LAVORO, SFRUTTAMENTO, MORTE: L'ETERNA TRIMURTI
LAVORO, SFRUTTAMENTO, MORTE : L’ETERNA TRIMURTI di Franco
Astengo
Mentre il gran circo mediatico batte la grancassa del “non
lavoro” diventato “reddito di cittadinanza” nessuno o quasi sembra occuparsi
del lavoro vero, del suo sfruttamento, della quotidiana trasformazione dello
sfruttamento del lavoro in strumento di morte.
Lavoro, sfruttamento, morte : una triade inscindibile,
sempre incombente nel ciclo capitalistico, indipendentemente dalle condizioni
materiali nelle quali, nello scorrere del tempo, ci si trova ad agire.
L’epoca terribile della prima rivoluzione industriale la
ritroviamo rinnovatia oggi con grande violenza e soprattutto nella
misconoscenza generale, senza che neppure – come allora – il movimento operaio
sappia riorganizzarsi non solo in difesa ma anche come proposta ideale di una
società alternativa.
Per questo motivo, proprio per rinnovare e rinsaldare la
memoria della Trimurti , lavoro –sfruttamento – morte , in
questa occasione si riportano di seguito
le antiche cronache di un vero e proprio eccidio avvenuto il 25 febbraio
1899 all’interno dello stabilimento siderurgico della “Terni” di Savona :già
Tardy e Benech e successivamente ILVA, poi Italsider, nuovamente ILVA e infine
OMSAV, chiuso negli anni’90, per lasciare spazio ad una gigantesca operazione
di speculazione edilizia attraverso la quale si compiva il capolavoro della
chiusura della storia della Savona operaia.
Andando per ordine.
“Il Letimbro” (
giornale della Curia) di martedì 28
febbraio 1899:
“Una tremenda
detonazione nell’acciaieria della Terni avvertiva gli operai dell’importante
stabilimento che era accaduto qualcosa di grave: al forno n.7 per forza di gaz
era saltata in aria la volta e parte delle pareti. La ghisa bollente
sprigionatasi dalla caldaia uccideva sul colpo un operaio, un povero giovane di
appena vent’anni, certo Bianconi Ugo di Romualdo, nativo di Susa e ne feriva
gravemente altri nove. Al rumore dello scoppio corsero verso il luogo del
disastro gli operai e gli impiegati dello stabilimento, le guardie di Finanza,
i Carabinieri della stazione del molo i quali tosto provvidero al ritiro dei
feriti.
Avvertiti del fatto
accorsero sollecitamente il sottoprefetto Facciolati, il Procuratore del Re
Polito de Rosa, il giudice istruttore avv.Rastelli col Cancelliere, l’ispettore
di P.S., delegati e il capitano dei carabinieri ed altri, nonché il dott.
Vittorio Carlevarini che apprestò le prime cure ai poveri feriti. Intanto ne
venne ordinato il trasporto al Civico Ospedale; i feriti vennero adagiati in
pubbliche vetture e giunti all’ospedale vennero immediatamente ricevuti ed
amorevolmente curati dai dottori Carlevarini,Meirocco, Aonzo, Rossi, Ramella,
Grosso e Astengo. Le suore di carità, il portinaio, la moglie e le figlie
coadiuvavano gli egregi dottori che ponevano in atto tutti i mezzi suggeriti
dalla scienza medica per salvare i poveretti e per alleviarne le orribili
sofferenze .Ma,purtroppo, altre due vittime deve registrare la cronaca! Bogni
Claudio fu Faustino di anni 53 da Cagno e padre di numerosa prole; Ruffinoni
Giovanni di Antonio di anni 18 da Savona che cessava di vivere domenica alle
ore 11 in preda agli spasmi più atroci.
Lo stabilimento Terni
veniva intanto chiuso e le Autorità si recavano al capezzale dei poveri operai,
vittime del lavoro per interrogarli sulle cause che produssero la terribile
catastrofe, ma per lo stato gravissimo dei feriti non fu possibile farlo. Gli
altri feriti sono: Carlo Alterini di Nicolò da Gaieva, anni 42, manuale;
Alfredo Moretti di 49, da Bogliasco, assistente ai forni, Francesco Parodi di
anni 30, nato a Stella, Antonio Gualdi nato a Voltri di anni 33, Giovanni
Meneguzzi da Cornigliano, fonditore, Carlo Alfredo Peluffo da Savona. Il povero
operaio morto sul colpo non era più riconoscibile essendo rimasto completamente
carbonizzato.
“Il Mare” (organo legato al club “Progresso Operaio”) nel
suo numero del 2 marzo ( da leggere con grande attenzione n.d.r). Il numero del
“Mare” del 2 marzo 1899 fu stampato in 2.000 copie che andarono a ruba. Savona
allora contava circa 35.000 abitanti, con un analfabetismo all’incirca del 50%.
