Se la precarietà deteriora anche la nostra salute. Il caso dei millennials
Non avere una occupazione stabile, senza un reddito o un salario che consenta esistenze dignitose, anche le condizioni di salute (dei precari) sono destinate a deteriorarsi.
La attenzione si è focalizzata attorno ai millennials, ai nati tra tra il 1980 e il 2000, parliamo di uomini e donne che vanno dai 20 ai 43 anni.
Statisticamente i precari in Italia compresi in questa fascia di età sono in numero elevato rispetto ad altri paesi europei, i millennials hanno subito la influenza ideologica neo liberista e hanno introiettato comportamenti sociali e idee subalterne al modo di produzione capitalista. Se per anni subisci una pressante influenza ideologica finisci con il credere che la condizioni in cui vivi sia irreversibile e immodificabile. Ma in questa fascia di età hanno sperimentato sulla loro pelle, più che in ogni altra fascia, gli algoritmi e le nuove tecniche produttive e si è fatta strada la idea che si possa anche accettare un contratto di lavoro precario.
Non mancano percorsi organizzati costruiti attorno ad alcune realtà produttive, ad esempio interessante è il coordinamento nato per iniziativa dei professionisti dei beni culturali, molti dei quali laureati ma con redditi irrisori tra partite iva, vouchers, contratti a tempo determinato, interinali e altro ancora.
I millennials sono non solo preoccupati per il loro presente ma non intravedono un futuro che consenta loro di trovare un impiego adeguato al percorso di studi e alle professionalità acquisite, subiscono le politiche baronali negli atenei e quelle delle corporazioni di mestiere (gli iscritti a qualche albo).
Ma tra di loro non mancano anche quanti, con bassa scolarizzazione, oggi operano nel settore degli appalti e nelle cooperative subendo ogni giorno i ricatti imposti dai cambi di appalto, dagli appalti reiterati con minore budget che determina riduzione salariale e di ore contrattuali (e in prospettive pensioni da fame)
Le preoccupazioni diffuse per il futuro e il presente alimentano patologie di varia natura, se il Governo ha deciso il bonus psicologico una ragione dovrà pur esserci.
Flessibilità e precarietà incidono sulla salute psicofisica degli individui e la medicina del lavoro stenta a individuare nuove malattie professionali e patologie derivanti da questa situazione sociale.
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