Il falso mito della decrescita e le sirene green del capitalismo "ambientalista"

«La produzione capitalistica sviluppa la tecnica e la combinazione del processo di produzione sociale solo minando al tempo stesso le fonti primigenie di ogni ricchezza: la terra e il lavoratore».

K Marx Il Capitale




Il dibattito tra crescita e decrescita ha occupato fin troppo spazio perchè è proprio questa antitesi a dovere essere confutata.

Il mito della decrescita felice ha finito con il portare acqua al mulino di quanti non si pongono, da tempo ormai, domande sulle crisi endemiche del sistema capitalistico e pensano a una sola via di uscita: prefigurare modalità di funzionamento del sistema irrealizzabili dentro il capitalismo.

Resta un errore attribuire la responsabilità della crisi ecologica all’attività umana a meno di non pensare che sia proprio il lavoro la causa primaria del degrado ambientale.

Se pensiamo alle politiche del reddito storicamente i salari crescono quando cresce la stessa produzione capitalista oppure quando i rapporti di forza diventano favorevoli alla classe lavoratrice che riesce a conquistare spazi e porta a casa risultati favorevoli.



Per anni abbiamo assistito a una sorta di delegittimazione del conflitto di classe in nome della non centralità delle lotte sull’organizzazione del lavoro e sul salario . Senza lotta di classe, per dirla in termini spiccioli, non nascerà una reale consapevolezza ambientalista a meno di non accontentarsi di qualche correttivo all'attuale sistema.

La consapevolezza ecologista in anni passati nasceva proprio dalle avanguardie impegnate direttamente nel conflitto di classe senza cedere a miti errati come la decrescita, era presente la consapevolezza che lo sviluppo capitalista oltre a sfruttare la forza lavoro aveva ripercussioni negative sulla nostra salute e per raggiungere profitti crescenti non guardava certo alla tutela della salute e alla salvaguardia dell'ambiente.

Alcuni cantori della svolta green dell'economia non sono certo ecologisti dal volto umano ma guardano in termini di profitto ai cambiamenti magari spostando altrove i disastri ambientali (le batterie che andranno ad inquinare i paesi del terzo mondo).

Resta dirimente affrontare il nodo della drammatica crisi ecologica ed ambientale insieme alle crescenti diseguaglianze determinate anche da delocalizzazioni e precarizzazioni crescenti, se separiamo le questioni si finisce in un vicolo cieco. rinunciamo alla critica verso l’attuale rapporto di forza tra capitale e lavoro.
E poi, se rallentando la crescita riuscissimo a superare le crisi economiche e\o ambientali sarebbe stato lo stesso capitalismo neo liberista a raggiungere questo obiettivo come scrissero anni fa Bellofiore e Brancaccio.

Da anni non guardiamo ai paesi del terzo mondo dove l'emergenza ambientale è drammatica, non lo si fa per quell'atavico vizio eurocentrico o meglio ancora per non prendere coscienza dei danni recati dagli interessati aiuti dei paesi capitalistici alle aree del globo più povere.

La questione è assai complessa ma ad oggi le teorie dominanti o sono frutto di un pensiero debole che non si pone l'uscita dal sistema capitalista oppure ignorano come funziona l'economia odierna e suggeriscono pertanto soluzioni impraticabili senza alcuna rottura sistemica.

Il problema non sta nella eccessiva velocità e voracità del capitalismo odierno ma bensì nelle dinamiche che regolano consumi, produzione e distribuzione. Se pensiamo agli anni neokeynesiani le condizioni di vita delle classi lavoratrici dei paesi capitalistici erano assai migliori ma anche in questo caso guarderemmo solo a una parte della realtà, quella che fa comodo.

Non a caso l'inquinamento cresce di pari passo con la disuguaglianza del reddito e della ricchezza, con il liberismo le aziende sono state messe in condizioni di assumere ogni decisione senza limiti anzi il ruolo dello Stato diventa funzionale ai loro progetti senza svolgere alcun controllo e indirizzo della produzione.

Oggi il capitalismo green non si pone di certo l’obiettivo di una produzione materiale in sintonia con l’ambiente, questa è la solita storiella raccontata dal mainstream per convincere le masse sulla bontà della svolta verde.
Oggi come ieri non è possibile restare passivi spettatori senza disturbare il manovratore capitalista, lo avevano capito bene negli anni settanta quando la coscienza ecologista era forte anche dentro porzioni combattive, seppure minoritarie, della classe lavoratrice.

E tra i concreti bisogni delle classi subalterne la salvaguardia della salute e dell'ambiente dovrebbero essere parti qualificanti di una rivendicazione complessiva che poi riguarda la sfera produttiva e distributiva.
Per anni abbiamo subito la egemonia capitalista proprio a patire dalla nozione di progresso senza mai affrontare la questione saliente di come si lavora e cosa produciamo ricordandoci che la critica allo sfruttamento e alla distruzione della natura dovrebbero essere parti qualificanti di un pensiero critico anticapitalista.
La questione ambientale non potrà essere scissa dal conflitto sul lavoro che non va ridotto alla difesa dei posti di lavoro ma analizzato nell'ottica marxiana ( cosa si produce e come).



Se invece finiamo nella palude dei consumi (da ridurre per una sorta di etica o morale ambientale) o della decrescita più o meno felice (come atto di volontà per arrestare le devastazioni ambientali) finiremo in un vicolo cieco come del resto avvenuto negli ultimi lustri dividendo lavoro e natura in compartimenti stagni.


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