Il piano industriale invocato all'assemblea annuale di Confindustria

 

La proposta di un Piano Industriale Straordinario si rivolge anche al nostro Paese, al Governo Meloni viene chiesto di disaccoppiare il costo del gas da quello delle rinnovabili, puntando sul nucleare ribattezzato per l’occasione il fattore di sicurezza e indipendenza strategica per il Paese.



Confindustria batte cassa alla Ue e al Governo italiano, parla di “incentivi 6.0”, minore tassazione e utilizzo flessibile delle risorse del PNRR e dei fondi di Coesione, dare fondo all’avanzo Inail, pari a 1,5 miliardi di euro l’anno, per processi di formazione e prevenzione dei rischi esentando le imprese dal pagamento delle stesse.

Molte delle proposte Confindustriali non sono nuove anzi rappresentano i classici cavalli di battaglia padronali come pagare meno tasse, avere un sistema fiscale favorevole, ridurre i controlli e gli adempimenti burocratici. Ma allo stesso tempo merita attenzione la sempre verde ricetta dello scambio tra produttività e salari come se la perdita del potere di acquisto dei salari da quasi 40 anni ad oggi non fosse un problema che allenta i consumi interni e alimenta le disuguaglianze sociali ed economiche. Continuare a ritenere i salari una variabile dipendente dai profitti padronali o dalla produttività non è stato di aiuto per le aziende italiane che hanno lesinato per decenni investimenti privati per la innovazione tecnologica. E quando hanno invocato aiuto pubblico e statale hanno solo pensato a ridurre il costo della manodopera attraverso anche sgravi fiscali e aiuti alla classe imprenditrice.

Pensare che imprese e salari debbano crescere di pari passo è offensivo specie  se abbiamo l'onestà intellettuale di guardare ai dati statistici, ai profitti accumulati mentre i salari e le pensioni perdevano potere di acquisto,  se ricordiamo ìil divario crescente tra la ricchezza di pochi e l’aumento esponenziale della miseria di fasce sempre più consistenti della popolazione. 

E non mancano riferimenti a una auspicata e non meglio definita contrattazione “sana” che ci riporta indietro di qualche anno, a quel patto consociativo con i sindacati per arginare i contratti pirata e gli accordi con come le finte cooperative per rilanciare, e anche qui non ci sono novità, l’ennesimo “patto nuovo tra forze politiche e sociali” per “un’Europa più forte” e “un’Italia ancora più grande”.

E anche in questo caso le parole di Orsini sono inequivocabili e vanno prese sul serio come indicazioni del capitale industriale italiano, e non solo, al nostro Esecutivo

Per raggiungere questi obiettivi, il nostro appello è alla massima cooperazione tra forze dell’impresa, del sindacato e della politica. E non può che essere l’Europa il primo destinatario delle nostre sollecitazioni. Le motivazioni sono immediate: • oltre il 70% della normativa di riferimento per le imprese europee, e quindi anche italiane, arriva dall’Unione europea; • più del 50% dell’export italiano ha come destinazione l’Unione europea; • l’unione doganale e il commercio sono competenze esclusive dell’Unione europea. Ecco perché chiediamo al Presidente del Consiglio e alla Presidente del Parlamento europeo di sostenere, a Bruxelles, un Piano Industriale Straordinario europeo. Se le politiche rimangono solo nazionali, continueremo con la frammentazione che ha caratterizzato l’Europa finora, e non riusciremo a far crescere la massa critica degli investimenti industriali e delle innovazioni tecnologiche. Ecco perché all’Europa serve anche una netta sterzata nella sua politica commerciale.

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Un Piano Industriale Straordinario per il futuro dell’Italia e dell’Europa | Confindustria

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