Proviamo a ragionare su una enciclica di Ratzinger.....
Spe salvi facti sumus
di Tiziano Tussi
articolo già pubblicato su marxismo oggi
Ad un po' di tempo, quasi un anno, dalla pubblicazione dell'enciclica di Benedetto XVI Spe salvi si può freddamente tornare sull'argomento senza tema di essere tacciati di acredine politica e di avversione alla pratica dell'opera della Chiesa a difesa del suo alto magistero - naturalmente il tutto detto con ironia. L'enciclica poi fa il paio con il discorso che lo stesso Papa avrebbe dovuto tenere alla Sapienza di Roma il gennaio successivo alla pubblicazione della stessa, che data novembre 2007, discorso nel quale alcune tracce del ragionamento ecclesiastico venivano riprese.
Seguiamo lo svolgersi della proposta dell'enciclica di Ratzinger.
Spe salvi facti sumus, nella speranza siamo stati salvati, ricorda il Papa nelle primissime righe del suo testo. La citazione viene dalla lettera di San Paolo ai Romani. Paolo è una colonna portante della Chiesa cristiana, usato in molti modi, un'archeologia testuale che il Vaticano riprende sempre. Senza tema di esser tacciato di passatismo, di guardare indietro et similia. Già, si può subito dire, la Chiesa è dogma, è permanenza, è senso che resiste alla corruzione del tempo. Duemila anni, ed anche più. Nell'enciclica si riprendono esempi dal passato remoto, ma si giunge sin quasi alla soglia dei nostri giorni. Vi è infatti un esempio contemporaneo di una martire, poi santa, che vive a cavallo del XIX secolo, esempi di martiri vietnamiti. Passato e presente sono la stessa cosa. Lo scorrere del tempo non esiste. "[Dio] è tutto in tutte le cose, è tutto in maniera da non essere più una cosa che un'altra. Perché egli non è una cosa in modo da non essere anche altra cosa... Così tutte le cose che distano nel tempo in questo mondo, in Dio sono presenti. (Cusano, De possest, 1460)
La fede non è soltanto un personale protendersi verso le cose che devono venire ma sono ancora totalmente assenti; essa ci dà qualcosa. Essa attira dentro il presente il futuro, così che quest'ultimo non è più il puro "non ancora". (p. 18/19) È tempo di Dio, quindi infinito e contemporaneo assieme. Certo ma la Chiesa vuole anche restare nella storia, è questa sua pretesa la risolve sempre con il ricorso a Dio. La storia è Dio che si fa uomo, che si storicizza, raggrumando il tempo presente al suo arrivo, ma espandendosi anche nel passato. Nessuna scansione temporale viene lasciata fuori, nessuna briciola del tempo storico in quanto tale. Ma per i non credenti c'è spazio? Non è accettabile per loro tale visione della storia. Per altri credi può essere altrettanto spinoso. Perciò sia concesso fare resistenza ad una visione storica che vuole spogliare la storia del suo storicismo rendendola divina, non dell'uomo. In ogni caso l'enciclica è veramente insinuante, specialmente in alcuni punti.
All'apertura, la richiesta di una speranza può essere condivisa da ognuno. Mi pare che si possa dire ed accettare che senza speranza non si viva. Speranza nel domani, nell'oggi, speranza persino che lo ieri non sia stato quello che è sta-to - quale poi? Ma ancora, speranza per i propri progetti. I latini dicevano Spes ultima dea, curiosamente - ma non tanto - dimenticati del papa. Speranza per i propri progetti di vita, il proprio lavoro, gli affetti, gli amori, i tradimenti, il gioco, la squadra del cuore, l'amicizia del mio compagno di banco, il terno al gioco del Lotto. Insomma, tonnellate di motivi per la speranza. E non appai blasfemo l'accostamento tra il sublime e l'umano più semplice. La vita è speranza e la speranza è l'ultima chance.
