Annotazioni sulla intervista a Liliana Segre

 Da oggi in rete  sul sito www.gramscioggi.org  

riceviamo e pubblichiamo

 

DUE NOTAZIONI SULL’INTERVISTA A LILIANA SEGRE APPARSA NEL CORRIERE DELLA SERA DEL 30 AGOSTO. di Tiziano Tussi

 

Ribadendo, ovviamente, che una storia come quella della Segre da ragazzina, nel periodo della Seconda guerra mondiale, nella detenzione, in Italia, e ad AuschwitzBirkenau, in Polonia, poi, non ha bisogno di rituale compartecipazione, che appare superflua di fronte a tanta tragicità, si impone da sé. Ma nell’intervista c’è qualcosa che non piace o meglio, può non piacere. La prima e più veloce considerazione è la presenza al suo fianco della scorta assegnatale per le parole, come dice il giornalista del Corriere “messaggi d’odio e le minacce” che le sono state rivolte. Bene, è difficile mettersi nei panni di un’altra persona ma io credo che una vita come la sua, ciò che ha passato da giovanissima, possa essere decisamente superiore alle minacce verbali che le possono venire da qualche deficiente. Me ne farei una ragione ed insomma rifiuterei la scorta proprio sulla base di queste pochezze, dopo avere vissuto tanta abissale tragica esperienza. Mi accorgo che questo possa essere discutibile: passiamo oltre. L’altro appunto è politico-sociale, per le prese di posizione in favore dei giovani. Sue parole: “Cari ragazzi tocca a voi. Prendete per mano i vostri genitori, i vostri professori. In questo momento di incertezza prendete per mano l’Italia.” Ora non si capisce a quali giovani la Segre si riferisca. Se si pensa solo all’età anagrafica non pare proprio che le giovani generazioni, e lasciamo perdere le eccezioni, sempre ve ne sono, diano da tempo grande prova di sé. Anche la Segre lo adombra nel corso dell’intervista, ma ci tiene a sottolineare la grande fiducia nelle giovani generazioni che potrebbero fare quello che si auspica all’inizio dell’intervista: prendere per mano l’Italia. Tempo fa, molto tempo fa, scrissi per il numero gennaio-dicembre 2003 della rivista il Protagora: “La scomparsa” dei giovani tra la fine del Novecento e il nuovo secolo. Mi pare che da allora la situazione non sia molto cambiata. La gioventù, come dato anagrafico è rimasta, anche se molto dilatata nella percezione comune, ma i giovani sono scomparsi. Fiammate sociali, eccezioni, ma dal punto di vista generazionale poco è rimasto sul terreno sociale. Certo poi se si guarda all’età dei “nuovi” politici età giovanili sono sulla scena. Un esempio per tutti, Luigi Di Maio ha 34 anni. Anche se non sembra essere a quelli come lui che la Segre pare rivolgersi. Lei parla proprio dei giovani comuni, quelli che vedi per strada, nelle discoteche, nei raduni rave, negli stadi, ai concerti dei cantanti neomelodici: insomma in giro. Ma da questi poco di significativo esce. Vi sono le eccezioni che sono quantitativamente minoritarie, c’è il terzo settore, il volontariato, le associazioni scout, le associazioni che sono attorno alla chiesa, alle chiese. Insomma, andrebbe ben specificato dove trovare speranza nel futuro. Detto così, cari giovani ecc. ecc. poco serve e serve solo ad infiocchettare discorsi generalisti che vanno tanto di moda, così come l’uso dell’imperativo verbale – diventi, sia, faccia, si adoperi ecc. ecc. – che non impegna nell’immediato ma che serve solo a definire un augurio, di solito non realizzabile a breve o addirittura mai realizzabile. La posizione della Segre sui giovani dimostra anche una poco chiara e praticabile capacità politica. Ricordo che la stessa senatrice a vita votò astenendosi per il Primo governo Conte, quello a guida sotterranea, ma neppure troppo, Di Maio-Salvini. Le sue motivazioni, reperibili in rete, grondano di riferimenti altisonanti. Ma in definitiva si astiene su un governo che vedeva “finalmente” la Lega prendere piede in un governo senza più la sudditanza politica a Forza Italia, o come si possa essere chiamato il partito personale di Silvio Berlusconi. Una presenza quindi ancora più inquietante, e lo si è visto poi all’opera il ministro Salvini. Un lavorio ministeriale, quello di Salvini – lasciamo perdere per pietà la parte interpretata dal M5S - proprio e ancor di più per lei nel mirino di persone di destra estrema e antisemita che alla Lega guardano come referente politico praticabile. Insomma, sarebbe preferibile più attenzione, per quanto possibile, ai discorsi che la Segre intende come politici e non solo di profonda umanità. Nel secondo caso ognuno si deve ritirare in buon ordine lasciando alla Segre la ribalta che le spetta e che è stato bello e giusto offrirle da parte del Capo dello Stato. Per la prima considerazione, quella politica, possiamo almeno criticarne l‘approssimazione.■

