Il rapporto annuale Istat: le statistiche della Meloni non corrispondono alla realtà
Sui
numeri la narrazione tossica meloniana non la racconta giusta, il tasso di
occupazione è il più basso tra i 27 Paesi dell’unione europea e, come spiegato
pocanzi, non solo oltre l’80 per cento dei nuovi occupati sono over 50 ma sotto
i 30 anni gli occupati risultano in forte calo.
Ma anche sui
numeri la narrazione tossica meloniana non la racconta giusta, il tasso di
occupazione è il più basso tra i 27 Paesi dell’unione europea e, come spiegato
pocanzi, non solo oltre l’80 per cento dei nuovi occupati sono over 50 ma sotto
i 30 anni gli occupati risultano in forte calo.
Hanno ragioni da
vendere quanti parlano non di crescita degli occupati ma di incremento dell’età
pensionabile, siamo in perfetta linea di continuità con i Governi precedenti
innalzando l’età di uscita dal mondo del lavoro. Ma in questo modo non solo
l’ascensore sociale resta fermo ma anche l’occupazione non cresce. E stagnano
anche i salari perché in paesi con risultati economici analoghi e peggiori dei
nostri le buste paga sono cresciute come potere di acquisto, in Italia invece
no (la perdita di potere d’acquisto rispetto al 2019 è pari al 4,4%. E la
erosione si è fermata al 2,6% in Francia e all’1,3% in Germania, mentre in
Spagna c’è stato un guadagno del 3,9%).
Sempre il
rapporto annuale parla di un paese alle prese con crescenti disuguaglianze in
particolare tra aree geografiche e in base al livello di istruzione. Ci sono
troppi giovani che abbandonano gli studi, non completano le scuole superiori e
non acquisiscono un diploma di laurea, la bassa scolarizzazione è ancora
identificabile in una forza lavoro sottopagata o disoccupata, con salari da
fame e una condizione di vita assai precaria.
Gli anni del jobs
act hanno indebolito il potere contrattuale ma anche arretrato le condizioni di
vita e di lavoro, la vulnerabilità occupazionale è anche sintomo di fragilità
sociale come per altro dimostra l’elevato numero degli inattivi, di quanti sarebbero
disposti a lavorare ma una occupazione non la trovano.
Parlavamo
all’inizio poi del calo di produttività che l’Istat ha fotografato in base ad
ogni ora lavorata (meno1,4%), un altro elemento di riflessione in un paese nel
quale si pensa che la riduzione del cuneo fiscale e del costo del lavoro siano
sufficienti per il rilancio della economia. E anno dopo anno il calo della produttività
fotografa un paese lontano dai processi innovativi e dagli investimenti che poi
sono da sempre fattori dirimenti per la crescita economica.
Quello che salva,
solo al momento, i salari italiani dalla assolta debacle è la inflazione bassa
anche rispetto ad altri paesi europei, se la inflazione aumentasse la erosione
del potere di acquisto sarebbe subito percepibile e assai maggiore, forse l’intervento sulla
dinamica dei prezzi di beni energetici ed alimentari ha prodotto dei buoni
risultati ma, in prospettiva, l’aumento della spesa militare ed eventuali dazi
potrebbero rimettere tutto in discussione e in maniera a dir poco traumatica
confermando la inadeguatezza di questo Esecutivo che riesce a guadagnare
consensi senza mai affrontare i reali problemi del paese.
E a conferma di
questa dissociazione dalla realtà un passaggio eloquente dal Rapporto Istat
Nel mercato del
lavoro, nonostante l’occupazione abbia raggiunto il massimo storico, l’Italia
presenta ancora tassi di partecipazione tra i più bassi d’Europa, in
particolare per giovani e donne. La qualità dell’occupazione è migliorata in
termini di stabilità, ma persistono forti vulnerabilità. Le condizioni
economiche delle famiglie restano fragili. La povertà assoluta è stabile
rispetto all’anno precedente ma in aumento nel confronto con il 2014. Anche tra
chi lavora si diffonde la vulnerabilità economica con l’aumento delle persone i
cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato. Le
condizioni di salute mostrano segnali contrastanti. La speranza di vita alla
nascita ha superato i livelli pre-pandemici, ma gli anni vissuti in buona
salute si riducono, soprattutto tra le donne e nel Mezzogiorno. La rinuncia
alle prestazioni sanitarie è in aumento, in particolare a causa delle lunghe
liste di attesa o per motivi economici. Il disagio psicologico cresce e le
condizioni di salute soggettive dichiarate dalle persone con disabilità restano
critiche. Per loro la prevalenza di malattie croniche è molto elevata, colpendo
in particolare gli anziani, con un impatto più marcato sulle donne.
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