A proposito di Geografia e della lezione di Tegucigalpa:non sappiamo piu' citare le capitali
Nell’ambito
del dibattito apertosi sui media in questi ultimi anni a seguito
dell’espulsione e della contrazione dell’insegnamento della
geografia nella Scuola Secondaria di Secondo Grado ed al quale ha
contribuito anche anche il Giga, proponiamo questo significativo
contributo del Prof. Mauro Varotto, docente di Geografia
all’Università di Padova.
L’autore
sollevando la questione dell’italica ignoranza in merito ai luoghi,
nella fattispecie le capitali estere, in realtà pone l’accento
sull’importanza della geografia come strumento di formazione di
futuri cittadini consapevoli. Fondamentale funzione formativa che la
penalizzazione subita dalla disciplina all’interno del sistema
nazionale di istruzione, sta inesorabilmente vanificando.
Stiamo
vivendo un duplice drammatico paradosso: se da un lato le nostre vite
si confrontano quotidianamente con nozioni e concetti geografici
dall’altro siamo ormai assurti a cittadini del “villaggio
globale”, senza avere né conoscenze geografiche elementari di
base, né tantomeno gli strumenti per comprendere le dinamiche e gli
eventi della nostra società globalizzata. Fenomeni come i
cambiamenti climatici, le crisi economiche, gli aumenti degli
squilibri ed i flussi migratori possono essere compresi in modo
approfondito solo tramite l’approccio di studio organico tipico
della geografia.
Disciplina, come giustamente indica Varrotto,
complessa che studia i grandi fenomeni contemporanei e le loro
correlazioni superando quella nostalgica visione che la relega a mero
esercizio mnemonico rispetto a fiumi, monti e capitali.
Consapevoli
del fatto che il cammino da percorrere non sarà né breve né
semplice per invertire la rotta, tuttavia se almeno si fosse a
conoscenza di queste nozioni già saremmo sulla buona strada….
Il
coordinamento del gruppo insegnanti di geografia aut organizzati -
Giga
Globi
e mappamondi sono tra gli oggetti di arredo più affascinanti di
studi prestigiosi. La geografia è uno splendido soprammobile. Ma è
questo il suo destino? Sembrerebbe di sì, a giudicare dalla drastica
riduzione delle ore d’insegnamento di questa materia dopo la Legge
Gelmini. Nella scuola primaria due ore settimanali di geografia;
nella scuola media, 9 ore per italiano, storia e geografia quasi
sempre ripartite a scapito di quest’ultima; nei licei c’è la
«storia e geografia», 3 ore a settimana nel biennio, dove la storia
è sempre privilegiata; negli istituti tecnici si va dalle 3 ore nel
biennio a indirizzo economico ad un’ora al primo anno del
tecnologico; nei professionali un’ora. In ambito universitario
negli ultimi dieci anni si è avuta una drastica contrazione di
docenti, cattedre e corsi di geografia: la perdita di rilevanza della
materia si associa così alla diminuzione di competenze di chi la
insegna, ed ecco spiegato perché si privilegiano altre materie in
cattedre miste.
Estromessa
dalla scuola ma al centro delle nostre vite
Eppure,
fuori dalla scuola la geografia è ovunque: nei pacchetti turistici,
nelle pubblicità spesso ingannevoli di mele, prosciutti e formaggi,
nei navigatori di auto che si guidano da sole, nelle rotte dei
migranti, nelle commodity chains di merci che attraversano il mondo a
nostra insaputa (dov’era l’albero da cui proviene il foglio su
cui è stata stampata l’edizione cartacea di questo articolo?). La
geografia è negli smartphone che registrano i nostri spostamenti
quotidiani: senza longitudine e latitudine, le informazioni su ciò
che facciamo sarebbero inutili ai gestori di big data. Come mai un
sapere così pervasivo nel mondo contemporaneo, in cui abbiamo a
disposizione il globo mentre difendiamo strenuamente i luoghi, sta
scomparendo dall’insegnamento?
Direi
essenzialmente per tre ragioni: in primo luogo perché da molti è
ancora considerato un bagaglio mnemonico noioso e superato (non serve
conoscere la capitale dell’Honduras, tanto me la trova Google!
Anche se nessuno si sogna di togliere la matematica perché esiste la
calcolatrice…); in secondo luogo perché questa materia è stata (e
a volte è tuttora) insegnata male e controvoglia da insegnanti poco
preparati. Ma c’è una terza ragione: un cittadino poco consapevole
del complesso mondo in cui viviamo è facilmente maneggiabile. In
fondo, il motivo della progressiva scomparsa della geografia è anche
politico, lo stesso — stavolta di segno inverso — che ha portato
alla sua introduzione con la Legge Casati nelle scuole del neonato
Stato unitario: la necessità di alfabetizzare le masse al nuovo
ordine nazionale, oltre che difenderlo da bravi soldati in grado di
leggere le mappe in guerra.
Il
cittadino consapevole è di ostacolo alla globalizzazione
neoliberista
Allora
la geografia serviva «a fare la guerra», come disse il geografo
Yves Lacoste, oggi l’ignoranza geografica serve ad un altro genere
di guerra, quella commerciale della globalizzazione a cui non servono
truppe informate, ma consumatori raggiungibili e manipolabili. Dare
nuovo slancio a questa disciplina è missione che va oltre l’ambito
scolastico: esige iniziative di comunicazione, formazione continua ed
engagement pervasive, se si vuole mettere al riparo il pubblico da
facili manipolazioni sulla provenienza dei cibi che mangiamo, sul
senso dei luoghi in cui viviamo, sulle opportunità immense (e non
solo sulle paure) generate da rotte e flussi che vanno governati, non
bloccati. E senza dimenticare Tegucigalpa, la capitale dell’Honduras,
da cui magari proviene il caffè o la banana della nostra colazione.
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