 - come la ricerca
costante di un collegamento logico ed etico tra le varie attività pacifiste e
nonviolente. Puoi parlarne?
Fin dalle prime esperienze come obiettore
antimilitarista, infatti, il naturale collante fra i miei diversi interessi è
stata una visione della Nonviolenza come scelta globale, come bussola per orientare
le scelte successive e coniugarle in una prospettiva unitaria. I cinque
pilastri della mia formazione personale (religioso, linguistico, sociale,
pacifista ed ecologista), mi sono quindi serviti come supporto per provare a
costruire un pensiero ed un’azione quanto più coerenti. Dai principi della
Nonviolenza attiva (innocenza, rispetto delle diversità, condivisione,
comunicazione, cooperazione, costruttività, empatia) credo di aver tratto le
basi per un progetto complessivo: socioeducativo, ecosociale ed ecopacifista.
Altro
punto fermo della tua esperienza ultracinquantennale è stato quello di
mantenere un giusto equilibrio tra le tre classiche dimensioni del pacifismo
(ricerca, educazione ed azione), per evitare di cadere nella tentazione di un
interesse solo teoretico, o di un impegno esclusivamente educativo oppure di un
attivismo solo movimentista. Vero?
Costruire la pace, a mio avviso, richiede
uno sforzo per collegare questi tre ambiti, per essere più credibili ed
efficaci nella opposizione alla follia del militarismo, del riarmismo e della
guerra, ma anche per sostanziare le proposte alternative in un effettivo ‘programma
costruttivo’.
Puoi
intessere una breve storia del M.I.R.?
Il Movimento Internazionale della Riconciliazione,
la più antica organizzazione pacifista italiana (1952), è la branca nazionale dell’I.F.O.R.
(International Fellowship of Reconciliation), prestigiosa organizzazione mondiale di matrice spirituale
ed ecumenica fondata nel 1919, che tra i suoi soci ha annoverato premi Nobel
come Martin Luther King. Personalmente, nei miei esordi come obiettore di
coscienza ho avuto la fortuna di trarre ispirazione da personalità autorevoli
come Antonino Drago e Giuliana Martirani. Ecco perché la prima aggregazione
nonviolenta a Napoli ha visto per molti anni un impegno coordinato della L.O.C.
(Lega degli Obiettori di Coscienza) con lo stesso M.I.R. Ero in servizio presso la Casa dello
Scugnizzo, presieduta dal suo profetico fondatore Mario Borrelli, quando
all’interesse per la ricerca sociale si è intrecciato quello per la ricerca
sulla pace, istituendovi la prima organizzazione italiana, l’I.P.R.I.
(Italian Peace Research Institute) e coniugando così l’azione sociale dal basso
con quella per il disarmo e la difesa nonviolenta.
Il
M.I.R. - che dal 2017 ha ripreso la sua attività a Napoli con un’assemblea
pubblica proprio sul rilancio del disarmo nucleare - è stato costantemente
impegnato sui principali temi del pacifismo nonviolento che, come recita il suo
Statuto, vede appunto i suoi associati: “impegnati nel praticare la nonviolenza
attiva come stile di vita, come mezzo di riconciliazione nella verità e di
trasformazione personale, sociale, economica e politica”. Puoi parlarcene?
Oltre che nella tradizionale campagna a
sostegno dell’obiezione di coscienza ed a tutela di tutte le forme di
opposizione al militarismo ed alla guerra, il M.I.R. si è impegnato in quelle
per il bando totale alle armi nucleari e, più in generale, per un disarmo
accompagnato da un modello alternativo di difesa, non armata, civile, sociale e
nonviolenta. La sua azione - attraverso le sue sedi e gruppi territoriali ma
anche a livello transnazionale mediante l’I.F.O.R. - ha spaziato anche in altri
ambiti, quali l’educazione alla pace e alla nonviolenza attiva, la tutela dei
diritti umani ed il contrasto alla militarizzazione delle scuole e delle
università. È stato poi coltivato anche un collegamento ecumenico con le altre
organizzazioni di matrice spirituale che agiscono in base al trinomio pace,
giustizia e salvaguardia del creato. Personalmente, infatti, credo di aver dato
un impulso soprattutto verso un complessivo progetto ecopacifista, sul quale il
M.I.R. ha pubblicato con le edizioni Gruppo Abele un utile opuscolo (“La
colomba e il ramoscello”). Recentemente con mio libro “Grammatica ecopacifista” (Pisa, Centro
Gandhi, 2023) ne ho approfondito le dimensioni sul piano della comunicazione, dalla
demistificazione dei linguaggi antiecologici, ostili e bellicisti che sempre
più invadono i mass media, fino alla proposta di modalità comunicative empatiche,
ecologiche e nonviolente.
Credi
che la drammatica situazione ed il clima che stiamo vivendo ci costringano a
stigmatizzare le sempre più preoccupanti tendenze imperialiste, autoritarie,
repressive e guerrafondaie che stanno affiorando, ma anche a fare un’onesta
analisi della influenza decrescente del movimento pacifista e disarmista in
questi ultimi decenni?
Premesso che il movimento pacifista ha senz’altro
risentito negativamente della conclusione dell’esperienza del servizio civile
alternativo degli obiettori di coscienza (che aveva mobilitato circa 200.000
giovani e stimolato la creazione di un modello di difesa alternativa), è pur
vero che i movimenti antimilitaristi non sono ancora riusciti a coagulare
intorno a sé forze nuove, con proposte innovative ed in modo coordinato. Non
possiamo nasconderci, infatti, il rischio che - pur in presenza di lodevoli
esperienze di collegamento organico, come quello promossa nel 2020 dalla Rete
Italiana Pace e Disarmo - negli ultimi tempi sembra essere venuta meno la
capacità di attirare l’attenzione e l’impegno attivo dei giovani, e non solo,
su temi fondamentali come l’alternativa alla difesa militare ed un’aggregazione
nonviolenta dal basso, per diventare protagonisti di un profondo e radicale cambiamento
della società. Bisogna quindi organizzarsi più e meglio per ‘contaminarla’,
seguendo strade nuove in questo mondo tecnologico e mediatico, ma soprattutto
evitando di chiudersi in atteggiamenti ed iniziative autoreferenziali.
Quali
sono le istanze prioritarie che dobbiamo perseguire e a cui dobbiamo rispondere
in questa grave congiuntura e fase storica?
Alla domanda sulle priorità da perseguire
in questa fase, da ecopacifista posso solo rispondere che la gravissima crisi
ecologica, insieme con l’assurdo moltiplicarsi di sanguinosi conflitti armati,
ci stanno mettendo di fronte ad interrogativi più che mai evidenti e pressanti.
E in effetti il saccheggio delle risorse del pianeta ed il ritorno di
preoccupanti tendenze imperialiste e belliciste sono le due facce di un
perverso modello di sviluppo: predatorio, iniquo e violento.
Mai
come in questo travagliato periodo, dunque, subentra il bisogno di fare e
diffondere nuovi ‘esperimenti con la nonviolenza’.
Sì. Certamente. Opponendoci con l’obiezione,
la non-collaborazione e la resistenza nonviolenta alle stragi ed alle
devastazioni provocate dal complesso militare-industriale. Dobbiamo poi
risultare più credibili, attivi, coinvolgenti ed unitari nei confronti di chi
non parte dai nostri presupposti, portando ovunque e in tutti i terreni la
nostra capitiniana ‘aggiunta nonviolenta’.
Anche su Italia che cambia
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