Golpe in Cile, parla il testimone italiano

 

Golpe in Cile, parla il testimone italiano: "Ecco come l’11 settembre provammo a salvare Allende”

Pedro Guerra Figueroa, 69 anni, adesso vive a Parma dopo la fuga dal Sudamerica. Il suo ricordo, nell'anniversario del colpo di Stato, raccolto dai giornalisti che curano l'Archivio Desaparecido

di ALFREDO SPROVIERI


Un ultimo disperato tentativo per cambiare la storia: la mattina del golpe a Santiago del Cile un gruppo di uomini tentò di strappare il presidente Allende al suo destino. In una delle udienze del Processo Condor a Roma lo ha raccontato un testimone diretto, Juan Bautista Osses Beltran, all'epoca nella scorta personale del presidente cileno insieme a un ragazzo di origini italiane, Juan Josè Montiglio. "Ci fu un momento in cui si cercò la possibilità di rimuovere Allende dalla Moneda, prima del bombardamento. Si stava sviluppando un piano per allontanare il presidente dal ministero dei Lavori pubblici attraverso la porta di Calle 'Morandé 80' e da lì al Banco del Estado". Lì, nella banca pubblica cilena, l'11 settembre del 1973 ad attenderlo c'era un gruppo di militanti della giovanile socialista, un pensionato di Parma quel giorno era fra loro. Si chiama Pedro Guerra Figueroa, ha 69 anni e dalla fine di quell'anno vive in Italia. Pochi mesi dopo il colpo di Stato dei militari riuscì a salvarsi entrando nell'ambasciata italiana nascosto nel bagagliaio di un'automobile, e in pochi giorni trovò asilo politico nel nostro Paese. Ripensa spesso a quel giorno.


Era una mattina buia, quella del colpo di Stato.
"Sì, era tutto molto molto caotico, perché non si sapeva cosa sarebbe successo. Io e alcuni compagni ci chiudemmo all'interno del Banco dell'Estado, ad aspettare. Non sapevamo come sarebbe finita, perciò abbiamo fatto uscire presto tutto il personale ordinario dal palazzo, poi verso le undici sono iniziate le prime sparatorie nel palazzo presidenziale, dove c'erano le guardie del corpo di Allende e i militari. Dopo poco lo stesso successe anche da noi, buttarono giù la porta della banca con il bazooka. Entrarono sparando all'impazzata, e anche lì ci fu una risposta di fuoco. Verso le 12 sentiamo il bombardamento, e dopo un silenzio totale. A quel punto eravamo già stati arrestati, e da quel momento non ho saputo niente di quello che stava accadendo al Cile".

Dove la portarono?
"Prima al ministero della Difesa, che si trova vicino. Lì ho passato tutta la notte, il giorno dopo mi hanno portato in periferia, in una caserma militare, incappucciato. Dopo un altro giorno in caserma fui destinato allo stadio Nazionale di Santiago: entro in quell'inferno il 14        di settembre del 1973 e ci rimango fino al 22 ottobre, quando lo stadio deve essere sgomberato per una partita della nazionale che poi non si terrà".

Cosa ha visto nello stadio?
"Ho avuto subito l'impressione che facessero sul serio. Ci fanno scendere da una jeep e poi camminare per il corridoio dello stadio, dove c'era una porta semiaperta. Mi sono fermato a guardare e ho visto una montagna di cadaveri, un militare mi urlò di proseguire, sto zitto e riprendo a camminare, ma appena posso mi giro e dico a quello dietro di me: 'Qui stanno ammazzando la gente'".

Perché vi avevano portato lì, che tipo di trattamento vi riservarono?
"Militavo nella gioventù socialista, avevo diversi incarichi prima del colpo di stato. Allo stadio c'erano tanti compagni della mia sezione. Ti chiamavano dall'altoparlante, poi ti portavano in un posto che si chiama 'el Caracol', una specie di locale doccia, femminile tra l'altro. Lì si torturava, e quando lo facevano alzavano il volume degli altoparlanti con la musica. Ogni tanto si sentiva qualche colpo di arma, qualcuno ritornava tutto rotto e qualcuno non tornava proprio. Lo facevano scomparire, era morto o sarà stato portato da qualche altra parte, a noi non lo dicevano di certo. Il tempo lì dentro lo passavi così, aspettando che toccasse a te".

