La miopia dell'analisi Cgil
Urge una corretta analisi del lavoro povero senza occultare o ridimensionare cause e responsabilità della miseria contrattuale e salariale
Sono due milioni e mezzo i lavoratori italiani che guadagnano meno di 9,5 euro l’ora stando a uno studio della Cgil ma il numero dei lavoratori poveri è decisamente maggiore considerato che in questa analisi d sono esclusi tanto gli agricoli quanto i domestici.
L'inchiesta si avvale dei dati Inps, in un paese con oltre sei milioni e mezzo di lavoratori che a fine mese portano a casa una cifra irrisoria attorno ai 1000 euro, poco sopra la fatidica soglia di povertà.
Tra le principali cause del lavoro povero in Italia non ci sono solo i bassi salari orari, il diffondersi del precariato e del part time incolpevole, i tanti posti di lavoro offerti nelle mansioni meno qualificate e retribuite specie negli appalti e nei subappalti. Siamo il paese che investe meno nella formazione del personale, l'ascensore sociale è fermo e chi ha meno retribuzione è condannato a lavori di bassa qualifica e retribuzioni da fame. Quasi tutte le analisi della Cgil sono condivisibili ma l’ufficio economia della Cgil non la racconta tutta, fotografa un problema reale senza indagarne le cause e lo fa solo per occultare scelte errate operate da 40 anni a questa parte.
La domanda dirimente è quindi un'altra: come siamo arrivati al lavoro povero?
La povertà dei salariati è una eredità dei tragici 40 anni neoliberisti, non basta avere un regolare contratto per conquistare una vita dignitosa, se si lavora in qualche cooperativa o negli appalti, se siamo costretti al part time ci sono buone probabilità di non arrivare a fine mese. Si è poveri pur lavorando per salari da fame e con contratti sfavorevoli raggiungendo una retribuzione pari o inferiore al 60% della mediana nazionale, il fenomeno si sta diffondendo nei paesi Ue ma la situazione italiana, in virtù di 40 anni nei quali la perdita del potere di acquisto è stata incessante, è forse la più drammatica tra i paesi del vecchio continente.
Tra le cause della povertà salariale va registrata l’assenza del salario minimo ma le paghe da fame derivano anche da tanti contratti nazionali (inclusi molti di quelli siglati dalla triplice) costruiti ad arte per ridurre il costo del lavoro, il deterioramento delle condizioni di vita negli appalti e nei subappalti, il ricorso strutturale al part time risultato anche del fuoco incrociato (associazioni datoriali e sindacati rappresentativi) contro il decreto dignità.
E a queste elementari considerazioni bisogna aggiungere il sistema con il quale sono calcolati gli aumenti contrattuali, quel codice Ipca imposto dalla Ue ma solertemente voluto dai sindacati in nome della lotta alla inflazione fino alle dinamiche, perdenti, della contrattazione di secondo livello ove i datori conquistano deroghe peggiorative rispetto ai contratti nazionali e conquistano sgravi fiscali senza investire in occupazione parte dei soldi risparmiati.
Le vere cause della povertà dei salariati, se non proprio rimosse sono comunque posizionate in secondo piano dalle ricerche sul lavoro dalla Cgil che si sofferma invece “sulle cause strutturali a determinare, evidenziando in particolare quelle legate alla tipologia contrattuale, al tempo di lavoro, all’inquadramento professionale, alla dimensione d’impresa, al livello di istruzione e di competenze e, infine, al territorio”.
Prima di ogni ulteriore analisi e considerazione ogni organizzazione sindacale dovrebbe prima evidenziare i limiti della dinamica salariale, dal sistema di contrattazione all’abbassarsi progressivo della retribuzione oraria, dal ricorso strutturale al part time alla riduzione effettiva delle ore lavorate, dagli incentivi per ritardare la pensione all’innalzamento della stessa età pensionabile, dai contratti siglati al di sotto del costo della vita fino alla erosione del potere contrattuale per impedire rivendicazioni forti e miglioramenti effettivi
E quindi tra le cause principali della povertà salariale dovremmo individuare il continuo ricorso al part-time, la precarietà contrattuale e la discontinuità lavorativa, prendere atto che Enti bilaterali, organismi paritetici, previdenza e sanità integrativa sono altre trappole mortali dalle quali prendere definitivo commiato. Ma operando queste scelte dirompenti la Cgil rimarrebbe il primo sindacato nel paese, riuscirebbe a resistere davanti a una svolta conflittuale che ne muterebbe in sostanza il dna?
Per essere espliciti la Cgil è disposta a ridimensionare quel sistema economico che ruota attorno a caf, patronati, fondi pensioni integrative, sanità private cresciuto esponenzialmente da 30 anni a questa parte e che è causa della involuzione sindacale? La miseria contrattuale è anche risultato dei contratti nazionali siglati ben al di sotto di un ipotetico salario minimo, parliamo di contratti siglati proprio in questi mesi che condannano a paghe da fame decine di migliaia di lavoratori.
E che dire poi della giusta critica ai contratti part time quando per anni Cgil Cisl Uil si sono accaniti, insieme ai datori , contro ogni limite imposto a contratti a tempo determinato? Forse un po' di sana autocritica non guasterebbe
Gli stipendi bassi sono il risultato di politiche errate che hanno costruito contratti nazionali per favorire la riduzione del costo del lavoro e dinamiche contrattuali perdenti come quelle che permettono anni di ritardo nella sottoscrizione dei rinnovi contrattuali in cambio della miseria di 11 euro al mese.
E la grande quantità di occupati italiani nelle mansioni meno qualificate ci ricorda che salari da fame, mancata formazione e riqualificazione sono tutt'uno con la bassa scolarizzazione e gli abbandoni della scuola secondaria e dei percorsi universitari. Le professioni intellettuali e scientifiche raggiungono il 22,4% in Europa e in Italia sono solo al 14,3%. I dirigenti nei Paesi dell’unione sono il 4,1%; in Italia solo l’1,4% con la differenza che la forbice salariale in Italia tra dirigenti e dipendenti è di gran lunga maggiore a quella comunitaria. Siamo il paese delle disuguaglianze crescenti ma con i sindacati meno conflittuali in assoluto. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, anche di chi si sforza di non guardare la realtà.
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