L'apertura dell'enciclica ci convince. Ma poi subito: di quale speranza stiamo parlando? E Benedetto XVI fa subito l'esempio di Spartaco (II-I sec. a.C.), campione della liberazione degli schiavi, che aveva semplicemente speranza di una vita migliore di quella di schiavo che conduceva e che per questo lottò contro Roma, rischiando di vincere la sua battaglia. Una speranza che si inserisce nell'elenco prima proposto.
Per il Papa questo tipo di comportamento è inane. Non è quella la speranza che l'uomo deve perseguire. Anche se avesse vinto, Spartaco avrebbe fallito perché non è quella la vera speranza, che è solo cristiana, (p. 9) La speranza è Dio nel Mondo attraverso di essa l'uomo si salva. E diventa libero anche dalle leggi fisiche dell'universo (p. 13), si sente al di sopra della scienza e delle leggi scientifiche: sente la libertà dell'amore di Dio. Liberi dalle costrizioni fisiche quindi. L'unica sostanza da perseguire è la fede, che è speranza in Dio, di dio, che Dio stesso ha messo in noi, proprio grazie a Cristo, suo figlio, fattosi uomo. Un po' leibnizianamente, il Papa cita proprio la monade. Noi siamo già predisponi, dall'immenso amore di Dio al superamento dei limiti scientifici dell'esistenza, al superamento dei limiti fisiologici della vita, la vita è sempre, e sempre fede e speranza, in Dio.
Dice il Papa, testualmente: "La fede è la sostanza delle cose che si sperano (p. 16/17)" E nella stessa pagina, tanto per non fare propaganda, si dà una toccatina a Lutero al quale il termine "sostanza non diceva niente." (testuale) Di passaggio, questo è uno dei punti di netta divisione tra il protestantesimo -luterani, calvinisti e a seguire - ed il cattolicesimo.
L'attivismo di quelli è sospetto al cattolicesimo, allora come ora, perché porta la mondanità dell'uomo troppo in rilievo, perché la rende troppo preziosa. Per la chiesa cattolica tutto deve essere lasciato a Dio, anche se non totalmente, con giudizio, si potrebbe chiosare. L'uomo si salva solo se crede, spera nella sostanza della fede, nella vita che solo Dio può dare e che può togliere ecc. ecc. L'attivismo, su questa terra, in fondo non serve, è alla lunga d'impaccio. Certo qualcosa bisogna anche fare e la Chiesa ne ha fatte tante, ma questo fare deve esser depotenziato. Non deve diventare troppo importante. Non deve farsi, ideologicamente, carne e vita dell'uomo. Sarebbe troppo pericoloso e potrebbe portare verso derive peccaminose e blasfeme, superbe, uno dei setti peccati capitali. Sarebbe una Vita che potrebbe decidere per sé, questioni quali eutanasia, aborto, metodi contraccettivi, rivolte sociali.
Tutte brutte cose, pericolose per la stabilità della Chiesa stessa. Perciò Lutero, con il suo attivismo, apre una porta pericolosamente terrena, verso il terreno, verso il sudore e la fatica dell'uomo, per l'uomo.
Nell'accezione cattolica quindi non è l'attivismo che salva, ma la coscienza che Dio ci salva e che quindi è solo la morte che rinnova la vita. La morte in Cristo (naturalmente uso i termini Dio e Cristo come da Santa trinità è permesso, tralasciando le ovvie differenze che esistono tra il Padre ed il Figlio). Ed è in questo senso anche da intendersi il recupero di Socrate che il discorso alla Sapienza riprende e che vedremo poi.
Abbiamo già prima ricordato che il lasciarsi andare a Dio non deve essere totale. I dejados, coloro che si perdevano totalmente in Dio, che si lasciavano andare, venivano bruciati nella Spagna di Filippo II, dato che in fondo non servivano al potere cattolico spagnolo. Occorre sì agire ma senza farne un'ideologia. In tutta l'enciclica il Papa ricorda che occorre fare ciò che si prevede nell'ambito ecclesiale: testimonianza. Il senso del martirio, passati i tempi infausti, deve in ogni caso permanere: "Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza". (Seconda lettera a Timoteo, siamo sempre a San Paolo, p. 23) Ed i tre comportamenti sono proprio quelli che hanno caratterizzato la Chiesa.