Lei è stato torturato?
"Mi facevano assistere alle torture, che è anche peggio. È una tortura psicologica: sono stato male per tantissimo tempo per questo".

Che tipi di torture ha visto?
"Lì dentro visto la 'Parrilla', che è un letto con quelle molle di ferro che adesso non ci sono più. Lì davano la corrente, con scosse che ti devastano, poi c'era un bidone pieno di escrementi in cui ti buttavano dentro e poi ovviamente ti picchiavano, tutto il tempo. Volevano che qualcuno tradisse, e a volte è avvenuto, ma io posso anche arrivare a capirli: ho visto cosa facevano per farli parlare, e non lo facevano solo a militanti come noi. Io l'avevo messo in conto, ma vederlo fare anche a bambini e donne, questo lo trovo ancora oggi inaccettabile".

Come uscì da lì?
"Un giorno mi dissero che ero libero, ma mi consigliarono anche di lasciare il paese, altrimenti avrei avuto conseguenze molto peggiori. Davanti allo stadio era pieno di gente che chiedeva se avessimo visto i loro cari, era uno strazio. Andai via con gli stessi vestiti con i quali ero entrato e sempre con quelli arrivai in Italia. Mio padre era emigrato da Scalea, in Calabria, così cercai di entrare all'ambasciata italiana e da lì arrivai a Roma, prima di essere destinato a Parma con altri tre compagni, che oggi non ci sono più. Io avevo in progetto di andare in Germania per lavorare, ma qui ricevemmo un'accoglienza enorme, ho trovato un nuovo lavoro, mi sono fatto una famiglia e non me ne sono più andato".

Salvador Allende


È mai tornato in Cile?
"Sì, dopo 20 anni, e torno ogni due anni. Quando vado lì lo dico prima ad un'associazione e mi fanno incontrare i giovani allo stadio. La memoria è la cosa più importante, e noto che si sta perdendo. Tanti mi dicono che solo ora hanno scoperto che i propri cari sono stati reclusi lì".

Tornando alla mattina del golpe, rimpianti?
"Il Cile di Allende era un sogno di noi giovani, che portavamo avanti da tanto tempo. Non solo socialisti e comunisti, anche i cattolici. La mattina dell11 settembre io avevo 22 anni, e insieme agli altri abbiamo provato a difendere questo sogno come potevamo, ma la verità è che non ci aspettavamo tutto quello che è successo. Solo una volta arrivato allo stadio ho scoperto che Allende era morto e che il piano della sua scorta per portarlo via dal Palazzo della Moneda era fallito. Qualche tempo prima c'era già stato un altro tentativo di colpo di Stato a Santiago, e noi sapevamo che in casi di emergenza quello sarebbe stato un percorso di fuga, ma a quanto pare qualcosa andò storto. So che hanno trovato un cancello sbarrato e che Allende ha ordinato a tutti di tornare indietro, e il resto purtroppo è storia. Lo aveva detto che sarebbe uscito solo da morto da quel simbolo del potere popolare, e lui era uno di parola".
 
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Questa storia fa parte dell'Archivio Desaparecido, un progetto di memoria e inchiesta attiva realizzato dal Centro di Giornalismo Permanente di Roma



11 settembre 1973, Cile – Anniversario di un golpe


 Proprio in questo giorno di quarantasette anni fa, l’11 settembre 1973, si svolgeva in Cile il golpe che avrebbe dato inizio alla dittatura militare del generale Augusto Pinochet.

