Licenziamenti volontari o obbligati?

 L'idea diffusa è che nei paesi a capitalismo avanzato si possa perdere un lavoro stabile e trovarne subito dopo un altro e magari con salario maggiore.


Questa sorta di ascensore verso occupazioni migliori è probabilmente valida per l'1 per cento della popolazione ma il restante 99 per cento non se la passa poi cosi' bene.

Negli Usa si parla di 1,6 milioni di dimissioni in pochi mesi, in Italia si lascia il posto di lavoro non certo per opportunità di scelta ma perchè ci sono figli o anziani da accudire o il rapporto tra ricavi ed uscite risulta implacabile.

Bisognerebbe capire le vere cause delle dimissioni, basterebbe anche ricordare che quasi 600 mila posti di lavoro in Italia sono  stati perduti  per licenziamenti datoriali ai quali aggiungere le migliaia di piccole attività chiuse  con e dopo la pandemia.

Ci si dimette dal lavoro perchè vieni trasferito a decine di km di distanza e trascorreresti ore del tuo tempo libero solo per gli spostamenti casa e lavoro senza dimenticare le spese aggiuntive e alla fine accetti qualche impiego al nero che ti permette di raggiungere al netto dei costi la stessa cifra.

Ci sono pseudo occupazioni retribuite con poche centinaia di euro al mese, se consideri le spese di viaggio alla fine resta una autentica miseria.

I licenziamenti nel 2022 sono stati quasi il doppio di quelli del 2021 per restare in Italia, negli Usa è in corso una feroce ristrutturazione che ha portato le aziende a rinunciare anche alla clausola di fedeltà che obbligava i lavoratori, anche dopo essere stati licenziati, di non accogliere offerte in ditte concorrenti.

Le aziende sono state spinte a questa rinuncia dalle autorità federali che hanno ben compreso la necessità di garantire alle imprese una forza lavoro già formata e impiegabile in ambito produttivo.

Sarebbe poi opportuno capire se le tante dimissioni non siano frutto di un silenzioso accordo tra la parte datoriale e la forza lavoro in cambio di piccole buone uscite e per evitare alla azienda il divieto di assunzione nell'immediato futuro.

Ci sembra paradossale parlare di riequilibrio tra vita lavorativa e professionale, chi oggi ha un lavoro stabile e condizioni retributive dignitose non rinuncia a questa condizione sapendo che un eventuale impiego alternativo sarebbe un salto nel buio tra bassi salari e contratti precari.

Probabilmente non vale questa amara constatazione per i managers e le figure ultra specializzate la cui formazione è avvenuta in anni lontani quando si investivano maggiori risorse per accrescere le professionalità.

Esiste un esercito industriale di riserva disponibile ad accogliere qualsiasi proposta di lavoro che poi avviene al ribasso con bassi salari e contratti precari esistendo un elevato numero di lavoratori disposti a subentrare.

Ci sono professionalità introvabili sul mercato del lavoro perchè nel corso degli anni hanno limitato l'accesso ai corsi di laurea con il numero chiuso o sono venuti meno i percorsi formativi, gli stages in azienda seguiti da regolari contratti.

Molte famiglie alle prese con anziani e minori sono costrette ad operare una scelta dolorosa, in prevalenza a rinunciare al lavoro sono le donne con contratti precari, part time e mal pagati; fatti due conti in casa si capisce che una badante o una baby sitter costerebbe decisamente di più del magro stipendio percepito e alla fine si rinuncia ad una occupazione in assenza di aiuti e strumenti di welfare che permettano di conciliare la vita e il lavoro.

Questo e molto altro non viene raccontato dalla narrazione mainstream che preferisce invece focalizzare l'attenzione sull'aumento delle dimissioni volontarie senza domandarsi la cause delle stesse.

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