La forza è stata elargita dalla Chiesa ad abundantiam e non ha bisogno di spiegazioni e di esempi storici. Con amore e saggezza, mai disgiunti i tre comportamenti, noi dobbiamo guarire ogni peccato. Anche l'omosessualità.
A fine dicembre 2007, /*/ manifesto ha ripubblicato ampi stralci di una lettera del 1986 dello stesso Ratzinger, che presiedeva allora la Congregazione della dottrina della fede, nella quale si tratta il problema dell'omosessualità consigliando ai destinatari della stessa, i tre comporta-menti paolini. Gli omosessuali debbono essere convinti che stanno sbagliando e quindi debbono ritrovare ordine nel loro disordine seguendo Cristo. Questa la sola medicina. Naturalmente è un po' poco ma la persistenza delle posizioni del Papa è illuminante. Ogni cosa deve essere risolta nella società, per Cristo. Nessuna salvezza privata. Il cristianesimo- cattolico non ha la tendenza alla vita di nicchia. Si distingue dall'ebraismo. Esso appare molto più affine all'islamismo. Il mondo è tutto, ma tutto in Dio e per questo il cristiano risolve ogni cosa nel mondo, per Dio.
Dopo avere messo a posto le cose dell'uomo rispetto a Dio Benedetto XVI analizza i tentativi eh l'uomo stesso ha messo in atto r*, sfuggire a questo legame indissolubile. Lo farà anche nel suo mancato discorso universitario, mai pronunciato, ma scritto e divulgato.
Per questa considerazione l'enciclica parte da Bacone e Io mette a capostipite dell'ottimismo scientifico. Con evidenti richiami alla New Atlantis, il Papa lo annovera tra chi ha iniziato una corrente di ottimisti che vedevano nella scienza la risposta ai loro mali. Invenzioni e pensieri, novità e costruzioni, tutto per fare sì che l'uomo vivesse meglio. Dopo di lui Kant ha insistito sulla religiosità razionale. Il Papa sceglie alcuni testi del filosofo di Konigsberg e li allinea per illustrare la richiesta di Kant per una fede razionale. La sua fede nell'illuminismo lo mette in bella mostra tra gli spiriti più moderni. La razionalità si fa largo in tre momenti particolari: la Rivoluzione francese, il lavoro di Karl Marx e la rivoluzione bolscevica con Lenin. La prima ha iniziato il tentativo di mettere in pratica, nella storia l'insegnamento e l'ottimismo degli scientisti. Marx ha approfondito l'aspetto politico e strategico della rivoluzione che doveva andare oltre la trincea illuministica. Lenin l'ha messa in pratica. Però Marx non aveva pensato ad ordinare il mondo dopo la rivoluzione. Ecco che i bolscevichi, disarmati da una teoria approssimativa hanno dato il via al delirio comunista ed alle sue pratiche di errori ed orrori, (p. 35-44).
È chiaro che Marx non ha delineato un eden o paese dei balocchi dopo la rivoluzione. Già quello che l'uomo doveva/deve fare, secondo lui, non era poco. Innanzitutto, capire le condizioni oggettive del suo vivere, poi rendersene cosciente. Poi ancora, mettersi in attività, vincere infine sui nemici di classe, instaurare un periodo di passaggio verso il comunismo, poi, poi, poi...
Ma al Papa questo non interessa. Egli ci dice “...l'uomo non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall'esterno.." (p. 44).
In questo passaggio vi sono alcuni errori o sviste teoriche. Si vede che la scelta delle posizioni di Marx, ma prima aveva citato anche Engels, è veramente parziale.
Due questioni: l'importanza dell'esterno, la necessità dell'esterno.
