MISERIA E IGNOBILTà: LA QUESTIONE SALARIALE E LA NUOVA POVERTà DILAGANTE
Esseri poveri è diventata una grave colpa, le condizioni di miseria sono sempre più diffuse ma colpevolizzate dalla società del presunto merito.
Ritrovarsi in condizioni di indigenza o comunque di grave difficoltà economica è un marchio indelebile, le responsabilità sono sempre attribuite all'individuo che viene doppiamente penalizzato anche per non essere riuscito a inventarsi qualche fonte di reddito.
Il self made man tanto caro a certa borghesia è diventato invece l'emblema del successo, della riuscita sociale quando invece questo modello da arrampicatore sociale esce con le ossa rotte dal ciclo economico attuale e dalla speculazione finanziaria.
Se non si parte da queste premesse è impossibile comprendere la situazione di isolamento sociale in cui si trovano oggi i cosiddetti poveri, basti pensare alla vergogna provata da quanti, pur avendo un lavoro stabile, non attivano a fine mese indebitandosi con le banche, con gli strozzini, o finendo nella lista degli insolventi per quanto siano incolpevoli.
I sistemi di protezione sociale sono ormai in subordine alle logiche del mercato, lo Stato interviene per porre qualche rimedio al disagio sociale ed economico ma gli strumenti in suo possesso sono assai limitati sottoposti come sono alle regole di bilancio e alla temperata austerità introdotta dall'avvento del covid.
Negli ultimi tre anni registriamo l'impoverimento di fasce della popolazione che fino a un lustro fa vivevano in condizioni dignitose ma poi sono state travolte dalla crisi economica e pandemica e da questa crisi stentano a riprendersi.
La costante perdita del potere di acquisto dei salari e delle pensioni è sotto gli occhi di tutti, eppure sono ancora molti, troppi, a non guardare alla realtà.
Se guardiamo alla Pa, gli ultimi contratti hanno sancito aumenti dimezzati rispetto ad alcuni settori del privato che a loro volta, al cospetto della Ue, presentano salari bassi, eppure si parla della insostenibilità degli aumenti per le casse statali come ha ribadito in questi giorni l'Aran.
Se poi volgiamo lo sguardo al settore dei servizi e degli appalti si capisce che ad ogni rinnovo si perdono ore contrattuali e le pensioni di domani, con minori contributi, scenderanno a livelli veramente bassi, alla soglia della miseria.
In Italia esiste da anni una autentica emergenza salariale taciuta e sottovalutata, un'emergenza che non affrontata determinerà l'aumento della popolazione povera, la morosità incolpevole e i mancati pagamenti delle onerose tariffe legate al consumo di massa.
Perfino i tradizionali ammortizzatori sociali palesano una crescente inadeguatezza, le politiche attive del lavoro sono spesso un miraggio, la riduzione del RdC è solo la mazzata finale per molte famiglie italiane (riduzione per quest' anno perchè nel 2024 è prevista la cancellazione del Reddito).
Il nostro paese devia l'attenzione generale su altri problemi, sugli scandali perenni del sistema italico, ma non intende affrontare le questioni salienti ossia una autentica riforma del sistema fiscale (per far pagare le tasse in maniera progressiva in base al reddito familiare), delle politiche attive del lavoro e più in generale del welfare che va ampliato e ripensato in base ai nuovi bisogni e al ciclo economico.
Ma ovunque si voglia indirizzare lo sguardo resta dirimente il ruolo dello Stato e del pubblico che invece vogliono ridimensionare alimentando così la dinamica contrattuale al ribasso e il ridimensionamento dello Stato sociale.
Le risposte in arrivo sono non solo preoccupanti ma eloquenti: i nuovi interventi determineranno l'aumento della spesa pubblica quando invece il programma di finanza pubblica annuncia il taglio del deficit di 16 miliardi e il ritorno dell’avanzo primario.
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