 

 

 

Non basterebbe un sano semplice piccolo buon senso politico? ... Titolo del Corriere della Sera del 6 settembre u.s. (così come anche di altri quotidiani): “Conte: «Avevo pensato a Draghi per l’UE. E vedrei benissimo un Mattarella bis». Cosa bisogna attendere, e mi riferisco al PD, ma anche ai M5S, per cacciarlo? Un Pasquale qualsiasi, rotto a tutte le stagioni che oramai si allarga sempre più. Certo non si devono rimpiangere le purghe staliniste ma almeno l’intelligenza politica minimale, quella sì. I due partiti maggiori che reggono il governo cosa aspettano a cacciare il prodotto di un’impossibilità momentanea che è servito loro in tempi recenti? Bisogna proprio sempre richiamare Machiavelli o Hobbes? Non basterebbe un sano semplice piccolo buon senso politico? TT

 

 

 

Per il bene della scuola o di noi presidi? Una breve intervista – Il sole24ore di domenica 13 settembre – al Presidente dell’Anp (Associazione nazionale presidi). Leggendola si capisce perché la scuola italiana ha molti, troppi, problemi. Il suo interesse principale lo si evince dall’ultima risposta: “Al prossimo rinnovo del CCNL proporrò con forza il tema della completa equiparazione retributiva con gli altri dirigenti pubblici.” Insomma soldi, soldi per i presidi. Pare che tutti i problemi possano risolversi con questa ipotetica equiparazione. Non basta neppure ricordare, ed il presidente dell’Anp non lo fa, che i bidelli hanno stipendi da fame, che i lavoratori amministrativi pure e che gli insegnanti, laureati come i presidi, partano all’inizio della carriera da circa 1.300 € al mese. Al nostro Antonello Giannelli, questo non passa neppure per la testa. Altre perle di saggezza: a) ammodernamento della didattica a distanza, che ha “saputo stimolare gli alunni, in alcuni casi meglio che in classe”; b) “va rilanciato” il rapporto con il mondo del lavoro. Per il primo punto è quasi generalizzata la chiara verità che la didattica a distanza sia servita a nulla, per motivi vari: incapacità tecnologica, gioco delle parti mediatico – mi collego e me ne vado al bagno – assenza di socialità nell’insegnamento, un ingrediente di non poco impatto sul discente. Per il secondo punto: quando il rapporto con il mondo del lavoro, lui dice da rilanciare, è stato proficuo? Parole inutili come inutile l’uso di termini inglesi per definire un disequilibrio tra scuola e lavoro, che Giannelli, usa come se i termini inglesi, per di più specifici, fossero conoscenza comune. Il termine è mismatch, che in inglese copre più di una sfumatura1. Lui in quell’intervista a quale allude? Non si sa, ma fa tanto figo! Povera scuola.

 

1- Mi permetto di rimandare ad un testo collettaneo, uscito pochi anni fa, al quale ho partecipato, proprio su questo uso inutile dell’inglese: L’idioma di quel dolce di Calliope labbro. Difesa della lingua e della cultura italiana nell’epoca dell’anglofonia globale, a cura di Sergio Colella, Dario Generali e Fabio Minazzi, Mimesis, Milano-Udine, 2017.

TT

 

 

 

 

 

HA VINTO CHI HA PERSO, HA PERSO CHI HA VINTO…MA COSA? di Tiziano Tussi

 