La prima. Basterebbe ricordare una lettera appunto di Engels a Joshep Bloch, del 1890, nella quale egli dice espressamente: " Secondo la concezione materialistica della storia il fattore in ultima istanza determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale. Di più non fu ami affermato né da Marx né da me. [] La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura – [e qui li elenca] - esercitano pure la loro influenza sul corso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano la forma in modo preponderante [] se non fosse così l'applicazione della teoria ad un periodo qualsiasi della storia sarebbe più facile che la soluzione d'una semplice equazione di primo grado."
La seconda. Dai Manoscritti economico-filosofici del 1844 troviamo anche questa affermazione, difficile da negare, anche per il Papa: "La fame è un bisogno naturale, le occorre dunque una natura, un oggetto, al di fuori per soddisfarsi, per calmarsi. Un ente che non abbia fuori di sé la sua natura non è un ente naturale, non partecipa dell'essere della natura. Un ente che non abbia alcun oggetto fuori di sé non è un ente oggettivo. Un ente che non sia esso stesso un oggetto per un terzo non ha alcun ente come suo oggetto... Un ente non oggettivo è un non ente."
Questo filo di discorso che si srotola presuppone la vita come bene supremo. Marx ce lo dice in continuazione. Ma forse è proprio per annegare l'oggettività dell'ente uomo che il Papa ricorda la morte in Cristo. Per cercare di scantonare da questo impasse egli si tuffa nel paradosso inesplicato. Dato che è paradossale parlare della libertà do-po la libertà terrena, come se raggiungere questa fosse così facile ed inutile. E quindi si torna a san Paolo ed alla coppia libertà e Dio nel mondo.
Oramai il ragionamento papale inizia a diventare monotono e noioso, un regno di Dio" realizzato senza Dio - un regno quindi dell'uomo solo - si risolve inevitabilmente nella "fine perversa" di tutte le cose.." (p. 47)
Risulta pertanto logico che “ragione e fede hanno bisogno l'una dell'altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione.'' (p. 48) Visti in quest'ottica la sola ragione dell'uomo non è vera ragione, la lede senza ragione dell'uomo, datagli sempre da Dio non è vera fede, ma in definitiva quest'ultimo caso non esiste veramente. Dio non può dare senza criterio sublime e salvifico. Senza questo fortissimo connubio, per il Papa, cosa rimane all'uomo? Solo "gli strumenti che si usano" (p. 49). Un'umanità di tecnici senza spirito. Certo, l’esser oggettivi non basta -ma poi perché non lo sia, non viene spiegato - la trascendenza diventa l'unica strada.
Tendere alla trascendenza è ciò che rimane all'homo faber.
Naturalmente ogni cosa provenendo da Dio ha bisogno che sia da lui creata all'origine. Ed ecco perciò spiegata la teoria del creazionismo, quale unica verità, (p. 68) Non c'è bisogno di arrabattarsi a cercare la soluzione attorno all'origine dell'universo. Farebbe ricadere l'uomo nella vacuità tutta terrena. Quindi anche lì la risposta è belle e fatta. L'unico problema rimane quello di meritarci il ritorno nel sublime. La storicità dell'uomo gli ha fatta accumulare una "massa di colpa" (p. 69) che lo porta necessariamente verso l'espiazione. Non è però un pessimismo schopenhaueriano che ci deve guidare ma la fede della luce di Dio che ci salverà dalla vita. La vita oltre la vita è la salvezza dalla pochezza della nostra vita terrena, della storia come massa di colpa dell'umanità come massa dannata. Qui il tono ci respinge, si allontana dalla vita come gioia. Tutta la cultura classica della vita come impegno e bellezza, che rifulge anche nell'arte greca, si perde ed il cristianesimo - nella versione cattolica ancor di più - appare sempre come una sconfitta, una condanna della vita dell'uomo che osa vivere lontano da Dio dopo che lui ci ha creati e che osa sentire la sua vita come solo sua. Questa è in Dio, ma la sofferenza è nostra, su questa terra, deve essere nostra. Dobbiamo perciò ri/meritarci il regno dei cieli.