La storia

Nel corso delle elezioni presidenziali cilene del 1970, nessuno dei tre candidati ottenne una maggioranza assoluta. I risultati del voto attribuivano un 36,3% a Salvador Allende, un 35,8% al conservatore ex presidente Jorge Alessandri Rodrìguez e un 27,9% al cristiano democratico Rodomiro Tomic. In accordo con la Costituzione e con la prassi politica, in una situazione del Genere il Congresso avrebbe dovuto eleggere presidente il candidato con il maggior numero di voti, benché si trattasse semplicemente di una maggioranza relativa.

Salvador Allende divenne quindi presidente del Cile nel 1970 con poco più del 35% dei consensi. Tuttavia, una larga parte della popolazione cilena era contraria alla sua elezione. Anche gli Stati Uniti, preoccupati, nel contesto della guerra fredda, di un possibile avvicinamento del Cile all’URSS, espressero con forza la propria contrarietà. Sembra, addirittura, che il governo americano e i servizi segreti siano implicati nel colpo di stato che ebbe luogo in data 11 settembre        1973.

La situazione economica durante la presidenza di Allende

Allende avviò da subito quella che chiamava via cilena al socialismo. Si trattava di una politica di riforme di ampio respiro che comprendeva, tra le altre cose, la nazionalizzazione di grandi imprese (soprattutto quelle produttrici di rame), un’ampia riforma del sistema sanitario e scolastico, la redistribuzione gratuita del latte per i bambini e una riforma agraria.

I risultati a breve termine furono positivi: nel 1971 ci fu un considerevole aumento della crescita industriale, del PIL e un declino dell’inflazione e della disoccupazione. Tuttavia, già dal 1972, la moneta cilena (l’escudo) mostrava un’inflazione molto forte che sfiorava il 140%. Il governo fu costretto a regolamentare i prezzi di alcuni beni. L’insieme di queste congiunture economiche sfavorevoli fu l’origine della nascita del mercato nero di riso, fagioli, zucchero e farina, beni di prima necessità.

Per quanto riguarda i rapporti economici con l’esterno, tra il 1970 e il 1972, si registrò un brusco aumento delle importazioni e un notevole calo delle esportazioni, dovuto principalmente alle fluttuazioni del prezzo del rame, il prodotto da esportazione più importante del Cile. Più del 50% degli introiti statali derivavano, infatti, da questa singola materia prima.

La situazione politica precedente al colpo di stato

Questo periodo di recessione economica si tradusse, in autunno del 1972, in un’ondata di scioperi. Essa ebbe origine nel settore dei trasporti su gomma, ma poi si estese ai piccoli imprenditori e ad alcuni sindacati e gruppi studenteschi. Tali scioperi bloccarono l’economia, ma la loro conseguenza principale fu l’entrata del capo dell’esercito cileno, Carlos Prats, nell’esecutivo, prima come Ministro degli Interni e poi come vicepresidente.

Già il 29 giugno del 1973 ci fu un primo tentativo (fallito) di golpe, durante il quale un reggimento corazzato circondò il palazzo presidenziale. A questo ne seguì un altro alla fine di luglio.  Allende si vide allora costretto, il 9 agosto, a nominare Prats Ministro della Difesa e Vicepresidente. Tuttavia, il generale rimase coinvolto in un incidente automobilistico che lo rese impopolare agli occhi dei militari. Allende nominò allora Augusto Pinochet al suo posto come nuovo comandante dell’esercito del Cile.

Inoltre, il 22 agosto, i cristiano-democratici e i membri del Partito Nazionale presentarono alla Camera dei deputati un documento in cui accusavano Allende di cercare «[…] di conquistare il potere con l’ovvio scopo di assoggettare tutti i cittadini al più stretto controllo politico ed economico da parte dello Stato […] con lo scopo di stabilire un sistema totalitario».

11 settembre 1973: il colpo di stato e l’inizio della dittatura militare di Pinochet

L’11 settembre 1973 il generale Pinochet, alla guida dell’esercito cileno, circondò il palazzo presidenziale, la Moneda, attaccandolo via terra e bombardandolo con dei caccia inglesi. Durante l’attacco Salvador Allende morì, probabilmente suicida. I sostenitori di Pinochet, naturalmente, sostennero l’ipotesi dell’assassinio da parte delle truppe dell’esercito, ma la tesi del suicidio fu confermata nel 2011 a seguito di un’autopsia sul corpo riesumato di Allende.