Ci viene riferito che dopo il disastro un ingegnere dello stabilimento
accorso sul luogo dopo il disastro toccava con la punta del bastone il corpo
carbonizzato del povero Bianconi, come se fosse stato il cadavere di un cane
rognoso, per accertarsi se veramente fosse morto. E faceva ciò con le ami
guantate e il sigaro sulle labbra.
“Il Mare” prosegue:
I funerali ebbero luogo
lunedì e riuscirono imponenti e furono uno spettacolo mai visto in Savona.
Tutti i negozi furono chiusi in segno di lutto, da molte case sventolavano le
bandiere abbrunate. Si calcola che più di diecimila persone (Savona contava
allora circa 35.000 abitanti, n.d.r.)
presero parte al corteo funebre: contammo 30 bandiere e oltre 40 corone. Alla
camera mortuaria parlò splendidamente il giovane avv. Cesare Buscaglia il quale
commosse profondamente.
Le funzioni religiose
si svolsero nella Cattedrale Basilica. Poi l’imponente corteo attraversò per
via Vescovado, via Paleocapa, corso Principe Amedeo e via Luigi Corsi sino al
luogo di fermata davanti alla chiesa della Consolazione. Qui parlarono l’ing.
Mani, direttore tecnico dello stabilimento e due operai. Sciolto il corteo, i
feretri furono portati sulle spalle dagli operai che non vollero rinunciare al
pietoso ufficio malgrado la presenza dei carri funebri; proseguirono per il
cimitero di Zinola (circa 4 Km di distanza, n.d.r.) dove già trovavasi una folla di gente accorsa dai vicini comuni di
Vado, Quiliano, Bergeggi e delle borgate vicine ( Il giorno di mercoledì 3
marzo ebbero poi luogo i funerali di altri due operai, Antonio Gualdi e
Giovanni Meneguzzi, morti in ospedale a causa delle ferite, n.d.r.)
Ancora “Il Mare”:
La catastrofe avvenuta sabato non ci stupisce ma era da prevedersi e ne
accadranno altre fino a che il governo penserà a tutelare le vite dei
lavoratori con le leggi eccezionali e il domicilio coatto. Quando una
amministrazione come quella della Terni è basta sul sistema delle grette
economie, delle speculazioni ingorde sulla vita dei lavoratori, quando questa
amministrazione fa lavorare per10 o 12 ore al giorno degli sventurati
compensandoli con la paga giornaliera di lire 1,96, se dà grossi dividendi agli
azionisti, saranno sempre dolori per i poveri operai.
La Società di Terni, d’altronde,insediandosi a Savona trovò degli
operai in preda a una dura miseria causa la lunga disoccupazione e se ne
approfittò per ridurre le paghe ad un prezzo irrisorio che in nessun luogo
d’Italia, si diceva, era allora così basso e, anche se in molte lavorazioni per
via del cottimo questa paga a volte si raddoppiava fatto poi il confronto sulla
quantità di lavoro che si doveva svolgere negli ultimi tempi per raddoppiare la
misera paga e stabilite le debite proporzioni per quanto si guadagnava con
l’antica Tardy e Benech (la società precedente con la quale si era
introdotta la siderurgia a Savona, n.d.r.) detta paga avrebbe dovuto essere a quanto
pare quadruplicata. L’aumento del ritmo di lavoro snervava, esauriva l’operaio,
mentre il guadango non gli permetteva di riacquistare completamente le forse
perdute e lo metteva nelle condizioni di non avere più quell’agilità,
quell’attenzione che indicavano la tecnica e la pratica e per conseguenza è più
esposto agli infortuni.
Cinque operai sono morti, altri sono moribondi,l’Amministrazione della
Terni manda delle corone, elargisce generosamente mille lire all’ospedale per
la cura dei feriti. Intanto chi si occupa di cercare i veri responsabili di
questa immane catastrofe? Se gli operai si fossero permessi di chiedere un
aumento di salario e se per puro caso nell’eccitazione degli animi avessero
rotto qualche vetro dello stabilimento, a quest’ora le carceri di Sant’Agostino
non avrebbero più cameroni per ricevere i numerosi sobillatori che
arriverebbero ammanettati come tanti malfattori. Ma quando si distruggono in un
attimo parecchi corpi affumicati e callosi chi si preoccupa di ciò.
Il nostro stabilimento si è riaperto o si riaprirà, gli operai
continueranno a logorarsi la vita e l’amministrazione munificente penserà con
nuove economie a risparmiare i denari mal spesi in corone, in elargizioni
forzate e in altri simili spontanei atti di carità fraterna”.
“Nihil sub sole novum”
scriveva l’Ecclesiaste.
Senza commento, con intatte indignazione e commozione a
distanza di 119 anni. Indignazione e commozione per il passato e per l’oggi.
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