Detassare gli aumenti dei rinnovi contrattuali? Forse No

Detassare i rinnovi contrattuali? Ad oggi ci sono 13 milioni di lavoratori in attesa di rinnovo dei contratti, alcuni settori attendono il nuovo CCNL da 4\5 anni ma intanto il Governo sta pensando ad aumenti e rinnovi senza pagare le tasse? 



Gli aumenti di reddito potrebbero essere in buona parte sgravati dalle tasse, la emergenza del potere di acquisto è reale, i salari sono in caduta libera e questa situazione di crisi sta spingendo il Governo all'ennesimo premio fiscale per le imprese che avrà dei costi a carico dei conti dello Stato.

Ma in gioco c'è ben altro, ossia una richiesta contenuta di aumenti da parte dei sindacali in cambio di sgravi fiscali, in questo modo la dinamica contrattuale sarebbe spinta verso il basso, idem quella retributiva, sperando nell'intervento fiscale dello Stato che a sua volta subirà una riduzione delle tasse che potrebbe avere ripercussioni negative per il welfare.

E altro rischio è quello di innalzare la soglia , oggi a 3000 euro dei premi senza tassazione il che porterebbe a spostare sempre più la contrattazione dal livello nazionale al secondo livello aziendale ove le imprese chiedono sovente contropartite onerose come l'aumento dei ritmi e dei tempi di lavoro per accrescere la produttività (e i loro profitti)

La soluzione non è impoverire il welfare e mandare i settori pubblici in bolletta per salvare le imprese, se bisogna garantire il recupero del potere di acquisto gli impegni di spesa non devono ricadere interamente sulla fiscalità generale .

E non dimentichiamo poi che proprio la interdipendenza della catena produttiva ha favorito politiche sociali e fiscali regressive spingendo alcuni paesi dell'Est europeo a distruggere diritti sociali e civili per attrarre investimenti di capitali. La nostra impressione è che l'Italia guardi al modello Orban anche come forma di dipendenza dal grande capitale

CUB PISA


Post scriptum: quello che non ci dicono...




  • In Italia il salario medio lordo è di poco più di 37 mila euro lordi, quello medio dei paesi Ocse due mila euro in più.
  • I salari lordi dei lavoratori italiani sono tassati del 29%, la media europea del 25% inclusi i paesi che presentano ridottissime prestazioni di welfare
  • Tra i paesi Ocse ve ne sono ben 18 che presentano tuttavia tassazioni del salario maggiori della nostra
  • Il cuneo fiscale in Italia, ossia la tassazione soggetta ai redditi non è la più alta dei paesi Ue ma senza dubbio tra le più alte.
  • In quasi 30 anni il potere di acquisto è in continua erosione, meno  12% rispetto al 2008
  • La tassazione a carico delle imprese include anche i costi amministrativi, bancari e i servizi del consulente del lavoro che prepara le buste paga e supporto l'ufficio personale. Se i datori pagano troppe tasse si tratta solo di comprendere bene quali voci tagliare senza scaricare l'onere sulla fiscalità generale, non si capisce ad esempio perchè il sistema finanziario e i profitti di impresa debbano uscire indenni da eventuali tagli o sacrifici
  • Non una parola viene spesa sulla composizione della forza lavoro e senza colpevolizzare gli autonomi (beneficiari di un sistema fiscale decisamente favorevole rispetto ai dipendenti) non possiamo eludere alcuni dati . Tra i lavoratori dipendenti poco più del 67% risulta sotto la media del reddito annuo lordo italiano mentre tra i lavoratori autonomi il 34% ha dichiarato un reddito minore alla media italiana. Quasi l'80% dei pensionati percepisce un reddito sotto la media.
  • Sono cresciute negli ultimi 40 anni le disuguaglianze economiche e salariali e in Italia bisogna anche ricordare le differenze tra Nord e Sud  e quelle di genere che hanno un impatto negativo sull'economia nazionale la cui crescita è negli ultimi 20 anni inferiore a molti paesi Ue.
  • gli stipendi reali (considerata inflazione e potere di acquisto) sono scesi del 23% in Grecia, dell’11% in Croazia, del 7% a Cipro, del 4% in Portogallo, del 3% in Spagna, del 2% in Italia e dell’1% in Gran Bretagna e Ungheria; stabili in Finlandia e Belgio; cresciuti in Germania (+11%) e in Francia (+7%) e in misura assai maggiore nell'est Europa dove tuttavia partivano da livelli decisamente bassi

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