Già il 12 settembre vennero nominati dei militari come ministri. Il 13 la giunta militare sciolse in Congresso e si autoproclamò a capo anche del potere legislativo. Tutti i partiti che avevano fatto parte di Unità Popolare, coalizione di centro-sinistra, vennero messi fuori legge.

Nell’ottica dell’eliminazione di ogni possibile opposizione, lo Stadio Nazionale venne trasformato in un campo di concentramento in cui gli oppositori (o sospettati tali) venivano interrogati e torturati in modo estremamente violento e repressivo. Molte donne vennero violentate dagli ufficiali dell’esercito.

Molte persone furono arrestate nei mesi successivi e a migliaia scomparvero (i cosiddetti desaparecidos). Alcuni di essi vennero barbaramente uccisi, altri semplicemente scomparvero da tutti i registri pubblici. Quasi come non fossero mai esistiti.

Ai figli dei dissidenti, invece, toccò una sorte diversa: essi vennero affidati ai sostenitori del regime.

L’intervento degli Stati Uniti nel colpo di stato cileno

Come molte delle questioni di diplomazia internazionale che riguardano gli Stati Uniti, anche questa si presenta controversa e oscura. Nessun documento ufficiale proveniente dal governo americano testimonia che gli USA abbiano sostenuto o partecipato al golpe di Pinochet, ma è indubbia la loro avversione politica ed ideologica nei confronti di Allende.

Inoltre, la CIA, sebbene non abbia ufficialmente preso parte al colpo di stato, venne avvisata due giorni prima che questo avesse luogo, e di certo non agì per impedirlo.

Quello che è chiaro, è che gli USA esercitarono una fortissima pressione economica sul Cile quando Allende salì al potere, che è in buona parte responsabile della recessione che colpì il paese e determinò le condizioni favorevoli all’insurrezione. Nel 1970 Kissinger, consigliere nazionale per la sicurezza americana, indirizzò un documento all’intelligence, ai capi della diplomazia e della difesa in cui affermava che bisognava imporre una forte pressione economica sul governo Allende per impedirne il consolidamento e limitarne la capacità di implementare politiche avverse agli USA e ai suoi interessi nell’emisfero, come la completa nazionalizzazione da parte di Allende di diverse imprese straniere e dell’industria del rame. Nixon dichiarò, inoltre, che il governo americano non avrebbe concesso alcun aiuto economico (come invece era avvenuto per i governi precedenti) al governo cileno.

Documenti della CIA pubblicati nel 2004 chiariscono il ruolo degli USA nel colpo di stato cileno: se non avesse potuto manipolarela diplomazia, il governo americano avrebbe cercato generali dell’esercito oppositori di Allende e desiderosi di far cadere il governo.

Inoltre, benché gli americani screditassero e criticassero pubblicamente la dittatura di Pinochet, in realtà gli fornirono un grande sostegno materiale. La CIA appoggiò attivamente la giunta militare dopo il rovesciamento di Allende e che molti degli ufficiali di Pinochet divennero informatori pagati della CIA o dell’esercito statunitense, anche se alcuni erano noti per essere coinvolti in abusi dei diritti umani.

L’eco del golpe dell’11 settembre 1973 in Italia

Naturalmente, l’operato degli USA rese limpido il fatto che il governo americano avrebbe boicottato l’ascesa dei partiti socialisti e comunisti in tutto il mondo, in quanto non favorevoli agli interessi economici ed ideologici della grande potenza. Il golpe dell’11 settembre 1973 in Cile è, infatti, uno dei simboli più concreti della Guerra Fredda. Tale messaggio arrivò forte e chiaro anche in Italia. Fu anche per evitare «Spaghetti Italiani in Salsa Cilena» (nome del rapporto dell’intelligence americana dell’epoca) che il leader del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, lanciò l’idea del compromesso storico.

Martina Fantini

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