Elezioni regionali settembre 2020 e referendum confermativo della riduzione di un terzo dei parlamentari, deputati e senatori. Prima un piccolo commento sul referendum: • Vuoi una mela? • Aspetta, prima mi taglio una mano e poi la prendo. • Hai sempre una mano che puoi usare. • Ma è con l’altra, quella che mi sono tagliato, che mangiavo. Un piccolo dialogo che ci fa capire come il Parlamento si sia castrato, auto castrato ed ora con facilità gli si può dire: e cosa state lì a fare, ancora con due mani? Tutti i partiti, salvo i radicali (il partitino di Calenda, Azione1, non conta alla prova dei fatti), avevano fatto campagna referendaria per l’autocastrazione. Quindi ora le voci che chiedono una veloce scomparsa di un Parlamento diminuito di un terzo dei componenti hanno gioco facile. Non sto parlando dei partiti di centro destra, anche loro scontati di un terzo, evidentemente. Fanno la voce grossa ma inopinatamente. Nel mastello, come si dice, ci sono anche loro, anche se fanno finta di non accorgersene. Non si era ancora raggiunto il traguardo dell’imbecillità politica assoluta. Ora ne siamo vicini. E perché in futuro non diminuire ancora tale numero? e perché non abolire questo inutile orpello democratico? Ma cominciamo intanto a ridurre gli stipendi. Se i problemi sono: a) risparmio di soldi, b) maggior velocità nel prendere decisioni, basta non averlo più tra le pastoie burocratiche e politiche e tutto andrà meglio. I cinque stelle, altra intitolazione evocativa del nulla, altro non riescono a dire se non invitare al suicidio palese e populisticamente arrembante ogni istituzione. Tanto loro capiscono nulla di istituzioni e di struttura statale. Non avendo politicamente nulla da spartire con la vita reale, ma solo con i sogni di fare piazza pulita e poi, e poi … e poi cosa? Un Di Maio ci aspetta all’orizzonte, un Di Battista? Un Grillo? Non scherziamo. Ora hanno vinto il referendum avendo perso tutte le opportunità elettorali locali nelle regioni. Perderanno poi tutte le città che ancora hanno in mano e finalmente spariranno. Saranno ricordati come un vento di ubriacatura nazionale, specchio dell’imbecillità del Paese. Un ultimo rilievo: si sono recati a votare poco più del 50% degli elettori totali; il 70% ha votato per l’eutanasia. A livello assoluto siamo a circa poco più del 35% degli aventi diritto al voto. Non mi pare un dato eclatante. Ma questo piccolo calcolo sulle quantità effettive di voti in assoluto non si fa più. Ci si nasconde dietro le percentuali spurie che sono naturalmente fuorvianti. Il voto regionale: tutto il bailamme precedente e durante il voto per avere, come risultato, lo spostamento di una sola regione, dal centro sinistra al centro destra. Un po’ poco e perciò chi ha vinto, il centro destra, ha perso un’occasione, che prefigurava ghiotta, di assaltare il governo. Chi ha perso una regione, il centro sinistra, una in più, ha vinto perché si dichiara resistente all’onda della destra invadente. Ma pare evidente che i vari presidenti di regione, che pomposamente si dichiarano governatori, hanno ottenuto grandi affermazioni, non importa il colore, nel riscontro personalistico che l’organizzazione di questa pandemia ha permesso o concesso loro. Sarebbe stato interessante se al voto vi fosse stata anche la Lombardia. È persino inutile entrare nello specifico dei risultati nei partiti maggiori: se Salvini è uscito rinforzato o indebolito; se Forza Italia e Berlusconi sono spariti dal panorama regionale; se Renzi respira ancora; se Zingaretti riesce a capire che non lui ma i governatori locali, Emiliano e De Luca in primis, hanno avuto il pallino in mano; se il M5S riesce a capire che dove si presentano fanno figuracce di emme. Un accenno alle liste minori di sinistra: comunisti, verdi, animalisti. Rimaste al palo. Un po’ per la frammentazione che per loro è come il Covid del narcisismo di lista, un po’ per la pochezza dei loro candidati, un po’ per la loro scomparsa dalla scena giornalistica, culturale e mediatica del Pese. C’è veramente bisogno di una catarsi generalizzata per sperare in un qualcosa di umano, anche a livello elettorale locale. Ma una catarsi politica ha bisogno di tipi politici che dopo la distruzione totale siano pronti per lavorare rigenerandosi e rigenerando ciò che sta attorno a loro. Poco o nulla di questo si vede ora. Ed allora, vai con Salvini, Meloni, Zingaretti……

 

Note: 1-Interessante sottolineare come i novelli partiti, o presunti tali, prendono da qualche anno a questa parte intitolazioni roboanti o verbali. Ricordo Fare, di tale Oscar Giannino, che millantava lauree e master mai conseguiti. Nato e scomparso in pochissimo tempo. ■

 

 

 

Un pensiero per Rossana Rossanda.

Un pensiero per una storia comunista di alto valore e riferimento etico.

Un pensiero per gli anni ’60 e ’70.

Un pensiero per l’uso costante e continuo della critica, per un pensiero critico.

Un pensiero per gli anni delle rotture: del familismo, dell’ipocrisia borghese, del conservatorismo. culturale, dell’Italia vecchia ed infagottata, bigotta.

Un pensiero per la rivoluzione personale e politica.

È necessario proseguire su queste strade, anche se paiono interrotte.


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