Precarietà e cultura

Con la cultura non si mangia ma le multinazionali invece ci ingrassano

Il rapporto tra bassa scolarizzazione e propensione alla lettura e occupabilità nell'industria culturale, Quando la cultura è soggetta a tagli continui e si sostituisce la forza lavoro con il volontariato



Con la cultura non si mangia anche se l'industria culturale avrebbe risorse per creare posti di lavoro dignitosamente retribuiti, al contrario è ormai di dominio pubblico l'idea di affidare ai volontariati  e alle associazioni innumerevoli attività che dovrebbero essere invece svolte da personale formato e regolarmente contrattualizzato, formato per svolgere con professionalità il loro lavoro.

I finanziamenti alla cultura sono soggetti a continue restrizioni e perfino il bonus cultura, introdotto a fine 2015 a favore dei diciottenni  per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’acquisto di libri nonché per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, sarà soggetto a una revisione limitandone la platea dei beneficiari.

Resta inspiegabile che per altri bonus non si voglia applicare l'Isee familiare mentre invece questo intervento riguardi il bonus cultura per i diciottenni. 

La politica dei bonus è servita ad occultare una realtà amara, quella di una cultura nelle mani dei grandi gruppi economici e di danarose fondazioni che sovente ricorrono a partite iva e contratti precari se non ad associazioni "meritevoli" in ambito culturale che sovente sono cinghia di trasmissione di interessi politici e partitici. Poi i bonus si sono via via sostituiti in altri settori a contratti a tempo determinato abbassando ulteriormente il potere di acquisto di una forza lavoro già penalizzata nel corso del tempo.

Per un quinquennio, come leggiamo sul Portale La Voce.info , ossia tra il 2016 e il 2021, circa 1,6 milioni di giovani hanno fruito del bonus: l’83 per cento per l’acquisto di libri, il 14 per cento in musica, il 3 per cento per altre spese culturali.

L’Italia è il paese europeo dove si legge meno in assoluto, le sedi universitarie sono torri eburnee staccate dal contesto sociale e perfino rispetto alle scuole di ogni ordine e grado, qualsiasi iniziativa  volta a promuovere cultura, lettura, studio e formazione dovrebbe essere favorita nell'interesse culturale ma è ormai acclarato che le logiche dominanti remino verso altri lidi.

Se pensiamo ai quotidiani e alla loro crisi la risposta non potrà limitarsi solo all'avvento degli abbonamenti on line perchè guardando ai dati, ancora parziali, degli acquisti on line si capisce che i lettori sono complessivamente diminuiti.

E mai come oggi ci sono stati tanti talk show televisivi dedicati all'attualità politica in un paese dove l'interesse e la militanza riguardano solo parti largamente minoritarie della popolazione.
Ci vogliono ignari e manipolati spettatori invece che protagonisti attivi del cambiamento.

Mentre si alimenta la cultura del merito viene mortificato il fabbisogno di cultura e formazione e vanno chiudendo librerie indipendenti o sale cinematografiche minori, i biglietti venduti al teatro sono in continua diminuzione, un quadro desolante se pensiamo a quanto accadeva 30 0 50 anni fa.

E' difficile non cogliere il nesso tra la diminuzione dei lettori e dei beneficiari di percorsi culturali e formativi e i processi del lavoro con un tasso di disoccupazione elevato e con tanti posti di lavoro di nuova creazione all'insegna della precarietà. 

Affidare al volontariato innumerevoli servizi è stato utile per far cassa sulla pelle dei precari e trasformare le iniziative culturali in eventi da sponsorizzare mentre innumerevoli professioni dei beni culturali restano mortificate dalle partite iva e dalle retribuzioni basse se non addirittura inesistenti, mascherati con simbolici e irrisori rimborsi spesa. 

Altro ragionamento dovrebbe investire i finanziamenti locali alle associazioni culturali, ben vengano ma sui criteri di attribuzione dovremmo aprire un dibattito reale, sulle finalità reali di questi finanziamenti e soprattutto sull'utilizzo dei pochi spazi pubblici rimasti a disposizione della collettività.

Esiste quindi una autentica emergenza culturale nel nostro paese, una emergenza che non viene affrontata dalla classe politica  ancorata a logiche anguste come quelle del business e della scuola azienda e che ritiene, addirittura, la spesa culturale una delle tante voci da sottoporre a continui tagli.


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