E non è una reazione contro un certo stile di vita, vita vera contro la vita reale. Allora sarebbe rispolverare Kierkegaard, che- la Chiesa davvero non può amare, ma la vita in sé va superata, visto che parta al peccato. In fondo non è contro una certa vita che il cattolico deve lottare, ma contro il piacere e l'impegno vero nella vita che potrebbe sconvolgerlo troppo, che potrebbe allontanarlo da Dio. In definitiva Kierkegaard con la figura di Abramo, come stella polare (Timore e tremore, 1843) cerca di seguire un uomo-stella che, seppure trasfigurato, resta per Kierkegaard l'esempio più profondo che si possa pensare e che si avvicina a Dio senza bisogno della chiesa luterana danese.
Con Benedetto siamo ancora alla Chiesa che guida il povero smarrito in questa vita per farlo uscire dal suo senso terreno e dargli una speranza in una vita oltre la vita, consolandolo per ciò che ancora non ha ma che avrà sicuramente, dopo la morte, in Cristo. Non c'è disperazione ma cieca speranza. L'uscita dalla vita è l'uscita dal male "ineliminabile" dalla colpa " fonte di sofferenza", (p. 70) Una consolazione (con-solatio) (p. 74) che porta il fedele non solo verso Dio, solo pochi ci riescono, i santi, gli eremiti, sempre però un po' sospetti - troppo amore - ma deve anche dirigere verso gli altri che sono con lui. Ecco perché il cristianesimo-cattolico diventa religione universale. Anche Dio ha scelto la stessa strada, facendosi carne in Cristo: com- patire, vivere e patire assieme.
A questo punto entra in gioco San Bernardo, citato senza ricordare la querelle che lo stesso ha avuto, procurando danni filosofici, spirituali e sociali ad Abelardo, altro campione del libero pensiero. Forse perché Abelardo ha dovuto anche soffrire nella sua carne il dolore profondissimo ed umanissimo dell'impossibilità di procreare procuratagli da un'evirazione crudelissima?
Ci avviciniamo alla fine dell'enciclica. Dio è potente, dà la vita, dà la speranza, e poi decide anche del nostro operato. E’ giusto ma può dare la grazia. E così si salva appieno il purgatorio Altra stoccata al protestantesimo. Dio non è così insensibile - potremmo dire, così libero da sé stesso: deve giudicare ma deve anche dare la grazia - perdonare? Il perdono dopo il giudizio, il perdono con il giudizio. L'accoppiata rientra nelle aspettative cattoliche pesantemente, tanto che sempre più spesso ad ogni tragico accadimento subito si chiede al colpito se perdonerà?
Dio lo fa, facciamolo anche noi. "Alle anime dei defunti può essere dato refrigerio mediante l'eucarestia - dei vivi evidentemente [nda] - la preghiera e l'elemosina." (p. 94) Tutto tiene: occorre ricordarsi di tutto, anche dell'elemosina - forse anche dell'ICI che la Chiesa non ha mai pagato rientra in questo sforzo? Evidentemente no!
La speranza perciò ci salva, speranza da dividere con altri, prima verso di loro e poi per me: "Dovremmo domandarci anche: cosa posso fare perché altri vengano salvati ...allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza." (p. 96) In questa vita, questo tempo di vita sparisce in Dio: "...nella comunione delle anime vien superato il semplice tempo terreno." (p. 95) Ogni cosa vien da Dio e porta a lui, intanto che ci siamo, siamo qui, facciamo qualcosa - poco, mai esagerare - , sempre con mestizia.
È veramente una speranza sui generis. È in questo orizzonte chiaro che la scienza si perde, si disperde, senza Dio e lo abbiamo già intuito.
Nel discorso del Papa indirizzato alla Sapienza, che abbiamo già anticipato in alcuni passaggi, vi è una messa in ordine, anche per la scienza, le sue pretese, le ragioni scientifiche. Il Papa, che doveva parlare all'università di Roma, rivendica nel suo discorso scritto il suo molo di pastore per tutta la comunità dei fedeli, e siccome tale comunità vive nel mondo, ecco che la sua missione, si allarga necessariamente a tutto il mondo.
