Se perfino il Consiglio Superiore della Magistratura critica il decreto sicurezza....

 

Anche il Consiglio superiore della Magistratura ha criticato il decreto sicurezza  adducendo motivazioni assai diverse dalle nostre ma con parole forti e concetti chiari, in particolare  quando critica apertamente i nuovi reati e l’inasprimento delle pene  oltre a esprimere forte preoccupazione per le crescenti difficoltà che incontreranno gli uffici e l'intero sistema giudiziario stesso.



Siamo ormai in piena “incontinenza securitaria”, una visione e pratica della giustizia prettamente classista che punisce con severità i reati di piazza ma si mostra al contempo arrendevole verso altri reati ad esempio la corruzione negli appalti e nella Pubblica amministrazione. 

Non sussistono i principi di necessità e urgenza per legittimare l’operato della Meloni e la rinuncia ad approvare la legge solo dopo un percorso legislativo ordinario, si  vuole scongiurare quella discussione in Parlamento che negli ultimi mesi aveva per altro evidenziato innumerevoli criticità nello stesso testo. Chi poi si attendeva un atto eroico del Presidente della Repubblica è stato ancora una volta smentito, del resto non è mai stata esercitata la potestà di fermare norme di chiara marca repressiva: dalla Legge Reale a quella Cossiga, dai primi pacchetti sicurezza all'odierno testo di legge delle destre.

E perfino appellarsi alla Costituzione o al Presidente Mattarella è inutile, anzi il solito rituale esercizio di impotenza politica. Sul finire del mese di maggio viene annunciata una manifestazione nazionale a Roma da una rete contro il decreto Sicurezza dentro cui ritroviamo anche posizioni politiche. E purtroppo siamo davanti a letture parziali o a scenari rituali come quelli che evocano la lotta contro le zone rosse attorno alla stazione per non entrare nel merito dei reali contenuti del decreto-

 Dovremmo partire dalla nozione di sicurezza ossia dalla sicurezza di un lavoro degnamente retribuito, di una casa dalla quale non si possa essere sfrattati per incolpevole morosità, dalla sicurezza ambientale consapevoli che opporsi a una grande opera devastante per il nostro territorio non si traduca in anni di carcere. 

Estrarre dal cilindro legislativo nuovi reati o inasprire le pene per quelli già esistenti, criminalizzare l’opposizione sociale, sindacale e politica anche quando compie azioni non violente, arrivare a colpire il cosiddetto terrorismo della parola rappresenta un verso salto di qualità nella costruzione dello Stato penale. 

E poi le condizioni disumane nelle carceri, le ulteriori ipotesi di ostatività per beneficiare di misure alternative alla detenzione, norme che prevedono una eccessiva tutela delle forze dell’ordine, sono tutti elementi sufficienti a dubitare che un domani possa ancora esistere uno Stato di diritto.

Inutile negarlo ma la narrazione della destra appare fin troppo convincente agli occhi della opinione pubblica, la destra garantista verso i primi si mostra invece feroce persecutrice degli ultimi e da qui la risposta penale, il carcere vissuto come rimedio assoluto, la certezza della pena per i reati di piazza mentre i reati dei colletti bianchi se non restano impuniti ricevono comunque trattamenti fin troppo benevoli.

La risposta penale è oggi politicamente ed elettoralmente produttiva, il ricorso a politiche panpenaliste convince una opinione pubblica debitamente pilotata che l’esecutivo è attento verso i cittadini. Ci stiamo letteralmente americanizzando, ricordiamo ancora quando qualche giornalista e pseudo intellettuale di sinistra con le lacrime agli occhi rimpiangeva gli anni vissuti negli Usa (dove era lautamente pagato e con l’assicurazione privata garantita) dimenticando che in quel paese, con la popolazione penitenziaria più numerosa al mondo e le carceri gestite dai privati, viene non solo applicata la pena di morte ma si registrano i maggiori tassi di criminalità e di innocenti ingiustamente imprigionati.

Siamo davanti alla impunità dei potenti e alla feroce repressione degli ultimi, a un fiume di luoghi comuni elevati a somma conoscenza come quando il Ministro della Giustizia asserì che il sovraffollamento carcerario è causato dai troppi reati o quando si confonde la resistenza passiva con la rivolta carceraria stabilendo nei fatti un doppio registro della giustizia, dentro e fuori le sbarre, dentro e fuori le caserme, regole per le forze dell’ordine e regole per i manifestanti. 

Cosa altro dovrà accadere allora per risvegliarci dal lungo sonno della ragione?

 

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