Le scellerate scelte che portano alla erosione del potere di acquisto

 Un luogo comune difficile da sfatare dipinge le classi lavoratrici intente a spendere i due terzi del proprio reddito per generi di prima necessità.

Se guardiamo ai dati dovremmo confermare quella che in apparenza sembrerebbe una spesa eccessiva per salari bassi ma il problema è invece ben altro ossia che certi prezzi sono rincarati a tal punto che ormai per il loro acquisto occorre impegnare una quota crescente del salario familiare.



Se per utenze, spesa al supermercato, affitto e mutuo si spende il 70 per cento del reddito, vuol dire che il costo della vita è schizzato alle stelle e il potere di acquisto dei salari e delle pensioni risulta in continua perdita.

E se volessimo dei dati a supporto delle nostre analisi, ad esempio The impact of the recent rise in inflation on low-income households (europa.eu), comprenderemmo meglio il divario salariale ed economico, le fasce medio alte spendono in proporzione meno (il 50 per cento circa rispetto al 70%) di quelle popolari perchè hanno un reddito maggiore e quindi possono permettersi spese improponibili per altre fasce di reddito (o classe popolari ).

Il divario di potere di acquisto è evidente come del resto l'aumento, fotografato dall'Istat, dei costi di tariffe, mutui, generi di prime necessità, cure mediche e spese irrinunciabili.

Non è vero che la perdita del potere di acquisto sia essenzialmente attribuibile al fatto che salari e pensioni si adeguino in ritardo al costo della vita (Inflazione, una vera lotta di classe - Lavoce.info) , il ragionamento indispensabile è ben altro ossia che ogni automatico adeguamento al costo della vita è stato cancellato per volontà politica e per contenere la spesa pubblica ed oggi, con la ripresa dell'inflazione. tocchiamo con mano la mostruosità dei provvedimenti adottati da 30 anni ad oggi. Anche sottoscrivendo i contratti alla regolare scadenza la perdita sarebbe ugualmente presente, magari leggermente piu' contenuta (e se volessimo essere concreti potremmo asserire che la miseria delle indennità di vacanze contrattuali non andrebbe decurtata dai futuri aumenti contrattuali)

Il ritardo dei contratti siglati anni dopo la loro scadenza è tra i problemi riscontrati ma non si dice mai che i meccanismi con i quali sono stati calcolati i rinnovi contrattuali sono iniqui ed escludono in partenza l'effettivo recupero del potere di acquisto perduto. E anche in questo caso le scelte dei governi, su sollecitazione datoriale e dei poteri economico finanziari dominanti. sono state scellerate per le classi popolari.

E altro ragionamento andrebbe fatto per la rivalutazione delle pensioni parzialmente bloccata dal Governo Meloni o meglio ancora sul sistema contributivo che alla fine determina assegni previdenziali troppo bassi, attorno al 60% dell'ultima busta paga.

Che l'inflazione sia un fattore negativo per il potere di acquisto è cosa risaputa ma forse dovremmo anche domandarci se le scelte per contenere la spinta inflazionistica non abbiano alla fine limitato la domanda decretando al contempo dinamiche salariali al ribasso.

Di questo non si parla mai  e invece ogni studio o ricerca guarda solo agli effetti della inflazione sul costo della vita come un testo reperibile in lingua inglese della Banca d'Italia QEF_738_22.pdf (bancaditalia.it)

E ciascuno dovrebbe svolgere il proprio compito evitando che i sindacalisti si improvvisino nel ruolo di saccenti cantori del nulla o di economisti da strapazzo, Blanchard del resto, che di economia se ne capisce, ha recentemente pubblicato un tweet che riassume bene la questione:

Un punto che spesso si perde nelle discussioni sull'inflazione e sulla politica della banca centrale. L'inflazione è fondamentalmente l'esito del conflitto distributivo, tra imprese, lavoratori e contribuenti. Si interrompe solo quando i vari attori sono costretti ad accettare l'esito.

Se non ritorniamo a confliggere, la famosa lotta di classe, difficilmente potremo difendere salari e pensioni dalla erosione del potere di acquisto

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