E subito dopo tale invadenza entra con tutti e due i piedi nel cuore della questione che tratta: " Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di auto costruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell'umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose - è di valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee." Un po' di contraddizioni, come si vede. Una ragione a-storica sembrerebbe essere quella religiosa, ma per Ratzinger non lo è: la ragione a-storica è proprio quella della storia. È quindi per conseguenza ne segue che tale a-storicità si salva solo con la religione, vera storia dell'uomo, in quanto vera trascendenza verso l'unica città che lui vuole abitare- la città di Dio. Tutto il resto rimane cestino delle idee". Difficile equilibrismo al quale però basterebbe la lezione di, Vico. Ma sarebbe troppo umano e logico. Passim!
L'uomo vuole la verità - così ci dice testualmente il Papa. Si potrebbe non essere d'accordo e replicare che l'uomo vuole capire, cosa diversa. Ma proseguiamo! Ed è per questo che "nell'ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nasce Iva] l'università." Ma le universitas sono nate come segnale laico in un mondo marchiato dalla trasmissione culturale chiesastica. È notorio certo che nelle università insegnassero molti religiosi e che la teologia fosse una materia di in-segnamento. È notorio che tali luoghi erano evoluzioni della precedente organizzazione religiosa della trasmissione del sapere.
Ma mi-sconoscere la novità, in ultima analisi, "laica" dell'università mi pare impossibile. Come mai allora le uni-versità non sono rimaste solo nel solco del cristianesimo? Come mai le università cristiane e/o cattoliche così ora si chiamano? Come ha potuto esservi tale distacco dall'università cristiana sino a giungere a quelle statali e/o private non religiose?
Qualche parolina il Papa avrebbe potuto dirla al riguardo, nulla di tutto ciò nel suo discorso preparato per la Sapienza. L'università è cristiana, perfino ora, anche se non lo sa. Quindi il Papa, massimo pastore di anime, deve avere attenzione affinché la sua cultura permanga in quell'ambito. Per tutti. Per chilo vuole e per chi non lo vuole. L'errore deve essere riparato, quando c'è, attraverso la fede. Errore di superbia scientifica. Ancora Sant'Agostino "il semplice sapere rende tristi." Nel senso del distacco da Dio non nel senso usato da Giordano Baino: "chi acquista sapienza acquista dolore". In Bruno il dolore è interamente inscritto nel dolore socratico: dolore di fronte all'ignoranza che il sapere rende cosciente. In Sant'Agostino siamo ai consueti abbandoni in Cristo. Quindi filosofia e teologia unite - una coppia simile a speranza e fede, a giustizia e grazia. Ed ancora un esempio, che il Papa prende dal Concilio di Calcedonia (451 d.c), altro riferimento al di là del tempo dell'uomo, al di là della storia dell'uomo, dalla quale anche quel Concilio, peraltro, scaturì, dalla lotta tra il cristianesimo occidentale ed orientale. Filosofia e teologia "senza confusione e senza separazione." Ma siamo a più di un millennio e mezzo fa! Sempre valido per una istituzione che fa del tempo dell'uomo coriandoli
E finiamo in peana: "Se però la ragione - sollecita dalla sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita."
Certo al Papa non balza neppure per un momento alla mente, in fondo non se lo può permettere, che culture importantissime si sono cresciute e sviluppate senza l'apporto del cristianesimo, prima durante e dopo la venuta di Cristo su questa terra: la cultura cinese ad esempio. Come è stato possibile, dal suo punto di vista?
Difficile infilare anche quella cultura, solo un esempio, nel disegno che propone.
Capiamo perciò, in special modo dopo aver letto ed analizzato il suo discorso, con l'enciclica che lo precede, perché alla Sapienza di Roma, si sia fatta una così tenace opposizione alla sua presenza.
E davvero: la Rivoluzione francese c'è stata e per tutti
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